Un golpe tira l’altro

28 novembre 2003 Politica e movimenti
Un golpe tira l’altro

Golpe, colpo di stato: eccola che rispunta maligna la parola che ha accompagnato come inquietante sound-track tanti anni di storia della nostra democrazia. Quanti ce ne sono stati di colpi di stato, in Italia, tra quelli tentati davvero e quelli solo progettati, o temuti, o anche solo immaginati? Convitato di pietra della nostra Prima Repubblica - quella che si diceva fosse a sovranità limitata - il colpo di stato è stato il babau della mia giovinezza.
C’è stato chi ci ha provato con i militari e chi - più modestamente - con le Guardie forestali, chi ha tentato a colpi di bombe e altri che hanno preferito le leggi speciali, o l’evidenza del fatto compiuto. A rigore di logica (e di filologia) l’ultimo mini-golpe in Italia c’è stato pochissimo tempo fa. E’ durato più o meno dalle 12 del 20 luglio alle 4 del mattino del 22 di luglio 2002, durante il G8 di Genova. Ma anche ad esso, come ai precedenti, la nostra Repubblica è scampata. Già, perché i golpe italiani hanno poi delle caratteristiche tutte particolari: falliscono, o vengono scoperti, o si concludono da sé, appena raggiunto l’obiettivo parziale per il quale erano stati progettati. I nostri sono golpe a metà, tascabili, portatili, golpe fantasma, tanto che di alcuni, come Gladio, nemmeno ci eravamo accorti. I nostri sono golpisti, in fondo, democratici e, se pure hanno tentato, immaginato, favoleggiato un colpo di stato, lo hanno sempre fatto per difendere la democrazia (il più delle volte dall’incombente pericolo comunista).
Ora a riparlare di colpo di stato è nientemeno che il Presidente del Consiglio e - in uno scritto che è quanto di più populisticamente giacobino mi sia accaduto di leggere da vent’anni a questa parte - conia questa nuova fattispecie: quella del golpe della magistratura, per l’appunto giacobina, contro gli Eletti del Popolo. Ma se è certamente vero che «in una democrazia liberale i magistrati politicizzati non possono scegliersi, con una logica golpista, il governo che preferiscono» è altrettanto vero che i Governi non possono scegliersi i giudici che più gli aggradano, né delegittimarne le sentenze, se gli sono avverse. Se poi occorre il caso che chi governa sia stato ben prima imputato, che Eletto del popolo, allora il trucco da piazzista che sta dietro tutta la missiva risulta evidente. Come il tentativo, esso sì, schiettamente golpista, di sparare su quell’equilibrio dei poteri costituzionali che è indispensabile alla democrazia, mascherandolo da difesa dello spirito di quella stessa Costituzione che solo ieri era definita bolscevica.
Unico segnale positivo, le parole, infine chiare, del Quirinale che fanno sperare che chi deve intervenire abbia compreso come la soluzione non stia nel restare equidistanti tra la ragione e il torto, tra la giustizia e l’arbitrio dei potenti.

Altro in Politica e movimenti

Altro in Teoria e critica