Totò "Vasa vasa" e la letteratura masochista

19 novembre 2003 Politica e movimenti
Totò

Chi l’avrebbe mai detto che Cuffaro, oltre a vincere le elezioni regionali, avrebbe avuto dalla sua anche insospettati meriti letterari: proprio lui, la cui esperienza di lessico e consecutio temporis non è proprio eccellente?
Eppure è così, almeno a parere di Francesco Merlo che, sulle colonne del Corriere, sostiene, tra l’altro, che "Totò vasa vasa" sarebbe il paladino di una rivolta popolare della gente "vogliosa di normalità"contro la "letteratura masochista alla Camilleri che per divertire il mondo oltraggia la Sicilia", una Sicilia presentata come "l’Inferno" i cui soli abitanti possibili sono "i personaggi tragici: o mafiosi come Provenzano, o eroi come Falcone"
Ora, io, ovviamente, nel dibattito sulle ragioni del trionfo cuffaresco in Trinacria nemmeno ci voglio entrare. Sono mica un politico. Al massimo mi vien da dire che tanta inconciliabilità, quanta ce ne trova Merlo in un passaggio successivo, tra Prestigiacomo, Cuffaro, Bossi, Martino e magari Dell’Utri e Fini proprio non riesco a scorgerla. A me sembrano tutti fatti della stessa pasta, cambiano gli aromi aggiunti, ma la sostanza è quella: destra reazionaria e, in alcuni casi, anche un po’ tanto fascista e razzista. Tutti figli dello stesso padre: non a caso Silvio li ama tutti con lo stesso trasporto e ne è ricambiato con medesima dedizione. Né voglio aprire qui una querelle sui meriti letterari di Camilleri, che è scrittore che stimo e che è capace da solo, qualora ne valutasse l’opportunità, di difendersi da simili corbellerie. Non sono nemmeno un critico letterario.
Piuttosto vorrei spendere quattro paroline sulla ’letteratura masochista’, sull’opportunità, cioè, per il poeta e per lo scrittore di scavare nelle piaghe della propria terra, invece che trasformarsi in uno spot dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo. Questo posso farlo, perché di mestiere io faccio proprio lo scrittore e il poeta, spesso, va detto, piuttosto masochista.
C’è qualcosa di sinistro nel livore che Merlo scarica su Camilleri, c’è odore minaccioso di restaurazione e fronda, c’è, non detta, ma chiaramente allusa, l’eco di quell’accusa di disfattismo tirata fuori dalla manica con preoccupante costanza ogni qual volta si è tentato di soffocare la libera espressione con la scusa che l’interesse generale lo richiedeva, che la gente era "vogliosa di normalità". Berlusca, che è un imprenditore postmoderno che usa parole postmoderne, a questo si riferiva quando chiedeva di "non remare contro".
Che la Sicilia non sia solo terra di mafia, però, lo dimostra proprio il fatto che sono siciliani scrittori come Camilleri, Bufalino, Sciascia e, d’altra parte, a voler adottare il punto di vista di Merlo, nemmeno Verga, Pirandello e Capuana scherzavano in fatto di rapporti con Madame Von Sacher Masoch. Così come che la borghesia milanese sia stata una classe ricca di meriti, intelligenza e cultura, è dimostrato proprio dalle impietose critiche gaddiane e non dai salamelecchi di chi ne cantava l’operosa onestà. Potrei dire lo stesso per Proust e la borghesia parigina.
Tutti masochisti? Inopportuni rompitori di uova nel paniere proprio? Avrebbero fatto meglio a cantare la bellezza di Mondello, lo struggente affetto per la laboriosa Madunina, il fascino del croissant sotto la Tour Eiffel, a lavare in famiglia la biancheria sporca?
Il compito della letteratura, però, se ancora gliene rimane uno, è proprio quello di essere occhio critico, naso capace di scovare il tumore nascosto come tartufo sotto le belle apparenze, palato addestrato a percepire l’aceto che si nasconde sotto la pastosità del vino. Non quello di distogliere lo sguardo dalla piaga purulenta, tapparsi il naso e innalzare un bel peana.
Ma naturalmente Merlo ha le sue ragioni e nessuno ci impedisce di immaginare una Sicilia tutta fichi d’india, spiagge assolate, imprenditorialità onesta, giovani soddisfatti, con piena occupazione e dove di mafia si parla ormai solo come di un lontano ricordo…
Fa niente che sia una bugiona nera, grande quanto un aerostato, come avrebbe detto il Gran Lombardo! L’importante è l’immagine, l’immagine è tutto. Ma per far questo non occorrono poeti e scrittori, bastano pennivendoli ed esperti di pubblicità e comunicazione di massa. Gli stessi che tra poco si affanneranno a dirci che non è tanto importante che la mafia esista o no, è importante che non si veda e che, poiché pare che proprio questa sia la scelta che la stessa Provenzano&Co - Postmodernist illicit global enterprise ha adottato in merito al suo nuovo branding, occorre cogliere l’occasione al volo e non parlarne più. Nascerà una gran discussione su come liberarsi degli ultimi impresentabili residui di Sicilia "tragica" che ancora ci restano nelle patrie galere: tra chi vorrà passarli alla griglia, per esempio Bossi e Fini, e chi, facendo riferimento a quelli che Merlo nel suo arguto ed ineffabile intervento definisce "gli eccessi politici della Procura", proporrà di liberarli per insufficienza di prove: …mettiamo Martino, Dell’Utri, o addirittura la "aggraziata imprenditrice" Prestigiacomo?
E’ così, Merlo ne è certo, che la Sicilia conquisterà il suo posto al sole! Che al timone ci sia Orlando o Cuffaro che importanza ha? Quello che conta non è che la Sicilia sia, o non sia, un "Inferno", quello che conta è che non se ne accorga nessuno, meno che mai i siciliani. I libri di Camilleri e quelli di tutti gli altri scrittori masochisti come lui si gettino nell’Etna e non ci si pensi più. Anzi, se possibile, non si pensi più…
Lo sanno tutti che, come dicono al paese mio, parte camorrista e parte-nopeo: "chi pensa troppo, more ampressa". O no?

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