Il DNA della Scapigliatura

1 ottobre 2007 Articoli e recensioni
Il DNA della Scapigliatura

«La Scapigliatura fu la prima avanguardia artistico-letteraria italiana?» E’ con questa domanda – che è certamente la domanda decisiva per chiunque voglia porsi il problema della corretta collocazione storica del movimento che occupò i decenni a cavallo dell’Unità – che si apre la bella Introduzione di Roberto Carnero alla crestomazia, da lui stesso curata, dedicata alla Poesia scapigliata. Com’è noto i pareri sono discordi, anche e soprattutto a causa delle caratteristiche formali (spesso piuttosto eterogenee) e storiche degli autori che ne furono protagonisti: negli scritti di Tarchetti, Boito, Dossi, Praga, Camerana, Stecchetti, per citare solo i ‘maggiori’, si incrociano e fanno a volte corto circuito, influssi e scelte stilistiche spesso molto differenti tra di loro, atteggiamenti umani e storie personali molto distanti. Nel mare scapigliato galleggiano, uno accanto all’altro, residui cospicui di Romanticismo e barlumi di Novecento, intuizioni a volte acutissime ed altrettanto sonore ingenuità. Divisa tra protesta antiborghese e sudditanza alle forme borghesi, nel suo ventre, a ben guardare, è possibile scorgere scintille del futuro, squarci su panorami assolutamente inediti.

Tutto ciò fa sì che i giudizi critici e gli inquadramenti storici siano eterogenei quanto le scelte formali dei testi oggetto dell’analisi. Pur lasciando da parte la celebri pagine continiane sull’Espressionismo letterario, che fanno parte per se stesse, l’altalena ermeneutica è rilevante: si va dalle tesi più recenti di Tessari, Finzi e Pomilio, disposte a concedere al movimento postrisorgimentale i gradi di pre, o proto-avanguardia (la Scapigliatura scrive Pomilio «è da considerare, forse, la prima larvale, e non meno decisiva forma, in cui si presenta da noi, una dialettica dell’avanguardia, considerata dal suo “fronte interiore”»), sino alle stroncature storiche di Carducci (una «scrofola romantica») e Croce, o ai forti dubbi sulla consistenza ‘collettiva’ di gruppo, o movimento delle diversissime personalità che si riconobbero nell’area Scapigliata, come sottolineato, ad esempio, da Anceschi e Spinazzola.

Il problema non è solo d’etichetta, perché, a seconda dei casi, varia, anche notevolmente, l’inclusione e l’esclusione di autori (e ‘regioni’ e ragioni letteraria) da comprendersi all’interno della Scapigliatura stessa, che può distendersi sino comprendere lo stesso Lucini (e perché allora non Campana, verrebbe da chiosare) o rattrappirsi sino a movimento esclusivamente lombardo-piemontese. In questo ircocervo critico l’introduzione di Carnero si muove a suo agio, con il pregio di un dettato chiaro e distinto che consente anche al lettore meno addentro alle faccende specialistiche di seguire i mainstream concettuali messi in discussione, permettendogli di cogliere vizi e virtù di un movimento che, pur con tutti i suoi limiti, ha avuto comunque il pregio di aprire le lettere nostrane a prospettive nuove, che di lì a poco sarebbero sbocciate con ben diversa autorevolezza, che si trattasse del Verismo, o invece del Simbolismo, a testimoniare come una corretta comprensione di quell’ambito così complesso come il Decadentismo non possa essere adeguatamente approfondito, se non battendo anche le vie scapigliate.

La scelta antologica, tutta basata sulla decisa esclusione di ciò che non fosse esclusivamente in versi, è, da un certo punto di vista, assolutamente rigorosa e ben distesa, capace com’è da offrire al lettore un panorama vasto, anche geograficamente, che va ben oltre i nomi maggiori, per arrivare a comprendere anche personalità meno conosciute, ma altrettanto significative come quelle di Cagna, Turati, Cavallotti, Camerana, Torelli, componendo un quadro geografico assai più ampio dell’usuale linea lombardo-piemontese, che giunge sino alla Liguria, alla Romagna di Guerrini alla Campania di Torelli. Per altro verso, stringere l’obiettivo su maglie così strette per un fenomeno che della commistione di generi e fin di discipline artistiche aveva sempre fatto una delle sue bandiere, rischia di limitarne troppo fortemente la fruizione, con in più la conseguenza di tagliare senza pietà autori come Dossi e Rovani che di quell’aspetto sperimentale della Scapigliatura sono stati le vere punte di diamante, mentre lascia in ombra autori come il napoletano Vittorio Imbriani, la cui prosa geniale, per certi aspetti compiutamente espressionista e ‘novecentesca’, aspetta proprio lo sguardo di ricercatori acuti come Carnero per ottenere infine l’attenzione che merita.

Roberto Carnero (a cura di)
La poesia scapigliata
Rizzoli BUR
pp. 499, €.15,00

Altro in Articoli e recensioni

Altro in Teoria e critica