Nick Cave, E l’asina vide l’Angelo

28 dicembre 2003 Articoli e recensioni
Nick Cave, <i>E l’asina vide l’Angelo</i>

Nick Cave è noto al grande pubblico soprattutto per essere stato il leader dei Bad Seeds, band storica del punk rock, dalle indimenticabili atmosfere noir, capace di capolavori di equilibrismo tra armonia celeste e dissonanza più atroce, tra rumorismo e melodia, a cui Cave aggiungeva di suo testi densissimi e cupi, a volte addirittura truci, in cui misticismo e apocalissi si sposavano con materialismo espressionista e gusto per lo scarto brutale e in cui l’immancabile accento da bardo maledetto - alla Tom Waits per intenderci - era un segnale evidente delle sue preferenze ed ascendenze estetiche.
Ma l’artista australiano è poi più di un semplice band leader e questo suo testo, E l’Asina vide l’angelo, è qualcosa in più del solito romanzo scritto da una rock star. E’ un romanzo vero, denso, importante, con una capacità tutta sua di crearsi uno stile e una struttura che tengono alle sollecitazioni violente di una lingua brutale, che percorre tutte le ottave disponibili, trascinando il lettore sulle montagne russe di un linguaggio polimorfo che narra una storia cupa e senza speranza, ubriaca di atmosfere che alternano reminescenze di Poe ed Artaud con squarci da letteratura sudista, tra Faulkner e Flannery O’ Connor, per intenderci.
Scritto nel 1989 e già pubblicato in Italia nel 91, presso Arcana, E l’Asina vide l’angelo è la storia di una comunità di una valle americana del Sud, unita da una comune fede religiosa: quella nel Profeta Jonahs Ukulore che condusse i suoi fedeli nella valle intorno al 1860. Gli ukuliti sono anche l’elitè di una società agiata che riposa sulla produzione della canna zucchero, un’elite egoista e fortemente xenofoba, che galleggia sulle paludi di un rigorismo morale che è solo l’altra faccia dell’intolleranza e dell’ipocrisia.
E’ qui che vive Euchrid Eucrow, protagonista del romanzo, giovane ragazzo muto, unico sopravvissuto di una coppia di gemelli, figlio di una coppia di relitti umani - una alcolista che distilla whiskey clandestino e un rozzo cacciatore che passa la sua vita tra le trappole, la costruzione di altissimi castelli di carte e l’osservazione cinica delle sofferenze delle bestie catturate e poi gettate sul fondo di un grande serbatoio vuoto.
La storia della sua esclusione - tanto dalla famiglia, quanto dalla società - è, insieme, la storia della comunità ukulita, lungo i magri anni Quaranta, all’indomani della Grande Depressione, segnati nella Valle di Ukulore da una pioggia battente e infinita, che fiacca gli abitanti e stronca la loro agiatezza tanto quanto la loro speranza, mentre Euchrid cresce imparando a conoscere soltanto l’odio e il dolore dell’esclusione.
Il piccolo muto vaga nel paese, nascondendosi nel fango come una bestia randagia, sempre timoroso di percosse e sempre picchiato e scacciato; egli si rifugia a spiare la vita altrui, si innamora di Cosey Mo, la bella prostituta che esercita in una roulotte alla cima della collina, la sbircia congiungersi con i maschi del paese, gli stessi che per dileggio lo violentano se lo trovano da solo, tra i campi di canne da zucchero, assiste al suo selvaggio linciaggio da parte dei suoi stessi clienti, incitati dalle loro mogli, la osserva di nascosto la notte in cui lei ritorna, ormai ridotta a cenciosa vagabonda deforme, per abbandonare sui gradini della statua del profeta Jonahs Ukulore, appena prima di morire di stenti, Beth, la figlia che già portava in grembo la notte in cui era stata cacciata e picchiata.
Ma l’arrivo della bambina coincide con la fine delle piogge e proprio a lei gli ukuliti attribuiranno il merito della fine del diluvio, adottandola e facendone la Prescelta da Dio. E’ a questo punto che Euchrid sentirà la chiamata da Dio e deciderà d’agire, di ribellarsi. Fortificherà la baracca dove vive attorniato dalle rozze gabbie in cui tiene rinchiuse decine di animali selvatici e randagi che ha catturato e imprigionato, conquisterà la fiducia della bambina e, dopo averla posseduta, tenterà di ucciderla a colpi di falcetto, per poi morire annegato nelle sabbie mobili della palude, inseguito dalla rabbia e dall’odio dell’intera comunità ukulita. Ma Beth non morirà, almeno non prima di aver dato alla luce il suo bambino, il nuovo Prescelto, proprio il figlio del muto Euchrid Eucrow. E’ ovvio che, a primo sguardo, E l’Asina vide l’angelo faccia l’impressione di essere niente altro che un romanzo gotico, ma, se di romanzo gotico si tratta, allora è un gotico ben singolare, tutto in plein air, un plein air alla Edward Hopper, ma declinato in apocalittico, in cui la pioggia torrenziale e infinita che batte le pianure e le colline di Ukulore si sostituisce alle architetture labirintiche di cattedrali e castelli, in cui, in luogo dei sotterranei e dei cunicoli, impazzano i vicoli oscuri e contorti della sensibilità umana, ai trabocchetti e ai ponti levatoi, ai passaggi segreti, si sostituiscono le trappole da medio evo prossimo venturo, fatte di rozze e strazianti ganasce metalliche che Euchrid eredita dal padre, il suo Regno di Doghead, con la baracca fortificata di lamiere metalliche e rottami, la bandiera fatta di brandelli di pelli e carni animali, le trappole interrate e selvagge, con forconi e lame di seghe e cani selvatici lesti a divorare l’invasore, pronto per truculenti effetti speciali e ormai tanto lontano dalle gotiche urla di terrore, quanto ben più vicino alla contemporaneità della macelleria pulp. Una cittadella fortificata che la violenza della borghesia ukulita spazzerà via con un solo soffio, quando deciderà che la rimozione del ben-pensare debba di nuovo coprire, con la sua soffocante e spietata cappa nera, l’urlo della necessità vitale e l’orrore del desiderio.
Narrato in prima persona da un io che, però, spesso si dà dell’egli - in un autistico mutamento di prospettiva che schiaccia le scene e le vicende a distanza di sicurezza, con brutale ed efficacissimo artificio prospettico - il romanzo è un lunghissimo flash back a partire dai ricordi di un Euchrid che ormai già affoga nella palude sotto la luce malevola delle torce degli ukuliti. Esso è costruito su una trama solida e sostanzialmente semplice, in cui tutte le storie secondarie vengono a intrecciarsi sul tronco centrale grazie alla forza centrifuga di uno stream of consciouness ingordo, che vorticando assume e divora tutto, spalmandolo sulla sua sensibilità linguistica come sale sulle ferite, irrigidendolo in una predestinazione tragica a cui non è previsto né immaginabile alcuno scampo. Nel testo i generi si mescolano frenetici e alle atmosfere noir si saldano - con giuntura mostruosa e stupefacente - le elencazioni alla Perec ( e d’altra parte il protagonista stesso è collezionista attento e febbrile di frammenti e minuzie: brandelli di vestiti, scheletri di insetti, boccette di profumo, unghie, ciocche di capelli, pelli di serpente - sono il suo tesoro e la sua unica garanzia contro l’imprevedibilità del caos), cunei gotici si infiltrano tra densi strati espressionistici, sovrastati da lunghi monologhi - tra l’orfico e il profetico.
Figlio di un Dio minore e crudele, a cui, in luogo dell’Edipo, è toccato in sorte un odio sordo e immedicabile per la madre, Kaspar Hauser di ritorno, cattivo selvaggio, bestiale maniaco maligno che sbircia gli accoppiamenti mercenari affacciato al finestrino della roulotte rosa di Cosey Mo, Euchrid si muove lungo sentieri che rendono esplicito quanto confinanti possano essere i territori dell’erotismo e quelli della morte e insieme mettono il dito nella piaga dell’incapacità tutta umana di abituarsi alla tortura e all’umiliazione del dolore, di dare loro un senso, una ragione, se non nell’ostinazione a non rinunciare alla propria parte d’amore e di diritto alla vita. Ciò contro cui lotta Euchrid, prescelto dal suo Dio minore e Re assoluto del non-luogo Doghead e dei suo sudditi latranti, striscianti, squittenti e prigionieri, è l’antropofagia - quella sì veramente bestiale - di una società che richiede sacrifici umani (da Cosey Mo, ai vagabondi che abitavano nella chiesa in rovina e fino a Beth e allo stesso Euchrid, ma prima di loro, quasi bestiali psicopompi, tanti animali tra cui il cavallo, reso pazzo dalle parole che Beth gli sussurra all’orecchio, e il mulo, ucciso a bastonate da Pa’ Eucrow), abbandonata a una frenesia violenta e cieca, in una sorta di manzoniana caccia all’untore, o ur-pogrom del corpo e del desiderio, alla fine del quale inevitabilmente - per suprema ironia della sorte - i persecutori adottano e quasi deificano i figli delle proprie vittime, con un sorprendente capovolgimento dei ruoli che lascia col fiato sospeso e apre ogni volta panorami nuovi, squarciando il velo della convenzione, fino a mostrare l’intimità più profonda di quella particolare forma di falsa coscienza che chiamiamo, a seconda dei casi, civiltà, moralità, o, più semplicemente, cultura e dunque, infine, letteratura.
Anche in questo radicale smascheramento sta la ragione del particolare valore e dell’interesse del testo di Nick Cave .

Nick Cave
E l’asina vide l’angelo
traduzione di Silvia Rosa Sperti
Mondadori - Oscar -

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