Le Anatre di ghiaccio di Mariano Bàino

27 agosto 2004 Articoli e recensioni
Le <i>Anatre di ghiaccio</i> di Mariano Bàino

Essere napoletani significa anche essere apolidi, coniugare le radici con la capacità d’adattarsi all’altro da sé, la nostra è un’identità meticcia e migrante - oggi si direbbe globale, o meglio, glocale - da sempre siamo terra di transiti e d’eterna immobilità.
In questo senso l’ultima fatica letteraria del poeta Mariano Bàino - lo ’zibaldino’ titolato Anatre di ghiaccio, in cui con la solita maestria mescola aforismi e versi, elenchi di citazioni e brevi raccontini a metà tra l’antropologico e il filosofico - è certamente un libro assolutamente napoletano, e dunque assolutamente apolide, uno sguardo sul nostro mondo immenso e insieme rimpicciolito alle dimensioni di un PC Screen, che parte da Procida e percorre l’universo, senza perdere l’accento che fu di Galiani e Genovesi e di Totò.
Le anatre di ghiaccio sono quelle che - trasportate da un vortice sino ad altissime quote - piovvero stecchite e congelate su Worcester in una grigia mattina del 1935 e fanno da allegoria introduttiva a un viaggio nei luoghi comuni o invece in quelli assolutamente inconsueti e addirittura anomali del nostro pensiero e dei nostri stili di vita. Una vita da «anime corte», a cui, a millennio spirato e seppellito, non resta che sussurrare con educata ironia: «Après moi une petite pluie hygiénique». Ma Bàino non rinuncia a vedere, a giudicare, a indignarsi, che si tratti dei fatti di Genova 2001 («Il manganello è un oggetto delicatissimo: riesce ad aprire una testa senza scalfirne le idee»), o delle conseguenze devastanti della privatizzazione selvaggia degli spazi («Il sole è di tutti; l’ombra, invece, la devi pagare»), dell’egoismo asfissiante che ci domina tutti («Vivere e non lasciar vivere. Non è un consiglio. E’ il vostro hobby preferito»), o invece del destino della sua città («città di mare con tabe / tanta che ti / zerisce a morte») stritolata, come tutti i poveri del mondo, nello scontro devastante dei più forti («A Dio quel che è di Dio, a Cesare quel che è di Cesare. Tu non hai voluto nulla, ma ora che sei l’ultima cosa da dividere, che faranno quei due?).
E via così, in un travolgente pot-pourri che alterna prosa a poesia, ironia a rabbia, arguzia sardonica a tenerezza sconsolata e che mette in moto tutto l’armamentario culturale di un poeta che è anche un indefesso viaggiatore, un cuoco, un pescatore, un abile nuotatore, un amante mai pentito, un pedagogo professionista e che è capace di armonizzare tutto questo con la stessa sagacia con cui in letteratura ha fatto andare a braccetto dialetto e poesia visiva, sperimentazione formale e temi eticamente forti, critica letteraria e capacità di tradurre e tradire tanto dal francese quanto dallo spagnolo.
Il tutto condito con un’immarcescibile voglia d’utopia, un desiderio di rischiare il desiderio («Non si ha diritto alle cose impossibili - è stato detto. A volte sono le cose impossibili ad avere diritto a noi, appostandosi fra i nostri doveri»), un’ineducata indisponibilità a rassegnarsi, a darsi per vinto, perché, a dirla con lui, «forse le ali tarpate sono un difetto dell’aria».

Mariano Bàino
Le anatre di ghiaccio
Ed. l’ancora del mediterraneo

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1 Messaggio

  • Le Anatre di ghiaccio di Mariano Bàino 12 giugno 2007 02:48, di cippiò

    desasperadamente intento mettermi in contatto con mariano, scusa lello. tampoco sé se ti arriverà il messaggio. sono ciro, quel compagno della salita pontecorvo 90. ormai definitivamente esiliatosi in andalusia. un forte abbraccio. mi puoi mandare l’e-mail di baino? hasta pronto.

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