Lamberto Pignotti, Identikit di un’idea

28 dicembre 2003 Articoli e recensioni
Lamberto Pignotti, <i>Identikit di un’idea</i>

Probabilmente lo si potrebbe definire il poeta delle liasons dangereuses, e, altrettanto probabilmente, lui non se ne avrebbe a male, visto che più volte gli è capitato di rivendicare a suo merito la tendenza a mix culturali spericolati, il gusto di mescolare gli opposti, di usare proprio gli strumenti e le tecniche del potere comunicazionale, capovolgendone il segno, per sfaldarlo, corroderlo dall’interno…
Di chi si parla? Ma di Lamberto Pignotti, ovviamente, l’inventore della Poesia Visiva, di quella particolare forma d’arte che, andando oltre le esperienze del Concretismo, permetterà ad immagine e parola di incontrarsi nello spazio di una comunicazione assolutamente nuova, sinestetica e insieme dialogica, rinnovando in modo radicale gli orizzonti della ricerca verbo-visiva e che dall’Italia si diffonderà in tutto il mondo, esile ma efficacissimo Cavallo di Troia inviato dalla poesia fin dentro le mura della cultura e della comunicazione ufficiali.
Rispondendo a un’intervista in cui si notava con sorpresa come egli avesse con nonchalance mescolato nella sua ricerca artistica Marcuse e McLuhan, e dunque, da una parte denunciato la cultura di massa e la sua alienazione, dall’altra utilizzato proprio gli strumenti che la cultura tecnologica e massmediale metteva a disposizione degli operatori, dirà lui stesso a questo proposito: «L’area della poesia visiva, arte tipicamente multimediale e interdisciplinare, ha trovato le ispirazioni, le sollecitazioni più diverse, dalla teoria della letteratura all’iconologia, dal neo-positivismo alla linguistica, dallo strutturalismo al marxismo, dalla sociologia alla semiotica, dalle analisi della pubblicità alle riflessioni sui fumetti, sulla moda, sui video-clip, sulle foto di un giornale... Uno, prima di farsi degli amici, va in giro, facendo addirittura incontri inconcludenti e perfino sbagliati, e poi sceglie qualcuno con cui avere magari dei rapporti privilegiati. In tal senso può essere utile incontrare Marcuse e McLuhan, attingere a Gombrich e alle sfilate di moda, ispirarsi a Sklovskij e alle tavole di un fumetto... È da simili "liasons" forse "dangereuses" che prende le mosse e si determina nei più vari modi l’evoluzione dell’interazione dei codici verbo-visivi».
Di Lamberto Pignotti, fiorentino, classe 1926, membro del Gruppo 63, sia pure da posizioni piuttosto decentrate e fin polemiche nei confronti dello zoccolo duro di alcuni dei Novissimi, e fondatore con Miccinni, Ori, Martini, Carrega e molti altri del Gruppo 70, nucleo apripista della Poesia Visiva nel mondo, esce, per i tipi di Campanotto, Identik di un’idea, collazione delle sue "carte nascoste" e, nello specifico, di una nutrita serie di interviste che l’autore ha concesso, nel corso degli anni, a molte riviste e a svariati studiosi di poesia.
Il libro, assolutamente stupefacente per la sua capacità di tracciare con estrema precisione i confini teorici, gli ascendenti, i sentimenti spesso politicamente espliciti, di una ricerca importante come quella di Pignotti e delle sue produzioni di poesia visiva, riunisce un fascio di testi che vanno dall’ormai lontano 1962, in cui un giovanissimo, ma assolutamente deciso Pignotti risponde, a fianco di nomi come quelli di Montale, Luzi, Caproni, Leonetti, Bertolucci, al questionario proposto da Nuovi Argomenti, allora diretta da Moravia e Carocci, fino agli anni nostri, sempre con il medesimo gusto di non accontentarsi del già fatto, del già detto che lo accompagnerà nel seguito della sua esperienza poetica, ma di tentare, piuttosto, sempre e comunque, la mossa successiva, anche a costo dello scacco.
Esploratore mai domo, già agli esordi, Pignotti si fa propugnatore di un rapporto stretto tra poesia e nuove possibilità offerte dai media di massa e, riprendendo una proposta di Max Bense - tra i fondatori della Poesia Concreta - oppone alle ultime ondate ermetiche il suo "stile tecnologico": «L’ermetismo volle portare la poesia sull’altare; il tecnologismo mira a portare la poesia sul video» (1962).
Ma il suo rapporto - tanto con l’Avanguardia, quanto con la Tradizione - sarà poi assolutamente personale e così se l’Ermetismo gli pare irrimediabilmente compromesso con la lirica e dunque con un impraticabile passato, per altro verso anche alcune delle Nuove Avanguardie non gli sembrano esenti da difetti e, per la precisione, essenzialmente da una tendenza endoletteraria che tradisce tanto la poetica di certi Novissimi, come Sanguineti, sia buona parte dell’esperienza della Poesia Concreta, entrambe colpevoli «di venire dalla letteratura, di fare della letteratura e di rimanere nella letteratura», mentre per la poesia la salvezza è, a suo parere, precisamente nella capacità di uscire dai suoi confini, di mescolarsi con il reale, la comunicazione, i codici di altri specifici artistici: «non so - dichiarerà nel 65 a Ferdinando Camon, che lo intervista per il suo volume, Il mestiere di poeta - se oggi la letteratura possa essere ancora contestata dall’interno: credo di no. Mi sembra che l’operazione dell’andare avanti in poesia sia quella di allargare l’area della poesia, cioè di far diventare poesia quello che a tutt’oggi non lo è».
Ciò che preme, insomma, è, a voler riprendere un’espressione colorita e fortemente icastica di Pignotti stesso, «l’esigenza di passare un’altra volta dal latino al volgare». Ecco, allora, che per questa nuova poesia la Tradizione è, prima di tutto, «il suo retroterra geografico, storico, economico, culturale, sociale. Ciò che maggiormente determina un tipo di poesia è proprio la tradizione extrapoetica: nutrirsi di poesia per poetare sarebbe come nutrirsi di grasso per ingrassare; ma forse non importava ricorrere a Leopardi. La poesia non nasce dalla poesia, nasce dalla cultura, nella relazione, nella società». Sono ancora parole, e importa sottolinearlo, del 1962. Ciò che maggiormente conta allora, al contrario di quanto teorizzavano alcuni dei protagonisti della Neo-avanguardia, non è interrompere la comunicazione, ma ristabilirne una di radicalmente nuova: «il problema del linguaggio non è la distruzione ma la costruzione del linguaggio». Restando coerente a queste sue posizioni, se si vuole ’laterali’ o addirittura ’eretiche’, Pignotti parteciperà però attivamente all’avventura del Gruppo 63, sviluppando parallelamente le sue sperimentazioni di poesia visiva, vivendo poi da protagonista la stagione della mail art, facendo poesia performance, sperimentando la multimedialità e non mancando mai di accoppiare alla ricerca formale un impegno politico radicale, teso a smascherare tutti i trucchi, i tranelli, le trappole che la neonata società delle comunicazioni di massa tendeva alla poesia e ai suoi lettori, per vedere, infine, la sua primitiva intuizione della mescolanza di immagini e parole divenire tendenza internazionale, varcare i confini del Gruppo 70 e invadere, coi suoi stimoli e la sua dissacrante ironia, i territori letterari di numerosissime nazioni.
Ma per lui questa non deve essere stata poi una sorpresa, se già nel 1965, nel delineare a Camon le caratteristiche del nuovo rapporto che la sua arte proponeva tra poesia e comunicazione, sottolineava che ciò che era in ballo non era tanto la tradizione letteraria italiana, nazionale, quanto un orizzonte ben più vasto: «il discorso per la prima volta è a livello "planetario" (la parola "mondiale" suona già un po’ arcaica, scontata). Quando si imposta il discorso sul rapporto tra arte e comunicazione di massa, non si fa una questione nazionalistica, sia pure in senso lato e positivo», si affronta, cioè, questo problema, come diremmo oggi, a quasi quarant’anni di distanza, nel suo aspetto globalizzato e globalizzante.

Lamberto Pignotti
Identikit di un’idea
Dalla poesia tecnologica e visiva all’arte multimediale e sinestetica
Campanotto Editore

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