Il papa che vola

L’Unità, 2011, settembre 21 settembre 2011 Articoli e recensioni
Il papa che vola

Haroldo De Campos, grande poeta brasiliano, studioso della tradizione medievale romanza, diceva spesso che l’unico modo di rispettare davvero la Tradizione era rinnovarla, rimetterla in gioco, farle vivere nuove avventure, perché il solo modo per riaffermare l’importanza di una regola è violarla, per mutarne il significato, senza perderne il senso.

Non credo di osare troppo affermando che Haroldo (che peraltro aveva splendidamente tradotto tanta poesia classica giapponese) avrebbe sicuramente apprezzato gli haiku di Ban’ya Natsuishi, proprio perché l’autore giapponese, che di haiku è peraltro studioso ed esperto prestigioso, sottopone la celeberrima ‘maniera’ nipponica ad una torsione spietata, la ricolloca nel presente, la reinterpreta e ne fa strumento tagliente di analisi di un’attualità che, per parte sua, sembra fatta apposta per negare le radici stesse dell’haiku. Già nella prima raccolta tradotta in italiano, nel 2007, Pellegrinaggio terrestre (albalibri ed.), Ban’ya usava l’haiku come grimaldello per aprire varchi nella geografia culturale ed esistenziale di paesi e culture vicine e lontane, da Roma e Genova, a New York, all’India, alla Corea, all’Africa del Nord, con stile capace di accendersi di frustate polemiche e visioni sinistramente profetiche, come ad esempio: “Al di là dell’America / ancora America /fulmini nella notte”, o ancora, su Roma, “Merli litigiosi / queste mura / da duemila anni”. L’ironia sprezzante, o la capacità di stupirsi e cogliere la piega nascosta in cui è celata la chiave di comprensione di questo, o quell’istante, costruiscono un racconto di viaggio, in cui ogni haiku si trasforma in un fotogramma di una pellicola quasi à la Godard.

A ciò, negli ultimi anni, si è aggiunta un’intensa riflessione sui rapporti uomo-natura che è approdata a posizioni affatto singolari: la natura, tema tradizionale dell’haiku, diviene in lui ‘matrigna’, con accenti che all’orecchio italiano suonano schiettamente leopardiani, come quando afferma, in un suo recentissimo scritto teorico, Stupidità e poesia, pubblicato all’indomani della catastrofe di Fukushima: ”Le immagini che ho visto dello tsunami confermano, senza alcun dubbio, che la natura è di vastità incommensurabile rispetto all’uomo. Per l’Universo l’uomo non è altro che una formica. Inutile sottolineare quindi che il nostro amore per la natura è estremamente irrazionale. E’ un ridicolo, o assurdo amore senza alcuna reciprocità”, sarebbe utile, dunque “ ripensare le mediocri e superficiali idee circa la natura che hanno proliferato nell’haiku per secoli”.

In questo suo ultimo Il Papa che vola: 44 haiku il processo si radicalizza ancor più, il ritorno anaforico del medesimo protagonista (questo affatto metafisico e totalmente ‘concreto’ Papa volante, in cui non è difficile cogliere la stilizzazione di Giovanni Paolo II) fa sì che i singoli frame poetici, pur dotati di una loro evidente autonomia ed indipendenza, costituiscano un racconto, a maglie larghe, certo, ma pur dotato di una sua trama evidente, solida e – visto che si tratta di haiku – del tutto nuova e spiazzante.

Il risultato è un vero e proprio gioiello dell’haiku contemporaneo giapponese, basti qui citare qualcuna delle numerose tessere che costituiscono questo surreale quasi-poemetto e che tanto lo fanno assomigliare a una sarcastica bande dessinée. Ad iniziare dal parodosso che mette in volo il protagonista: ” Da una cascata celeste / il Papa cadendo / prende il volo”, sino agli spietati: “O Papa che voli / sono pulci che saltano / quei focolai di guerra?”, o: “Impigliato / tra lettere arabe / il Papa che vola”, e ancora: “ Il Papa che vola / mai incontra / il Cristo che vola”.

L’haiku, come siamo abituati a leggerlo, non esiste più, sfigurato da un’enorme forza creativa che lo riplasma. E rendere irriconoscibile una tradizione perché il presente possa tornare a riconoscersi in essa è indiscutibilmente segno della vera poesia.

Ban’ya Natsuishi
Il Papa che vola: 44 haiku
Ed. Rupe Mutevole, 2011

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