Chico Buarque e il ponte possibile tra poesia e musica

Il fattoquotidiano.it, settembre 2015 27 settembre 2015 Articoli e recensioni
Chico Buarque e il ponte possibile tra poesia e musica

Ci sono libri che hanno titoli che sembrano fatti apposta per confondere il potenziale lettore.
Ad esempio questo Chico Buarque – Canzoni (Pavia University Press), del musicologo (e valente chitarrista) Stefano La Via.

A stare a quanto dichiara a verbale il titolo, infatti, ci si aspetterebbe una semplice raccolta delle ‘letras’ di uno dei più completi, poliedrici protagonisti della Nuova musica popolare brasiliana. Ma esso è ben altro e molto di più. Non solo sono qui raccolti testi e le traduzioni di quasi tutte le canzoni di Chico, accompagnati da un ricco Glossario e da una serie di versioni precedenti di Bardotti, che di Chico fu punto di riferimento essenziale in Italia, ma esso presenta anche la trascrizione di una serie di vaste e interessantissime interviste del curatore con l’artista, realizzate in anni di amicizia e attenzione (una “lunga fedeltà”, verrebbe da dire) e di una lezione ‘buarquiana’ di Bardotti stesso.
Ma non basta ancora. Ad accompagnarlo due CD: uno dedicato alle schede critiche dei testi e un altro, musicale, che contiene l’esecuzione di una serie di canzoni del brasiliano nella loro traduzione italiana, eseguite da Chico stesso e da artisti del calibro di Ligiana Costa, o Andrea Satta dei Têtes de bois. Perché, sembra dirci La Via che tiene le sue lezioni a Cremona spesso in compagnia della sua chitarra, come si fa a scrivere un libro su Chico, senza cantare le sue canzoni?

Per chiunque ami l’opera di Chico, insomma, questo libro è una cornucopia irrinunciabile.
Ma esso è anche di più: è una disamina, sia pure apparentemente sottotraccia, di tutti i problemi, le possibilità, le forme dell’incontro tra parole e musica, che va ad arricchire una ricerca che La Via (esperto conoscitore tanto dei madrigali di Da Rore e Monteverdi, quanto delle canzoni dei Beatles e di De Andrè) porta avanti da tempo, basti qui ricordare l’indispensabile Poesia per musica e musica per poesia - Dai Trovatori a Paolo Conte, o i tanti saggi dedicati alla forma ‘canzone.
Una delle chiavi per penetrare al cuore del problema può essere precisamente la corretta traduzione del termine letrista che come sottolinea La Via è «qualcosa di più prossimo a un ‘poeta per musica’ che non a un semplice ‘paroliere’». O l’esplicita dichiarazione con la quale precisa che l’intenzione della sua opera «non è affatto quello di incoraggiare una fruizione puramente letteraria dei testi buarquiani». Le parole di Chico esprimono tutta la loro potenza espressiva solo in uno con la musica. E di questo, a parere mio, un testo così compiuto anche poeticamente come Costrução è dimostrazione palese.

Il dibattito sul rapporto tra parole e musica (e tra musica e poesia) vive da noi una vita schizoide e spesso disordinata e superficiale, diviso tra i flame di dibattiti più o meno improvvisati (più o meno incentrati intorno alla domanda demenziale: «un cantautore è un poeta?») e la reciproca (e reciprocamente sussiegosa) indifferenza dell’un polo nei confronti dell’altro.
Poi, per mesi e a volte per anni, tutto tace, non senza aver disseminato, tutt’intorno, detriti inquinanti in quantità: dalla pletora di orchestrine (folk-rock, o barocche, poco importa) che popolano i palchi di quasi ogni festival peninsulare di poesia, a inframmezzare di coltissimi jingles le performance balbettanti di poeti ben più ‘cartacei’ dei propri libri, fino a ondate migratorie impressionanti di musicisti che trattano i loro versi stenterelli come il Boccaccio trattava gli endecasillabi del Maggior suo.

Scorrere la lunga intervista di La Via a Buarque significa, invece, andare alle radici profonde di questo problema che è, a mio giudizio, anche l’estrema possibilità della poesia di non ritirarsi dal campo, cedendo definitivamente le armi, come previsto da Mazzoni, a quelle che nel Bel Paese chiamiamo canzonette.

La nettezza con cui il musicista brasiliano, stimolato da La Via, esclude di essere un ‘poeta’, identica a quella del nostro De Andrè, ci suggerisce che la soluzione non sta nel confondere le due sponde del medesimo fiume, quanto piuttosto nel prendere in considerazione che, se la realtà è la medesima, se medesimo è il flusso (il fiume), ben differenti sono poi i punti di vista artistici ed estetici su di esso (le sponde). Ciò che serve non è gettarsi nel fiume e nuotare d
isordinatamente, quanto piuttosto progettare ponti (come sosteneva Fabrizio), che sarebbe precisamente il compito di quella critica poetica (e poetico- musicale) che in Italia, con l’eccezione di La Via e pochissimi altri, penso soprattutto a Paolo Giovannetti e Gabriele Frasca, non c’è.
Tantissimi filologi, ancor più recensori di dischi, ma poco altro.
Magari, come pare suggerire tra le righe La Via, la soluzione potrebbe essere ben più semplice, e cioè stabilire ‘da dove si parta’. Chico che è musicista parte sempre dalla musica, Gil Scott Heron, o Linton Kwesi Johnson, che sono poeti, partono sempre dalle parole. Ciò che tutti loro ci danno è un insieme di parole e musiche (un insieme sonoro, ma anche letterario) apparentemente simile, ma certamente diverso, che può essere altrettanto efficace esteticamente e formalmente (e spesso anche ‘espressivamente’).
Magari non è molto, più che un ponte son solo due corde tese tra una sponda e l’altra.
Ma è ben più di niente. Da qui si può partire per costruire quel ponte. Ed è questa la ragione in più dell’importanza del libro di La Via.

Perché, in questo caso, di là dall’innegabile potenza espressiva di Chico, ciò che colpisce è l’acume critico, direi il coraggio, di chi questo grande regesto ha ideato e realizzato.
Questo libro non parla solo di Chico, s’interroga sulla poesia e sulla musica, sul loro millenario dialogo.
Stefano La Via ha confermato di essere l’unico studioso italiano capace di sviluppare una riflessione realmente ampia e profonda sui rapporti tra poesia e musica, sia storicamente, che in questa nostra convulsa contemporaneità. E se qualcuno avesse ancora dubbi, dovrà rassegnarsi. È alle sue riflessioni e alle sue ricerche che dovrà guardare chiunque voglia oggi incardinare un discorso realmente nuovo e pregnante su quel dibattito fitto, a volte aspro, altre appassionato, certamente ‘sonoro’, che da sempre vive e si sviluppa tra le parole e le note.

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