Il discorso dell’Eros

28 dicembre 2003 Articoli e recensioni
Il discorso dell’Eros

Il corpo e la parola sembrano spesso essere due poli opposti della relazionalità umana. Là dove prende posto il corpo, scompare la parola e là dove regna il codice e il simbolo non c’è posto per la corporeità. O si agisce, o si nomina e spesso la nominazione vale come smascheramento, o, all’opposto, mascheramento e rimozione simbolica di ciò che si è agito sotto il velo del silenzio. Le cose, naturalmente non stanno sempre così e, anche se corporeità ed erotismo vanno a finire, almeno sino a pieno Novecento, nello scaffale dei libri ’proibiti’, la loro presenza - diretta o dissimulata - all’interno del panorama letterario occidentale non è poi così esigua come si potrebbe a tutta prima immaginare.
Giungono in questi giorni in libreria due volumi che sono, per l’appunto, testimonianza della vastità della campionatura erotica (ed anche pornografica) presente in letteratura, e lo fanno pur muovendo da approcci e punti di vista nettamente differenziati.
Il comparatista tedesco Jürgen Wertheimer nel suo Don Giovanni e Barbablù - I delinquenti seriali dell’erotismo nella letteratura (Bollati Boringhieri, pg.166, euro 20,00) offre un’analisi vasta e documentatissima dell’interpretazione letteraria di due figure leggendarie, che per secoli sono state proiezione simbolica di desideri e paure collettive, dipanando una ’lista’ delle differenti esegesi del mito ’elencatorio’ per eccellenza, Don Giovanni, e di quello altrettanto seriale di Barbablù: a partire dal duo Mozart-Da Ponte e sino ai giorni nostri, al cinema di Losey e Fellini, o alle coreografie di Pina Baush e al Gilles De Rais, mostro antropofago e divora-bambini, di Bataille. Incarnazioni del seduttore e dell’annientatore, Giovanni e Barbablù si succedono sulla scena dell’immaginario occidentale e, all’eccezione scandalosa e vitalistica di Don Giovanni, che si fa man mano sempre più letteraria ed immobile, succede, sorgendo dal mondo laterale delle fiabe, quella del mostro Barbablù e della sua radicale messa in discussione del legame matrimoniale, spazzato via dalla crudeltà sanguinaria che non trova altra giustificazione che il suo stesso esplodere.
In effetti, come mostra con chiarezza l’intrigante analisi del critico tedesco, all’iniziale Don Giovanni di Mozart che «impersona un principio del piacere fondato su violazione, attivismo e ripetizione in serie», che gode dell’effrazione sistematica della moralità femminile e borghese , succedono, via via, una serie di suoi omologhi sempre più letterari e complessi. A partire dalla interpretazione romantica di Hoffmann, Grabbe, Stendhal, che insieme lo politicizzano e lo drammatizzano, legando indissolubilmente piacere e morte, per proseguire sino al Novecento pieno, al suo lento invecchiare e deperire in oggetto di facile consumo, quella di Don Giovanni è una parabola discendente.
E’ il momento in cui entra in scena il Don Juan pipé - il Don Giovanni ingannato, come lo definisce una spietata poesia di Verlaine, già nel 1890. Il suo raffinatissimo ed elitario ’sistema’, in cui l’erotismo seriale era segno di distinzione e dissenso, «è diventato un articolo di consumo a buon mercato; il "dongiovannismo" moltiplica la singolarità facendone un prodotto di massa, in versione rimpicciolita e pacchiana. E’ un decadimento tragico? Niente affatto, perché in fondo Don Giovanni viene battuto con le sue stesse armi. L’ideologo del principio seriale diviene vittima egli stesso, di un procedimento da catena di montaggio; non più detentore del ruolo di soggetto, viene degradato ad oggetto del procedimento». E se il lettore italiano non potrà fare a meno di notare la mancanza tra questi Giovanni dimidiati e oggettualizzati del Novecento di quello siculo di Vitaliano Brancati e, perché no, anche di certo Svevo di Senilità, se non addirittura della Coscienza, va detto che comunque l’analisi di Wertheimer coglie nel segno quando denuncia con chiarezza la specularità tra dongiovannismo e società consumistica di massa, la condivisa incapacità di vivere e decodificare la complessità emozionale della relazioni umane, risolta piuttosto attraverso l’elenco, la lista, sostituendo la qualità con la quantità: « Da workaholic perfettamente funzionante nel mondo dell’erotismo, egli produce "amore" come rendimento e diventa uno specialista che consegna cifre ed entità numerabili, alla stregua di un attore porno. L’agenda, la statistica del rendimento, il verbale sul lavoro svolto raccolgono i dati principali di questo processo, e sono quindi più importanti dell’atto in sé . Il marcatempo ormonale ticchetta inesorabile, si richiede un aumento della quantità, il lavoratore a cottimo accelera il ritmo di lavoro e produce diligentemente ancor più ciarpame erotico… E’ un circuito fatale che, proprio per via del successo numerico, termina in una bancarotta dell’animo».
E’ il tempo di Barbablù, che al possesso sostituisce l’annientamento, allegoria - assai amara - di tanti delitti familiari contemporanei, in cui l’assassinio diviene ultima chance per «rivestirsi di un’aura significativa», altro lato della medaglia che sul suo fronte ha ormai solo un dongiovannismo virtuale da erotismo masturbatorio a distanza, ben rappresentato dal Casanova felliniano che muore immaginando un ultimo coito con una bambola meccanica: «La donna da microchip, memorizzata binariamente, è lo sbocco finale del programma di riduzione, di spregio degli esseri umani, che nonostante tutte le trasfigurazioni romantiche costituisce la base effettiva del principio della lista». Strettamente dedicato al panorama italiano è invece Il corpo della Musa - Erotismo e pornografia nella letteratura italiana dal ’200 al ’900 (Editori Riuniti, pg.490, euro 30) a cura dello scrittore e regista Riccardo Reim, volume che riunisce una storia, un’antologia e un dizionario della letteratura erotica e pornografica nostrana. Frutto di un lavoro di ricerca attento e filologicamente inappuntabile, il testo curato da Reim si propone probabilmente come la mappa più ricca e attendibile di questo particolare genere letterario che sia oggi disponibile in Italia.
Essa allarga cronologicamente il panorama già offerto da Francesco Saba Sardi con la sua Antologia erotica italiana:1600-1800 e lo arricchisce di una serie di testimonianze più direttamente ascrivibili al pornografico e all’osceno, ai cui rapporti con l’erotismo propriamente detto Reim dedica, tra l’altro, alcune tra le più interessanti pagine della sua Storia, collocandoli - a rigor (etimologico) di termini - ob scaena, fuori dalla scena, oggetti indegni del palco, ma anche, proprio perciò, liberi da tutti i vincoli e le convenzioni che lì vigono, spesso preferendo il ludus al decorum «senza esitare di fronte alla sfrenatezza, magari sconfinando liberamente nel caos, nella triviliatà, nel turpiloquio».
Comunque sia, un viaggio lungo le pagine e le ’forme’ del Corpo della Musa riserverà senz’altro una serie di piacevoli sorprese al lettore. Dai primi - e tutto sommato castigati - versi di Rustico di Filippo, al già ben più provocatorio Fiore di quel Durante che la maggior parte della critica ormai identifica nell’Alighieri, alle novelle boccaccesche e fino alla fioritura Rinascimentale e poi ancora avanti, oltre il castigato Seicento, il libertino Settecento, l’Ottocento romantico e il Novecento, il percorso sarà ricco di scoperte di testi che, al di là dei contenuti trattati, non difettano certo d’arguzia poetica, né d’un’intelligenza formale a volte davvero rimarchevole. L’antologia di Reim offre, da questo punto di vista praticamente tutto il meglio di quanto al proposito abbiano prodotto le lettere italiane e forse - se davvero ha un senso fare colpa ad un’antologista di una mancanza - l’unica assenza che davvero pesi è quella dell’Imbriani di alcune delle novelle comprese in Per questo Cristo ebbi a farmi Turco, mentre molte sono le curiosità, a volta davvero sorprendenti, che si potranno scovare.
Ob scaena non si esibiscono solo i ben noti Aretino, Baffo, Venier, Porta, o Belli, ma anche nomi che hanno fama d’esser stati ben più morigerati, da Leonardo da Vinci - che si concede la composizione di alcune Facezie - al Bembo - che alle Prose della volgar lengua non manca di accostare un esplicito Priapus - al Galileo, autore di un gustoso ’Capitolo alla bernesca’, sino all’assai austero Settembrini, che, mentre è rinchiuso all’ergastolo di Santo Stefano, impiega il suo tempo nella stesura di un finto volgarizzamento di un inesistente libello antico, intitolato I neoplatonici, in realtà racconto d’un amore omosessuale «di rara, perentoria esattezza pornografica, dove nulla è suggerito, ma tutto è descritto sin nei particolari». Invece, a scavar bene tra le pagine del lacrimoso autore di Cuore, De Amicis, ecco che si scoprono insospettabili frammenti di puro voyeurismo, feticismo, autoeccitazione, tra l’altro nel più riuscito dei racconti compresi in Fra scuola e casa quell’Amore e Ginnastica che attirò l’attenzione di Italo Calvino.
Infine una chicca: non fossero bastati a rappresentare il Ventennio D’Annunzio e il Marinetti del Mafarka futurista, con in retroguardia l’ineffabile Guido Da Verona, ecco che Reim ci ricorda che persino Lui, il Duce in persona, in età giovanile, indulse alla scrittura erotica, componendo un mediocre e bastantemente sboccato romanzo a puntate per il "Popolo d’Italia", Claudia Particella - l’amante del Cardinale, anche se, com’è universalmente noto, il Duce le sue più riuscite pagine di pornografia le scriverà più avanti, con le parole da lui riservate alla Dichiarazione di Guerra e alla promulgazione delle Leggi razziali: pornografia vera e assolutamente dannosa, quest’ultima, altro che l’amante del Cardinale…

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