Elogio dell’ozio.

21 luglio 2005 Costume e società
Elogio dell’ozio.

Il tempo libero è il tempo libero. Come si fa a metterlo in discussione? Il tempo libero è il tempo più importante, l’unico che non vendiamo, non cediamo a cottimo, non affittiamo interinalmente, l’unico nostro, di nostra esclusiva, propria, privata, proprietà. Il tempo libero è come l’ossigeno, teniamocelo stretto.
Lo so, un discorso come questo può suonare di cattivo gusto, in un’Italia in cui la disoccupazione rischia di diventare la regola, in cui chi ha un posto deve ritenersi un fortunato, un privilegiato a prescindere… C’è chi in vacanza ci passa gran parte della sua vita, suo malgrado, e non si diverte affatto.
Ma la disoccupazione c’è, tra altri milioni di motivi, anche perché c’è chi lavora troppo, e fa due, tre cento lavori, perché uno non basta, né ad avere il necessariamente superfluo, né il necessariamente necessario. Né il pane, né i circenses. Non in quest’Italia dove i ragazzini (i ragazzini!) dovranno scegliere già a 13 anni il settore in cui essere disoccupati in futuro, se far la fame da laureati, o invece da commesse ed operai. Ma già da adesso, da subito, sono messi in lista d’attesa, e non per diventare cittadini, ma aspiranti lavoratori.
Eppure la disoccupazione giovanile c’è anche perché nessuno può più andare in pensione, in una nazione in cui i figli restano a casa sino a trent’anni, saltando come canguri da un’occupazione instabile a una temporanea, le più disparate, diverse tra loro, mentre i genitori settantenni, ormai nonni, lavorano ben oltre il limite pensionabile, lavorano perché devono pagare la disoccupazione dei propri figli. Perché, siccome non c’è limite al desiderio di consumo, non c’è limite alla necessità di lavorare, di guadagnare, per poi comprare e, chi può, si ingozza di lavoro e di guadagno, come un goloso dantesco si riempirebbe l’epa di bigné. In una società di ghiotti, la voracità è, ovviamente, una qualità, un segnale di moralità.
Abbiamo un tale bisogno di acquistare, che ormai compriamo anche i diritti che già abbiamo e quando il tempo libero arriva, quando arriva per diritto, allora decidiamo di comprare una vacanza, ed è ovvio che sarebbe moralistico ed irrealistico chiedervi di decidere tra 15 giorni a Sharm e due mesi a casa propria, leggendo, o passeggiando, posto che abbiate una casa, o un posto dove passeggiare. Però potremmo pensarci per una volta a investire i soldi delle vacanze in acquisto di tempo libero, in aspettativa non retribuita da passare a casa propria: forse ci accorgeremmo che per acquistare di più siamo disponibili a qualsiasi cosa, che siamo arrivati a concepire una mostruosità come il valore ’etico’ del lavoro, dunque della vendita del nostro tempo e del nostro pensiero. Eh già, perché oziare spesso è sinonimo di pensare. In altri di fermarsi, di andar lenti, di perdersi a guardare affascinati la propria ombra...
In entrambi i casi, almeno in certe dosi, non fa mai male. Divertirsi, spesso, è faticosissimo, è un vero lavoro.

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