Romanzi

Romanzi

A dirla tutta io la penso come Roberto Bolaño: scrivere in prosa è segno di cattivo gusto ( e non solo letterario).
Ma poi adoro leggere romanzi (quelli veri, che sono fatti di lingua e parole vibranti e non solo di storie più o meno ’cinematografizzabili’), e mi perdo spesso a tentare di analizzarne la struttura, le forme, i personaggi.In fondo, tutto è iniziato leggendo Gadda e innamorandomi della sua scrittura.
Non solo: ne ho anche scritti tre. Che poi sono uno solo.

Come sia possibile questa cosa ( e chi sia in realtà l’assassino in questa vicenda) lo spiego qui sotto, in quella che è la Prefazione del mio ultimo romanzo in e-book, che - per molti versi - è il quarto, anche se continua a chiamarsi come il terzo: Il Cristo elettrico.


Piccola prefazione che è una postfazione
(2014)

Cari i miei venticinque lettori,
questo scartafaccio che avete improvvidamente tra le mani – o, dovrei dire in questo caso, uscendo subito dalla mascheratura granlombarda, questo file che scorre sornione sul vostro schermo – è il volume falsamente terzo della mia zoppicante trilogia romanzesca, iniziata con Eroina e proseguita con Cucarachas.
Se dico che è “falsamente terzo”, intendo significare che esso altro non è che il risultato dell’intreccio, in modo come vedrete un po’ bislacco, dei primi due romanzi.
Va detto, a mia giustificazione almeno parziale, che sin dall’inizio tutto era stato progettato proprio così: due romanzi apparentemente successivi e consecutivi, che in realtà erano il medesimo, smembrato e separato nelle sue componenti essenziali, riordinato come la realtà mai non è, piuttosto come siamo abituati a raccontarcela: con il passato dietro di noi ed il futuro (sempre magnifico e progressivo) lì davanti, all’avanguardia.

Ora è giunto il momento che l’essere mostruoso e ircocervico si ricomponga e che la falsa trilogia si completi, un po’ come il celeberrimo pistolero “doppio” ne El Topo di Jodorowsky: un solo essere, fatto da un monco e da uno zoppo, uno montato sulle spalle dell’altro.
È tempo che si comprenda (o almeno, più modestamente, che io provi a spiegare) come l’oggetto principale di tutto sia stato il tempo e il suo apparente fluire, insomma l’essenziale di qualsiasi romanzo che si rispetti.
È tempo che il passato e il futuro tornino al loro posto: con la memoria davanti a noi e l’immaginazione acquattata dietro le nostre spalle, mano nella mano all’imprevisto. E non sembri un semplice gioco di parole.

Non si tratta dunque di una trilogia di romanzi (che invero sono solo due, anzi uno) quanto di una trilogia cronologica, o, se preferite, archeologica, di un’azione che è durata nel tempo, ha progredito, è mutata, fino ad essere ciò che è oggi.
Che è ciò che doveva essere sin dall’inizio, anche se allora non avrei saputo assolutamente dire cosa sarebbe stata.

Di più: adesso che si è fatta integralmente e solidamente virtuale, ora che è anche ‘altro’ dalla carta, è divenuta qualcosa che l’autore neanche avrebbe immaginato, cosa che a volte è qualità in arte e in letteratura.

Per puro scrupolo filologico vi ricordo che il primo romanzo, Eroina, fu pubblicato da Transeuropa, nel 1999, mentre il secondo Cucarachas, uscì presso Derive Approdi, nel 2001. Questo secondo ebbe poi una sua storia particolare, perché fu scritto tutto in diretta Internet, sul sito Raisat Zoom.
Non ho dati per affermare che esso sia stato il primo, o l’unico romanzo scritto così (badate: non pubblicato su Internet, ma proprio scritto in diretta sulla Rete), ma non ho notizia di altri che si siano cimentati in tale inane esercizio. La cosa ebbe una certa moderata risonanza e alcuni (probabilmente voi stessi, miei diletti Venticinque) si collegarono al server RAI per seguire in diretta una cosa così noiosa come il formarsi sullo schermo del racconto di un altro, con tutti i suoi errori, dubbi, ripensamenti: una sorta di shock da operaismo quotidiano dell’ispirazione.
Poi nel 2006 – epoca in cui è stata scritta la gran parte di codesta Prefazione – presso il coraggioso e quasi dissennato editore milanese No Reply ha visto la luce la prima e sinora unica edizione cartacea de Il Cristo Elettrico.

Ora è la volta dell’inaspettato: quest’ulteriore edizione digitale che complica ancor più la faccenda, rendendo, peraltro, questa Prefazione definitivamente ed evidentemente una Postfazione, proprio come deve essere una Prefazione degna di questo nome.
Per l’occasione ho limato il testo, l’ho corretto e ho tentato di renderlo adeguato al nuovo supporto.
Per essere del tutto sincero – cosa che in letteratura è vizio fatale – devo dire di aver fatto anche qualche ritocco all’intreccio aleatoriamente mortale che unisce i due testi originari. Ma è cosa di così poco momento, che forse neanche chi già abbia letto potrebbe percepire e che chi ancora non ha letto non c’è ragione che sappia.

Ogni storia si regge su ciò che non narra, in fondo. Cos’altro è un romanzo se non quella complessa menzogna che trasforma una vita, una realtà, in una storia?
O meglio: quell’omissione.
Spero che mi si perdonerà per aver voluto realizzare il mio scopo con tanta testardaggine. E per aver voluto anche quest’altra recidiva.
A mia discolpa considerate che l’ho fatto solo per seguire, infine, il consiglio del Gran Lombardo che disse «che di libri basta uno per volta, quando non è d’avanzo».
E questo, mutatis mutandis, vale anche per gli e-book ;-).

Treviso, 2014.