[Delicatessen 124] Parole come spade
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Le parole feriscono come spade. Perciò vanno usate bene, senza chiamar lucciole le lanterne. Prendiamo il lemma ‘terrorista’. Il suo uso è inflazionato e spesso a sproposito. Qualche esempio: il vicepresidente della CEI ha chiamato terroristi i medici e le donne che praticano, come consentito dalla legge, l’aborto, anche se è ovvio che di terrorista quei medici e quelle puerpere non hanno un bel nulla. Passi chiamarli assassini, ma perché terroristi? Per parte sua, il Pro Sindaco di Treviso, Gentilini, ha recentemente definito terroristi gli insegnanti e i genitori degli allievi delle scuole a due passi dalla De Longhi incendiata, perché, pretendendo una bonifica dei plessi in difesa della salute dei bambini, spargono ‘terrore’. Ecco che, in un lampo, un genitore, o un insegnante preoccupato, si trasforma in un seguace di Al Quaeda. Per ultimo l’angelicissimo Osservatore Romano, che dà del terrorista a Rivera il quale, dal palco del concertone sindacale, ha detto che la Chiesa ha negato i funerali a Welby, ma ha celebrato (aggiungo: in pompa magna) i decessi di Franco, Pinochet e di un componente della Banda della Magliana. Rivera, in soldoni, è un terrorista perché ha detto la verità e questo suo essere un ‘terrorista’ esime il foglio vaticano dal dire alcunché su tante sante esequie come minimo imbarazzanti. Insomma, pare che sia venuto di moda dare del terrorista a chiunque non è d’accordo con noi. A me, invece, resta il filologico dubbio che i terroristi veri (linguistici, se non altro) siano coloro che usano le parole con tanta insensata e provocatoria disinvoltura.
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