I circuiti elettrici hanno rovesciato il regime del ‘tempo’ e dello ‘spazio’. Il loro messaggio è la Trasformazione Totale.
H. M. McLuhan
Per descrivere questa singolare poesia sarà opportuno partire dalla sua energia. E cioè dal suo voltaggio, dai suoi Ohm e dai suoi Ampère, poiché si tratta di una poesia elettrica e la sua forma dipende dalla sua impedenza, il suo contenuto dalla sua induttanza. Per leggere correttamente questa poesia elettrica sarà però necessario eseguire prima una serie di operazioni e procurarsi dei materiali che non sono compresi in questo libro.
I materiali che occorrono sono: una comune pila da 4,5 volt; due pezzi di cavo elettrico in rame; una matita di grafite ben temperata; del nastro isolante.
Le operazioni che occorre eseguire sono:
disegnare e colorare con la matita due stelle a 5 punte, una prima della prima lettera della poesia e una dopo l’ultima; collegare alle stelle e tra loro tutte le vocali del testo, unendole con il segno ┏┓tracciato ben spesso con la matita, realizzando così un circuito elettrico completo; collegare i due pezzi di cavo elettrico in rame ai due poli della batteria e successivamente alle due stelle usando del nastro isolante.
La poesia allora si illuminerà, poiché si illumineranno tutte le sue vocali, a causa della differenza di potenziale tra il polo positivo e quello negativo della batteria e alla resistenza elettrica del tungsteno contenuto nell’inchiostro adoperato per tracciarle. La A non sarà nera, ma gialla; la E non sarà bianca, ma viola; la I sarà rossa; la U sarà verde, la O sarà blu.
Questa poesia elettrica vorrebbe assomigliare a un’altra poesia, molto diversa da lei, e renderle omaggio. Ma in realtà non fa che parodiarla. Come capita a qualsiasi lampadina con qualsiasi sole. Il suo autore però ne è molto fiero e fa della sua artificialità il punto di forza che permette al lettore di vedere come, realmente, ogni vocale sia colore e come sia sempre delle consonanti il compito di tracciare i bordi di qualsiasi figura.
Come colore e suono siano la medesima vibrazione che percorre l’aria tutt’intorno alla poesia e al suo lettore. E come la vita sia elettrica e vibrante anche prima e dopo la poesia.
Questa poesia elettrica elettricamente parla di tutto ciò che è elettrico nella vita e cioè la vita stessa: la gioia, il dolore, il desiderio, l’odio, l’amore, lo scoramento, la meraviglia, la fame, la sete, la compassione, l’ira, la superbia, la lussuria, la fede, il corpo, l’anima, la verità, la menzogna e l’ipocrisia.
Questa poesia elettrica parla di tutto ciò che noi rendiamo elettrico, dandogli vita: numeri, sostanze, codici, cose, materiali, sostanze inerti, perché tutta la forza del carbonio è la sua resistività che lo rende incandescente, che ne fa grafite, o diamante, simbolo, o segno.
Essa descrive come cortocircuitino le cose e i corpi, la vita e ciò che è minerale, immobile, come sia possibile far circolare energia ovunque, come dunque ci sia ancora una speranza concreta. Come elettricità sia sinonimo di vita e come sia morte tutto ciò che isola e che smorza.
La sua sintassi scintilla a ogni subordinazione, la sua grammatica fluorescente fuoriesce dalla pagina e illumina le dita del lettore a ogni folgorazione, il suo equilibrio ortografico levita e sfavilla a fior di pagina sfruttando le correnti di induzione, come fosse una favilla per il vento.
Ogni suo aggettivo e ogni suo sostantivo svettano sulla pagina come cilindrici condensatori dai colori acidi e metallici. I suoi verbi si arrotolano nel fluire dei versi come avvolgimenti di bobine di induzione, resistenze ostinate al comune destino, aggrappati agli avverbi; trasformatori che fanno di ogni connettivo un solenoide lunatico, traccia ostinata d’ogni occasione mancata.
La sua punteggiatura si presenta come le gocce di piombo fuso di un circuito integrato, agisce quasi fosse un sezionatore, un interruttore, distribuisce e veicola, accende e spegne, dirige il flusso elettrico, la corrente del senso.
Le sue consonanti nere e la pagina bianca si polarizzano tra loro e producono energia, dischi di rame e di zinco affogati nella vasca elettrolitica del testo, pronti a galvanizzare i poveri muscoli catalettici di ogni morta rana umana.
I suoi dittonghi sono splendenti metropoli, sfolgoranti nella notte planetaria della lingua, come nella parola utopia, che compare ben due volte nella poesia, all’inizio e alla fine del testo, all’inizio e alla fine di quest’emozione che il linguaggio ha fatto suono e segno.
Mentre è fuori dal testo e dalla pagina, nel contesto, il suo paletto di messa a terra ed esso, naturalmente, coincide con il corpo del lettore.
Tutto ciò mostra, senza dubbio alcuno, che non c’è privilegio dell’alfabeto, ma che anche i colori e i segni dicono, a patto che se ne conosca o che se ne inventi un codice.
E che la poesia non sta in altro che in quest’eco di frazioni che si riconoscono e si rimandano l’una all’altra, scambiandosi energia, invertendo le parti nella commedia, dialogo ininterrotto che sempre si rinnova, come una vite infinita, un anello di Moebius, una serie di Fibonacci, natura radicata che scarica fulmini e saette, senza posa, fin oltre il bordo della pagina.
Se si dovesse percepire, a una lettura attenta, un ronzio di fondo, esso sarà dovuto proprio a questo circuitare elettrico, agli innumerevoli corti che scoccano tra il testo e l’attività cerebrale del lettore, colorando una sua eventuale tomografia assiale con le tinte dell’emozione che comprende proprio quando usa l’equivoco e ne inverte le polarità. A stabilire, una volta e per tutte, che è sempre un’altra la poesia che un altro legge.
Certo, a vederla così, tutta illuminata ed elettricamente scintillante, il lettore sarebbe autorizzato a pensare che si tratti di un espediente di pessimo gusto, che in realtà codesta poesia elettrica altro non sia che dozzinale metafora, mediocre allegoria della luce. Una luminaria pleonastica da fiera o da circo, di cui non sia possibile rendere ragione. E che dunque decida, con un subitaneo ma comprensibile moto di sdegno, di staccare i cavi e toglierle energia, abbuiandola.
Ma, quando si spegnerà la poesia, al lettore sembrerà che si spenga ed estingua il mondo.