Io sono un insegnante e di questa scuola italiana un po’ mi vergogno. Ma non mi vergogno solo per certe colleghe sorprese a far cosacce con pischelli poco più che adolescenti che le erano stati affidati perché lei insegnasse loro a far di conto e a diventare bravi cittadini, e nemmeno per certi pischelli poco più che adolescenti che pensano sia bello dileggiare, offendere, picchiare, umiliare un loro compagno di classe più fragile di loro, firmando la bella impresa con una svastica e un po’ di saluti fascisti e poi filmandola e diffondendola in Rete, come fosse cosa di cui menar vanto. Di questa scuola mi vergogno anche per i suoi edifici, per la miseria dei mezzi a sua disposizione, per l’arretratezza dei suoi programmi, per gli stipendi che paga ai suoi insegnanti e per la preparazione di alcuni di loro, non superiore allo stipendio corrisposto, per il conto in cui è tenuta da politiche ‘ambidestre’, buone a parlare, ma non ad investire. E mi vergogno che, di fronte a tanto sfascio, a nessuno venga in mente che uno stato laico e moderno dovrebbe avere il coraggio di riprendersi tutti i fondi regalati all’istruzione privata, per salvare quella che è la prima garanzia di ogni democrazia: la scuola pubblica, senza cui non ci saranno futuri cittadini, ma solo una massa di adolescenti rampanti, pronti a farsi a pezzi per due lire. Perché io di questa scuola pubblica sono fiero, ogni mattina, quando entro in classe e incontro i miei allievi, perché, nonostante tutto, farne parte, continuare a tentare di mandarla avanti è un onore ed è anche l’unico scampo che ci resta.
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