Si tratta di una TAZ inviata a L’Unità, ma rifiutata per ragioni di “opportunità” a causa del suo coincidere con l’Israele Day. Ho scritto poi un pezzo sostitutivo che è andato regolarmente in pagina.
Assassinî selettivi, compiuti con elicotteri futuribili e missili dotati di GPS, ma che, al momento opportuno, non sanno riconoscere donne e bambini, facendoli a brani, in un tripudio di vendetta cieca ed inutile. L’importante è che siano arabi…
Martiri-terroristi che se ne vanno in giro imbottiti di esplosivo e chiodi. E poi si fanno brillare tra la gente, uccidendo, senza distinzione, seguaci di Sharon e pacifisti, altre donne, altri bambini. L’importante è che siano israeliani…
E quando non bastano gli elicotteri e i missili arrivano le ruspe, i bulldozer, le mine, o il nodo scorsoio di centinaia di check-point, dietro i cui cavalli di frisia si può morire di parto, abbandonate in un’ambulanza a cui non si permette di passare. La trasformazione, tremendamente e beffardamente allegorica, di un territorio in un enorme campo di concentramento all’aria aperta, perpetrata dai discendenti di chi scampò ad Auschwitz e a Buchenwald.
E quando non bastano gli uomini, ci sono le donne, esplosive e martirizzande come i maschi, e tra poco anche i bambini. O, se manca esplosivo, i cecchini, o anche un semplice coltello. Più che sufficiente per sgozzare. Nell’allucinazione terribile che fa credere alle vittime che sia giusto riprendere in mano il proprio martirio per trasformarlo in una ribellione estrema che sconfina pericolosamente nella barbarie del taglione.
Un cocktail folle e cieco di vendette incrociate. Mentre Sharon ghigna e preme sull’acceleratore della sua macchina da guerra. Mentre l’integralismo islamico gongola e trasforma una lotta di liberazione in coranica crociata.
Il martirio di un popolo ad opera di un popolo di martirizzati. Conflitto senza fronte, senza regole, senza pietà, né dignità, né rispetto. Inciviltà suprema. Mentre noi stiamo a guardare e, come io faccio qui, giudichiamo. E se non lo facessimo, ovviamente, saremmo ancor più colpevoli. Ma quando interverremo lo faremo solo per aggiungere barbarie su barbarie, come in Iraq, Kossovo, Somalia, Afganisthan: per fare piazza pulita e ristabilire l’ordine che piace a noi.
Né una parola dura e chiara viene da questa Europa, contro il macellaio razzista che sta portando due popoli al baratro.
Dicono che ormai sia guerra. Ma non è vero, questa non è guerra, è molto peggio, è una cosa nera e tellurica che ci striscia sotto i piedi e per la quale, credetemi, non abbiamo ancora inventato il nome. E noi ci siamo dentro fino la collo.