Yugo Nakamura

24 febbraio 2004 Interviste e dialoghi
Yugo Nakamura

Lui si chiama Yugo Nakamura ed è considerato il mago del Flash - uno dei più noti e diffusi tra i software per la produzione e la modifica di immagini in movimento.
Per rendersi conto di quanto questa definizione sia azzeccata, basta recarsi anche una sola volta in uno dei siti web disegnati da lui: l’essenzialità delle immagini, la stupefacente morbidezza dei loro movimenti, l’assoluta essenzialità che presiede al tutto, vi persuaderanno immediatamente che per riuscire a convincere una macchina fatta di silicio ad essere così docile, per riuscire a parlare ai chip in modo tanto efficace da piegarli, apparentemente senza sforzo alcuno, ai propri desideri bisogna essere certamente qualcuno che, se non è proprio un mago, è qualcosa che si avvicina molto a una roba del genere…
Lui si definisce più semplicemente un interface designer, insomma un designer di interfacce, un inventore di linguaggi, se volete, e di immagini che quei linguaggi partoriscono.
Già, l’interfaccia: ciò che è in ballo quando parliamo di interfacce è esattamente la capacità di dialogo tra uomo e macchina, insomma un problema linguistico e semiotico (o cibernetico), ma anche integralmente politico, nel suo coinvolgere la possibilità dell’uomo di dare corpo ai suoi sogni attraverso il dialogo col corpo della macchina.
In un qualche modo, ancora oscuro magari, Yugo sta dunque lavorando all’avvenire dei nostri sogni, o meglio, all’avvenire dei ’modi’ in cui potremo e sceglieremo di sognare.
Per incontrarlo sono a Fabrica, la farm creativa fondata da Benetton a Catena di Villorba, nei pressi di Treviso, che lo ha invitato per tenere una serie di work-shop con i suoi borsisti della Sezione New Media.
Mentre mi avventuro per i corridoi e gli spazi bellissimi inventati per Fabrica da Tadao Ando, penso che, per essere in Veneto, Fabrica è assolutamente il posto più giapponese dove Yugo potesse arrivare…
Ad accompagnarmi da lui è Andy Cameron, il Direttore della Sezione New Media, anche lui un guru dei linguaggi (e delle arti) interattive e ne approfitto per chiedergli le ragioni che hanno spinto Fabrica a invitare Nakamura.
-Yugo è oggi certamente il più importante interface designer nel mondo… Credo che lui fonda la sensibilità giapponese con una visione globale e una sensibilità assolutamente occidentali. Una combinazione davvero interessante, mi pare. Quello che lui chiama interface design io, per conto mio, lo chiamo linguaggio dell’interattivtà, media interattivi, ma credo che poi noi due siamo sulle stesse posizioni e siamo tutti e due interessati allo stesso campo, perché è un campo del tutto nuovo. Operando con i media interattivi è possibile trovare cose, forme, contenuti, nuovi e attraenti in un modo che non sarebbe possibile se operassimo adoperando il cinema, o la televisione, o la letteratura, perché questi sono tutti media che hanno alle spalle una lunga storia e i loro linguaggi e le loro retoriche sono già stati ampiamente esplorati e in maniera davvero estesa. I media interattivi come forma di comunicazione estetica hanno davvero poche decadi di età alle spalle e in questo campo è ancora possibile trovare nuove forme di comunicazione di successo, che nessun altro ha ancora scovato ed è una avventura davvero attraente, questa, per gente che abbia voglia di sperimentare con nuovi mezzi di comunicazione. Naturalmente l’obbiettivo è sempre quello di comunicare, l’obbiettivo è sempre parlare con un altro essere umano, ma se possiamo trovare un modo di farlo che nessun altro ha ancora utilizzato, beh, questo può essere davvero molto emozionante. Yugo sta lavorando esattamente a questo, a sviluppare i linguaggi che permettono l’interattività: lui lo chiama sviluppo delle interfacce, ma è la stessa cosa che dire media interattivi: si tratta di pensare a nuovi modi e a nuovi linguaggi che permettano alla gente di impegnarsi a realizzare delle rappresentazioni che poi ritornino a loro,interattivamente, a nuovi modi di avere un dialogo tra una macchina e un essere umano. Io credo che oggi lui sial il numero uno nel mondo ed è davvero eccitante averlo qui, arrivato da Tokyo sino a Catena di Villorba…
Quando arriviamo da lui, Yugo è davanti al suo lap top, circondato da studenti, mentre mostra loro, accompagnando la digitazione con uno stranissimo inglese, i segreti che permettono di parlare col silicio e di convincerlo a far finta d’esser vivo. E’ un giovanotto con un viso sorridente, cortesissimo. Evidentemente felice di condividere ciò che sa. Di interfacciarsi con gli altri, per l’appunto…
Il rapporto tra te e Fabrica per questa collaborazione e questo work-shop com’è nata?
-Il rapporto è nato un po’ per caso, Ho ricevuto una mail da Fabrica e siccome ne avevo già sentito parlare ed ero interessato al loro lavoro creativo ho accettato e da ieri sono qui per volgere un work shop di tre giorni con gli studenti della Sezione New Media. Un’altra cosa che ho saputo prima di venire in Italia, è stata che Andy Cameron, di cui ero un ammiratore già da tempo, era il Direttore della Sezione New Media e così venire qui avrebbe significato per me poterlo incontrare e la cosa è stata fonte di grande gioia…
Yugo risponde alle domande con un rito assolutamente personale. Resta in silenzio per un po’, dopo aver ascoltato la traduzione dell’interprete giapponese che ci accompagna, poi sospira battendo lievemente i polpastrelli sul tavolo. Solo dopo almeno un minuto risponde, tutto d’un fiato, ma lentamente, come con un’emissione di fiato costante e continua, che sembra infinita, e giuro che, per certi versi, quello che interessa di meno, dopo averlo sentito rispondere in giapponese, è trascrivere la traduzione italiana di ciò che ha detto. Ma - ovviamente - mi sottraggo all’attrazione del suono e torno a bomba all’intervista…
Lei è un mago del Flash… come mai ha scelto di operare proprio con questo software?
-Non è che io operi solo con Flash, ma Flash ha un grande vantaggio. E’un software molto efficace nel senso che dall’idea, dal concetto di partenza, che bisogna sviluppare, a cui bisogna dare forma concreta, al momento della sua realizzazione Flash richiede poco tempo, è, insomma, un soft estremamente produttivo, ha grande duttilità, ciò significa che con Flash puoi fare molti tentativi diversi per realizzare la stessa idea di partenza ed anche molti errori, e questo è esattamente il mio modo di lavorare: io provo molte cose diverse e poi butto via tutto quello che non mi soddisfa. Posso ripetere più volte, fare vari tentativi e, in questo senso, questo strumento è molto adatto al mio modo di operare… Per il design è anche importante che una volta prodotto un oggetto esso sia raffinato e per questo esistono gli strumenti molto più raffinati, lo so, ma per fare design entro un certo tipo di standard, accettando alcuni limiti, il Flash è molto adatto.
A suo parere qual è stata l’influenza del digitale e della Rete sulle arti e sull’estetica contemporanee?
-A proposito del rapporto tra l’arte e lo sviluppo dell’informatica e della Rete, penso si possano dire due cose, che ci siano due direzioni che possano essere percorse. Senza dubbio questi strumenti hanno fornito agli artisti la possibilità di potenziare le proprie abilità, quindi essi ora possono esprimere cose che prima non era possibile tecnicamente esprimere; un’altra cosa, poi, è che oggigiorno, soprattutto nel campo di Internet e della costruzione dei web site, anche se non si è specialisti, si possono possedere livelli altissimi di tecnologia, quindi attualmente per quanto riguarda le tendenze attuali, non è più in questione l’altissimo livello di tecnologia, si stanno piuttosto evidenziando una serie di ricerche a proposito dell’idea di origine e, insieme, del nucleo originario da cui si è sviluppato e si sviluppa il web design. Quindi l’attenzione non è tanto posta sulla tecnologia e sulla sua potenza, ma sulle idee..
Sei il figlio di una tradizione lontana, che ha una grandissima storia alle spalle, molto differente da quella occidentale: come ti poni di fronte a un problema che per noi occidentali è molto importante, come quello del rapporto tra Avanguardia e Tradizione? A guardare le tue opere mi pare tu abbia una grande capacità di fondere tecnologie ed estetiche d’avanguardia con l’essenzialità e la purezza della tradizione orientale…
-Certo, hai ragione: in effetti questa contrapposizione tra Avanguardia e Tradizione non è chiara fino in fondo per me; inoltre, anche per quanto riguarda il mio rapporto la tradizione giapponese , non ho in effetti coscienza di esprimere o mostrare, in qualche modo, la sua influenza. Il mio approccio all’arte, al design, è semplicemente quello di togliere, cancellare la mia identità, le mie caratteristiche personali e recentemente mi sto rendendo conto come questo mio particolare modo di affrontare l’arte viene visto dai non giapponesi come qualcosa di estremamente ’giapponese’, ma di questo mi sto accorgendo solo ora. Per quanto riguarda l’Avanguardia non penso di stare facendo arte d’avanguardia, certamente i metodi, gli strumenti che utilizzo, gli ambiti in cui mi muovo sono di altissima tecnologia, assolutamente contemporanei, ma quello che io faccio è poi semplicemente cercare di scovare qualcosa di esteticamente interessante e che poi possa interessare anche la gente, anche cose minime, cosa che ci circondano nella nostra vita quotidiana…
Quanto sono importanti la Rete e le tecnologie low tech per la democratizzazione dell’arte, intendo dire dell’accesso libero e comune alle tecnologie per la produzione dell’arte, per la sua distribuzione e condivisione…
-Per quanto riguarda il campo creativo di Internet questa democratizzazione è ormai quasi del tutto avvenuta, è ormai cosa fatta: oggi se si può accedere alla rete si possono esporre le proprie creazioni immediatamente e renderle visibili praticamente a chiunque. In questo caso a decidere della visibilità, della fruibilità di un’opera, non è più qualsivoglia logica distributiva o di potere, o di profitto, ma solo la qualità dell’opera che si è prodotta, quindi è difficile che qualcuno che fa un bel lavoro non venga notato, almeno in questo ambiente…
Le leggi sul copyright sono sempre più ossessive ovunque nel mondo e per quanto riguarda l’ambito dei media interattivi questo significa soprattutto software e sources (codici sorgente) proprietari… Quanto, a tuo parere, tutto ciò - oltre a impedire l’implementazione autonoma dei sistemi e dunque la libera circolazione del sapere informatico - può influire negativamente su tutte le potenzialità liberatorie e orizzontali della Rete e infine sullo stesso digital divide?
-Per principio io penso che sia importantissimo rendere assolutamente più aperti i sources - chiunque li abbia prodotti. Certamente in un mondo come quello dell’informatica dominato dai network, esiste il rischio che qualcosa si estremizzi, voglio dire che, ad esempio, se un software proprietario diviene dominante, chi lo controlla, cambiando una piccola parte di codice può limitare la libertà d’utilizzo, anche creativo, di una parte di questo software. Io personalmente non ho nessun tipo di rapporto con roba del genere e di principio penso che sia importante una maggiore apertura, condivisione, dei sources alla base dei programmi applicativi.
E, detto questo, con un sorriso torna a farlo per davvero Yugo: condividere, intendo, perché ci saluta con un inchino e torna dai suoi studenti, a spiegare come si fa, quasi a sottolineare che un sapere che non sia condiviso è un sapere inutile… Allora lo lascio al suo lavoro e, mentre ci avviamo verso l’uscita, mi informo con Andy sui prossimi programmi di Fabrica New Media, del post-Yugo insomma…
-In senso lato facciamo quello che di cui ti stavo parlando prima che incontrassimo Yugo:sviluppiamo i linguaggi dell’interattività.Attualmente stiamo sviluppando un progetto col gruppo Benetton per installare dei videoterminali interattivi nei loro megastore, per rendere più emoziante l’esperienza di una visita in uno di questi luoghi, specialmente per i consumatori più giovani. Siamo anche interessati a utilizzare i volti Benetton. Il modo in cui Benetton ha sempre lavorato con i volti, intendo dire, non il volto di una modella di Milano o di New York ,questa volta potrebbe essere il volto di un consumatore, è un esperimento, non so se funzionerà e non so se Benetton voglia andare in questa direzione, ma il nostro lavoro è quello di cercare nuove possibilità, metterle sul tavolo e dire: guarda questo è quello che possiamo fare. Così noi abbiamo installato dei video interattivi a Lisbona, Bologna e Shangai e hanno avuto molto successo,inoltre abbiamo sviluppato un sistema di videomessaggeria chiamato United People, il cui prototipo sarà sperimentato a Treviso molto presto, non appena riusciremo ad ottenere le connessioni all’interno del megastore trevigiano .

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