Uno Shakespeare italiano (e postmoderno?): intervista ad Edoardo Sanguineti

1 settembre 2007 Interviste e dialoghi
Uno Shakespeare italiano (e postmoderno?): intervista ad Edoardo Sanguineti

Si apre in questi giorni a Roma, per la cura di Rosy Colombo e Ferruccio Marotti, un importante convegno di studi shakespeariani che parte dal presupposto dell’assunzione di Shakespeare a paradigma per tutta la modernità e che si propone di indagare soprattutto due aspetti dell’opera del celeberrimo autore inglese, da una parte la presenza del Rinascimento italiano nell’opera di Shakespeare, e viceversa l’enorme impatto della sua drammaturgia sulla cultura italiana moderna e contemporanea. Ma, al di là di tutto ciò, a scorrere l’intenso e ricchissimo programma del meeting romano, ciò che appare evidente è l’intenzione dei curatori di cogliere quest’occasione shakespeariana, al di là dei pure evidenti e legittimi aspetti accademici e strettamente filologici, per riflettere, proprio a partire dalla fortuna dell’autore inglese, sulle dinamiche metamorfosi che accadono nei contatti fra culture, tema questo più che mai attuale. All’appello dei curatori ha risposto un parterre di indubbio prestigio: da Tullio De Mauro, Frank Kermrode, Alberto Asor Rosa, a Robert Henke, Nadia Fusini, Andrea Cortellessa, Edoardo Sanguineti e a molti altri studiosi italiani e stranieri.
Chi più del poeta genovese, presente al convegno con la messa in scena delle sue traduzioni dei Sonetti shakespeariani, poteva cogliere quest’aspetto presente, contemporaneo, di una riflessione sull’autore dell’Amleto? E’ proprio a lui, allora, che abbiamo chiesto di condurci per mano nei labirinti della fortuna, delle interpretazioni e della necessità di rileggere oggi Shakespeare.

Tu hai tradotto, ‘travestito’, come preferisci dire, molti autori, da Petronio a Goethe, dai tragici greci a Moliere, ti sei spinto fino a ’travestire’ degli autori italiani, penso all’Ariosto, o a Dante stesso. E quasi sempre, se travesti, travesti per il teatro.
Come nasce questo Sonetto, un travestimento shakespeariano, che hai realizzato con la collaborazione di Andrea Liberovici e l’interpretazione di Ottavia Fusco e che, in qualche modo, è legato a una tua precedente pubblicazione, illustrata dalle belle immagini di Mario Persico, Omaggio a Shakespeare - Nove sonetti (Manni editore)?
L’occasione da cui nasce tutto è stata abbastanza particolare e fu proprio un’occasione teatrale. Un regista, Tonino Conte, che dirige qui a Genova il Teatro della Tosse e che ha lavorato lungamente, com’è noto, con Emanuele Luzzati, mi propose di mettere in scena un ‘Tutto Shakespeare’ attraverso una serie di riscritture moderne. Mi prospettò l’idea di scegliere una qualche commedia, o dramma. Io gli proposi, invece, di intervenire con una specie di Prologo e scelsi alcuni Sonetti cercando di utilizzarli come strumento teatrale. Un altro tipo di ‘tradimento’,, ancora più netto, se vuoi, è connesso poi alla realizzazione sia musicale che scenica di Liberovici che preparai per Spoleto quando abbiamo fatto insieme un Machbet. Questa riduzione e traduzione che feci, rimescolando anche il libretto del melodramma verdiano, è stato uno stimolo in più alla riscrittura.

Shakespeare è considerato un po’ il simbolo del Moderno, penso, ad esempio, alle celeberrime pagine dedicate nel Pascal di Pirandello all’Amleto, ma potrei fare tanti altri esempi. Da cosa deriva tutto ciò?
E’ vero, in realtà si tratta di un lungo sviluppo di quella che è stata la riscoperta romantica di Shakespeare. Nell’età in cui trionfava il Classicismo e il punto di riferimento di tutto il tragico, ma anche del comico, era il teatro francese, Shakespeare aveva subito una sostanziale emarginazione. A partire dalla riscoperta romantica invece tutta la modernità, e quindi anche quella che è anche la nostra esperienza in continuità con il mondo borghese e la cultura borghese, recupera un culto per la sua opera teatrale che è pressoché totalizzante.

Shakespeare ha un rapporto particolare con l’Italia, non a caso parte di questo convegno è dedicato proprio a questo. Quanto viene a Shakespeare dall’Italia e quanto Shakespeare, invece, dà all’Italia, o prende dall’Italia, e penso alla sua attenta lettura, ad esempio, del Troilo boccaccesco?
Come Shakespeare ha molto ricavato, per varie vie, dalla cultura italiana, ma diciamo pure dalla cultura classica, non sempre direttamente, qualche volta con mediazioni tortuose e non agevoli da ricostruire, anche noi abbiamo ricavato da lui una certa immagine dell’Italia, che del resto è passata nella cultura dell’età elisabettiana, per cui eravamo un paese pieno d’intrigo, d’inganno, insomma, Machiavelli in Inghilterra, come si dice con un titolo ormai proverbiale, e questo ha anche suscitato nei confronti di tutta la cultura straniera, e persino negli italiani stessi nei propri confronti, un’immagine, torno a dire, assai romantica, avventurosa, inquietante, insieme, dell’esistenza italiana.

Il convegno mi pare ponga la figura di Shakespeare come possibile grimaldello per interpretare la contemporaneità. Questo Shakespeare romantico è davvero utile per interpretare una contemporaneità così poco ‘sublime’ come la nostra?
Io credo che, malgrado tutto, la stratificazione culturale di cui dicevamo prima permette di rinnovare in qualche modo e, diciamo così, di adattare, sia sulla scena, sia attraverso il panorama critico, sia attraverso mediazioni ulteriori, che possono essere il cinematografo, in qualche caso la televisione, la nostra esperienza contemporanea dei testi shakespeariani. Evidentemente sarebbe soprattutto la storia, per quanto riguarda lo Shakespeare teatrale, delle realizzazioni drammatiche, delle regie, delle interpretazioni degli attori, quella che gioverebbe per seguire la fortuna shakespeariana. Ma direi che non esiste un grande regista, non solo italiano, ma occidentale (e forse le cose stanno ormai in modo che questa cosa riguarda anche le culture orientali) che non cerchi di misurare le opportunità del Moderno proprio rileggendo Shakespeare. Questo, ed è cosa che ci interessa particolarmente, ha toccato anche lo Shakespeare dei Sonetti, che mi pare non a caso abbia avuto un suo rilevante spazio anche nella cultura italiana del Novecento, e penso ad esempio a Ungaretti, o a Montale, e abbia riscosso attenzione come luogo tipico di esercizio ardimentoso di scrittura.

Non ti pare paradossale che un autore così intensamente romantico, come tu sottolineavi prima, trovi poi la sua ricchezza in qualcosa che è assai poco romantico, come la ‘riscruttura’, la stratificazione, tutte cose molto lontane dall’originalità?
Sì, questo è vero, vorrei, però, precisare una cosa: quando dico romantico, dico la radice della cultura moderna. Abbiamo reagito a questa cultura, pur essendo in un senso largo ancora all’interno di quell’orizzonte che io amo chiamare romantico-borghese e che è connesso poi allo sviluppo della visione borghese del mondo. In un certo senso, si potrebbe dire, con paradosso, che noi saremo romantici fino a che saremo nell’orizzonte della cultura capitalistica...
Come sottolineavi prima, Shakespeare e la sua opera sono un patrimonio della cultura internazionale. E’ possibile dedurne una lezione che ci insegna che la culture sono fatte per influenzarsi, per contaminarsi e per scambiare, proprio in un momento in cui l’attenzione di molti sembra fissa sulla purezza delle origini e delle culture, contrapposte l’une alle altre?
Sì, io credo che ci sia a questo riguardo una parola che riassume tutto ed è la parola globalizzazione, nel senso che, per un verso, evidentemente, essa rappresenta una pulsione fortissima a un globalizzarsi, appunto, dei rapporti culturali, dei reciproci confronti, a una fusionalità varia di strutture, di livelli e di modi. Per altro verso, tutto ciò comporta cambiamenti che ci si sono imposti anche con durezza e che sono arrivati accompagnati da fenomeni molto violenti di espansione imperialistica, ciò suscita anche della reazioni e queste reazioni comportano spesso un rinchiudersi, un rifugiarsi nel mito delle ‘origini’, di identità remote e quindi spingono verso la chiusura e la regressione. E’ impossibile prevedere come si risolverà tutto questo, ma certamente questo è il problema culturale, ma non solo, politico e concreto di questa fase storica.

Ed è dunque questa oggi l’utilità concreta, politica, di uno Shakespeare condiviso?
Infatti. Proprio così.

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