Una strana guerra, una sporca guerra

28 novembre 2003 Politica e movimenti
Una strana guerra, una sporca guerra

Davvero una strana guerra, questa dell’Irak. Una guerra che doveva essere la prima combattuta secondo la nota "Teoria Rumsfeld", da pochi uomini, breve, ad altissimo contenuto tecnologico, praticamente indolore per i civili e che, invece, assomiglia sempre di più all’ultima carneficina di una lunga serie: una vecchia, immonda, normalissima guerra per il petrolio, nella cui fornace gettare a palate il combustibile solito di divisioni e battaglioni di ragazzini diciannovenni arabi e americani, diretta da comandanti che cambiano strategia con la stessa disinvoltura con cui si cambierebbero d’abito, inquietantemente simili a quegli strateghi gaddiani che strofinavano i «battaglioni massacrati» sugli obiettivi «come fossero zolfanelli». Durante la quale muoiono prima di tutto i civili e che promette di durare a lungo… Una roba, insomma, che con la dottrina Rumsfeld non ha niente a che fare e che, invece, sembra ripromettersi di essere il più simile possibile al Vietnam, o alla Corea. Lo ha detto anche Barry McCaffrey, ex comandante della 24esima Divisione durante la Prima guerra del Golfo: per vincere occorreranno molta violenza e molte perdite. Come sempre. Una guerra in cui i contadini possono tirare giù a colpi d’archibugio un computer bellico volante come un elicottero Apache e che - visto l’allungamento delle truppe anglo-americane su un territorio sostanzialmente in mano nemica - promette di trasformare quanto prima gli assedianti di Baghdad in assediati. In cui alla fine, come sempre, toccherà guardare il nemico negli occhi. Altro che satelliti, missili e portaerei.
Ma anche una guerra che si dovrà vincere e che si vincerà a qualsiasi costo ( letteralmente, a qualsiasi costo), nella quale le armi di distruzione di massa, essendone, almeno formalmente, la causa, potrebbero avere qualche ruolo e che sarà - comunque - un laboratorio per sperimentare ogni e qualsiasi immondizia. Una guerra di cui sappiamo poco, in cui ci sono degli scudi umani occidentali di cui l’Occidente ignora praticamente l’esistenza, e in cui è possibile, dopo aver deplorato la tattica nemica di nascondere comandi militari nelle scuole, procedere alla distruzione sistematica di tutte le scuole di una città. Una guerra in cui sui civili (occidentali e arabi) sparano tutti, iracheni e angloamericani, salvo poi dare la colpa altrui. In cui una parte d’Occidente si scandalizza dei prigionieri americani mostrati in TV, tanto quanto era stata indifferente ai talebani legati come bestie negli stabbi di filo spinato di Guantanamo, o quanto aveva gioito dinanzi a quelle dei primi prigionieri arabi inginocchiati dinanzi ai Marines. Ultima mutazione genetica dell’orrore, a cui si può partecipare perfino di nascosto, facendo finta di non farlo, col pudore peloso del fariseo che pubblicamente deplora: come fa il nostro Governo.

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