Tremate, tremate, le Liale son tornate!

10 giugno 2005 Articoli e recensioni
Tremate, tremate, le Liale son tornate!

Parlare di poesia ’sperimentale’, oggi, in Italia, rischia d’essere, per certi versi, difficile. E’ l’Italia letteraria del nuovo capolavoro mensile, l’Italia in cui gli ottimisti di ieri diventano gli apocalittici di oggi, anche se si tratta solo di un’apocalisse privata, con le finestre ben serrate sul mondo, l’apocalisse del proprio ombelico. Altro che ’sperimentazione’…
A proposito di poesia ci sono poi esempi stupefacenti di barbarie critica, come quelli di chi non prova alcun pudore a sbeffeggiare l’avversario dandogli del poveraccio, solo perché non ha ancora pubblicato con Mondadori. Ma la nostra è anche l’Italia nella quale si può leggere sulla quarta di copertina delle poesie di Gatto, pubblicata da una prestigiosa editrice, che il poeta «ha saputo attraversare movimenti e tendenze d’avanguardia (Gatto?) come l’ermetismo (sic!)». E nessuno ci trova nulla da dire. Intanto si è diffusa un’incredibile, anacronistica, ostinazione nell’esercizio di una sorta di calunnia critica nei confronti del Gruppo 63 e più in generale della sperimentazione poetica, che non può non far tornare in mente certi politici berlusconidi che si sono ritagliati un posto nella politica italiana gridando al pericolo comunista proprio all’indomani del crollo del Muro. Ma tant’è. Si afferma la novità di neo-simbolismi, neo-orfismi, se va bene di neo-espressionismi, legittimandolo con un: dalli all’avanguardista! buono più o meno per ogni stagione, dai primi anni del Novecento a dopodomani. Per farlo, vanno bene categorie critiche prêt à porter, che trovano nell’ineffabilità di turno l’uscita di sicurezza che permette loro di farla franca e di ottenere l’attenzione che inevitabilmente si accorda ad ogni falso allarme.
A farne le spese sono le molteplici esperienze che hanno il coraggio di rischiare strade nuove, di avvicinare l’Italia all’Europa, alla faccia di chi si ostina a restare al di qua di Chiasso, per amministrare - verso stanco, dopo verso inutile -i poveri privilegi che tutto ciò garantisce. Nel frattempo, antologia dopo antologia, si cerca di far spazio a ’canoni’ impossibili, in cui si spazza via quanto di meglio l’Italia ha prodotto negli ultimi anni, per far spazio a se stessi, ai propri sodali, magari alle numerose covate di neo-neo-epigoni del verso libero, la cui fedeltà alla linea è assicurata dalla promessa di qualche riga recensoria sulla stampa. Da una parte c’è, dunque, un consistente nucleo di autori impegnati nella sperimentazione di forme nuove, che a volte esulano dallo stesso libro, che inventano ogni giorno nuova poesia, sia scritta che detta ad alta voce, ma che hanno poco spazio nei canali ufficiali, dall’altra frotte di nipotini del déjà-vu, che si affidano alla deriva di poetiche datate, in cui l’io - quell’asparagone dell’io, come lo chiamava Gadda - torna a fare la parte del leone, poetini in punta di sonetto, un po’ anacronistici, che però l’editoria mainstream ed i suoi impiegati su carta e in Rete non mancano di coccolare… Ma che dicono di tutto questo i poeti ’sperimentali’, quelli ai quali non è concesso spesso parlare?
Ad andarci giù più duro di tutti è Aldo Nove « Credo che il problema non sia il ritorno all’io. E’ che è un tipo di io inconsistente come la poetica che lo sorregge, quella di un certo mainstream autoreferenziale e asfittico che ha il suo centro di potere editoriale in figure mediocri come Cucchi». Più conciliante il parere di Caliceti, secondo cui « l’arcipelago della poesia in Italia è molto più frastagliato rispetto a un dualismo così frontale. Penso a un poeta come De Angelis, in particolare al suo ultimo libro, che mi pare uno dei migliori usciti negli ultimi anni, e mi chiedo dove si pone. D’altra parte, mi pare che ci siano cose che vale la pena di segnalare. Penso al Fondo Villa, di Reggio Emilia. De Angelis, Villa, a che categoria appartengono?» Molto articolato è anche il parere di Inglese « Io credo che un discorso sulla "poesia sperimentale" sia interamente ancora da fare, per quanto riguarda il panorama italiano dagli anni Novanta fino ad oggi. La categoria designa un "nucleo consistente" di autori, ma questo nucleo si muove in forma sparpagliata e dialogante, senza fare gruppo compatto. Vi è però un’indubbia "aria di famiglia" che lega tra loro una serie di poeti che hanno esordito negli anni Novanta. Che cosa ci accomuna? Un assunto generale: il linguaggio poetico è un linguaggio di crisi, come critico è, per ragioni storiche, il nostro rapporto di individui alla realtà. È questa crisi inaggirabile che orienta il nostro atteggiamento di inquietudine e ricerca nei confronti delle forme poetiche (scritte, orali, performative). E tale crisi, spesso, né la narrativa né il cinema sanno esprimere con la medesima radicalità della poesia.» Rosaria Lo Russo è tagliente: « La cosiddetta grande editoria non si aggiorna. In tutto il mondo si producono cd di poesia, o audiobook, qui in Italia è ancora merce rara. C’è una mentalità retriva, pavida. La poesia diventa un prodotto tranquillino e digeribile, o, se osa l’eversione dei linguaggi, viene crocianamente considerata non-poesia.» Ancora più duro il giudizio di Ottonieri: « Il problema è la melassa della mediocrità travestita da indicibile, in cui neofiti ed entusiasti della poesia-senza-aggettivi sono indotti a impastoiarsi. E’ il kitsch dell’impoetamento. Questa mediocrità, che porta in sé l’alibi di una medietà semmai "comunicativa", o l’illusione della fedeltà ad una tradizione all’infinito perpetuante se stessa e i suoi osservanti, diviene occasione di autoaffermazione più o meno vicendevole (in particolare presso la sua cialtrona casta sacerdotale) ma è compito della poesia, invece, dare voce all’impossibile». Sara Ventroni, successiva di una generazione, focalizza il problema storicamente: «Il punto mi pare questo: da una parte la vitalità della poesia - il suo esistere come forza, non come lingua morta - dall’altra la sua assenza, quasi totale, dall’orizzonte degli investimenti dell’editoria. Ancora una volta stiamo parlando - come si ritrovarono a fare intellettuali, poeti, scrittori, nel secondo dopoguerra - di cos’altro resti da dire quando la poesia viene ridotta ad un solo canone e quindi di una pericolosa reductio ad unum di un macro-genere (la poesia) ad un micro-genere (la lirica) che spesso tende ad escludere altri linguaggi e a dirsi solo sottovoce, come se la poesia non dovesse svegliare la realtà, soprattutto quando dorme così bene». Lisa, stessa generazione di Ventroni, rincara la dose: «L’editoria impone un approccio user-friendly; esige un prodotto sciatto e omologato, che blandisca il conformismo proponendo una deriva tardo-romantica fondata sull’elegia dei sentimenti: una poesia narcotica e narcisistica». E’ evidente, però, che questo ritorno della Tradizione vuole passare per la vera novità: l’ossimoro è implicito e capita così di scoprire che, a distanza di quarant’anni, l’obbiettivo è ancora il Gruppo 63. C’è chi recentemente ha gridato alla Restaurazione, senza specificare, però, chi fossero i Restauratori. Io sento, piuttosto, un grido malagurante: tremate, tremate le Liale son tornate!
«Magari fosse tornata Liala - è la risposta di Nove - che non ha mai preteso di essere letteratura alta e faceva il suo lavoro artigianale di intrattenimento! Oggi le Liale sono consacrate. Quindi, più che una restaurazione, è un’instaurazione (di parametri rovesciati)». « Le Liale non sono ingenue signorine però - sottolinea Lo Russo - la poesia veicolata oggi come Vera è decadente (in senso cosmetico: è una vecchia signora che ripara i danni del tempo a furia di interventi "estetici" che rivelano la loro patinata, viscidissima falsità). Si sta restaurando la poesia neutrale, che poi neutrale non è, ma benpensante e melensa. Penso ai vari Cucchi, Rondoni, ai bianchi, pallidi einaudianini». Per Niva Lorenzini, storica della letteratura, c’è poco da stare allegri. « Ritorno alla Tradizione? Ma quale? Per confrontarsi occorre conoscere, dibattere. Parlerei semmai di appiattimento, di copie malriuscite che si schiacciano su un presente senza profondità, con la presunzione di darsi come recupero di modi e forme, ignorandone la dialettica e la necessità storica. E’ la situazione del nostro presente, d’accordo, quella dell’espropriazione della memoria e dell’esperienza: ma allora perché non farlo esplodere, il presente, esibirne le aporie, mettere in discussione il linguaggio che lo rappresenta?»
E poi ci sono fiumi di antologie, da fine millennio e da inizio secolo…
Frasca, oltre ad essere un poeta, è anche uno storico della letteratura, e sottolinea molte mancanze di rigore: «Un’antologia per essere un lavoro serio non può che essere affidata a dei critici e pertanto deve basarsi su un forte assunto, capace di connettere i testi antologizzati (non già i poeti) alle forze tipologico-culturali riconosciute in atto in una determinata società, non alle piccole zuffe del sottoinsieme delimitato, e dunque rissoso, dell’industria editoriale. Date queste premesse, mi sembra che il panorama attuale delle antologie nostrane riproponga quanto di più tronfio, insulso e autoreferenziale passi ancora sotto il nome di poesia. La vita, però, l’economia, la politica, magari l’arte stessa, fortunatamente scorrono altrove.» E Niva Lorenzini come giudica le ultime, tante antologie poetiche? «Delle antologie che "sbocciano" di questi tempi, in pestilenziale fioritura, non mi andrebbe proprio di parlare. Da una parte incoraggiano colpevolmente l’equivoco che sia possibile un travaso vissuto-scrittura acritico ed ecumenico (un antologista con le carte in regola, E. Testa, parla di "appello da raduno condominiale". Basterebbe ricordare la Rondoni-Loi, modello su tutte di diseducazione critica). Dall’altra, capita che le selezioni che appaiono severe (21 poeti ’coraggiosamente’ individuati da Piccini) non rispondano a criteri metodologici solidi, risultando poco più che scelte individuali, di gusto privato».
Che si tratti davvero di ’Liale di ritorno’?

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34 Messaggi del forum

0 | 10 | 20 | 30
  • C’è stato un tempo in cui si credeva che l’arte potesse cambiare il corso della storia, incidere profondamente nei conflitti sociali, anticipando di fatto i processi rivoluzionari.
    Sappiamo tutti come è andata a finire.
    La poesia poi essendo la più negletta e reclusa tra le arti meno che mai, specie di questi tempi.
    L’arte però può cambiare il mondo nel senso che ogni volta che qualcuno si sofferma di fronte a un’opera d’arte, a un insieme di versi, ne esce, seppure in una forma quasi impercettibile, cambiato dentro e quindi, in qualche modo, diverso.
    Ecco come e perché, secondo me, l’arte cambia il mondo.
    ciao

    Gabriele Pepe

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 2 luglio 2005 16:02, di Lello Voce

    Caro Marco,

    intanto grazie di aver voluto continuare la discussione con me. E grazie del tuo generoso giudizio sul mio lavoro, anche se, come certo immagini, questo non cambia il mio sulla tua produzione. Ma va bene così, le discussioni fertili sono quelle in cui si parte liberi da ogni pretesto, prevenzione, o falsa cortesia.

    Rimango comunque stupito che tu ti ostini a far colpa a me di non accettare le differenze. In realtà il mio pezzo è solo una risposta a tanti altri che, sulle stampelle di un’analisi critica orba e zoppa, tentano di cancellare una stagione che io ritengo vitale del nostro Novecento. Io non ho avuto difficoltà alcuna ad ammirare il lavoro di Fortini, o quello di Zanzotto, sono altri che si ostinano a tentare di rinchiudere nel ghetto la sperimentazione, la poesia che cerca strade nuove e diverse dalla Tradizione, attingendo tanto al futuro quanto alle tradizioni. Rimando dunque le tue giuste osservazioni sulla capacità di accettare il ‘diverso’ a coloro che continuano a pensare che l’unica idea legittima di poesia sia quella simbolistico-decadente, agli apparentemente pacifici e silenziosi cultori dell’io effusivo, ai fiancheggiatori delle Beltà, insomma a coloro che pur avendo in mano tutte le leve del misero potere editoriale italiota, continuano a piangere accampando la scusa di essere stati aggrediti per il solo fatto che l’ “altro” da loro esiste, nonostante tutte le loro manovre e camarille premio-editoriali per far sì che nessuno se ne accorga.

    Può darsi che tutti noi abbiamo torto, può darsi che solo alcuni di noi abbiano visto giusto e che gli altri avranno torto, quello che certamente non accadrà è che avremo ragione tutti. Vedi, caro Marco, qui l’unico ‘ideologo’ sei tu, come tutti quelli che ancora vanno dicendo che le ideologie sono morte, mentre invece non sono morte affatto, sono solo state sostituite da un’unica Macro_Ideologia, quella del Pensiero economico, del soggetto economico, che è come dire, mutatis mutandum, del soggetto poetante, dell’io effusivo (e colonialista, perché no?). le ideologie esistono, Marco, come esistono le poetiche, e sono in conflitto tra loro. C’è una lotta materiale in atto, nelle cose e nelle parole, e allora io posso anche togliermi l’elmetto ma tu farai bene a guardarti intorno togliendoti la visierina, se davvero non ti rendi conto di essere parte di un conflitto. Detto questo non credo affatto che chi scrive diversamente da me sia un “vigliacco passatista”, ne contesto le poetiche, propongo un’idea diversa di poesia. Tutto qua. Mi darai atto poi che dovendo usare un megafono per contestare un sound sistem da concerto di Vasco a volte mi si può perdonare di alzare un po’ la voce.

    Comunque sia è sempre un piacere discutere con te,

    lello voce

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 1 luglio 2005 01:31, di Marco Lodoli

    Pensa un po’, io invece sono convinto che tu fai un ottimo lavoro, che riesci a esprimere nel tuo personalissimo modo le tue emozioni e i tuoi pensieri, e in più che hai la generosità di spenderti a favore di altri poeti giovani e meno noti. So che le strade nel mondo sono infinite e che sarebbe ridicolo pretendere che tutti scrivano allo stesso modo. L’importante è puntare al centro, poi da quale punto della circonferenza si parte dipende da mille cose, letture, carattere, inclinazioni naturali, storia e geografia, forse anche dal proprio demone. Per questo mi sembra strano che una persona aperta e sensibile come te non capisca e non accetti le differenze. Beppe Salvia era un grande poeta, secondo me, e amo molto Claudio Damiani, ad esempio. Non credo che siano degli ignobili passatisti, dei mascalzoni che speculano sulla tradizione. Non credo che i poeti si dividano in sperimentali e vigliacchi paraculi. Sono divisioni ingenue, se mi consenti. E non credo proprio di essere una Liala in malafede. Scrivo solo ciò che posso scrivere, niente di più, niente di meno, e lo faccio con il massimo della sincerità che mi è consentita dalla mia apertura spirituale. Insomma, il mio consiglio è questo: non cadere in semplificazioni ideologiche. Leggi e giudica caso per caso, senza l’elmetto in testa.

  • Per Ivan: Thomas G. Pavel: Mondi di invenzione. Realtà e immaginario narrativo, Einaudi. Interessante scritto. Quello che voglio dire Lello è, semplicemente, che qualcosa dello sperimentalismo pare più comunicativo (e in questo secondo me c’entra anche l’ideologia di un’opera, o quella personale dell’artista, che non sottovaluta o sopravaluta gli strumenti che utilizza) rispetto ad altro. La domanda è: c’è una ragione? Il libro sopra indaga un po’ questa questione, indaga sul messaggio, come arriva, in letteratura, da cosa è aiutato ad arrivare (è un’indagine presa alla larga, ma non priva di rimandi utilizzabili per modificare la situazione della nostra critica, spesso incapace di ragionare sulle innovazioni, altre volte capacissima di prendere fischi per fiaschi).
    Riguardo l’avanguardia, visto che qualcuno ha invocato questo spauracchio: credo che bisognerebbe costruire un futuro per la letteratura (e per la cultura) in questo paese, e le motivazioni nella costruzione di un gruppo, che lavori su base territoriale però per motivi anche di promozione e ricezione delle opere, dovrebbero essere del tutto diverse oggi, rispetto ciò che è accaduto in passato. Innanzitutto le avanguardie hanno utilizzato gli strumenti a disposizione (riviste, antologie) unilateralmente, ovvero creando un gruppo chiuso, divenuto poi punto di riferimento poichè altri autori ad esso si relazionavano. Oggi un’operazione del genere, non supportata da fattori ideologici di una certa natura (reazione alla cultura di massa, all’industrializzazione, al...), è più un’operazione di marketing per qualcuno - e sciocchi gli autori che aderiscono ad una cosa simile, poiché non fanno altro che sottolineare la loro fragilità; io penso che se uno è un autore, poeta, sta in piedi sì con l’aiuto di altri, ma attraverso un rapporto di interdipendenza e non di dipendenza da uno strumento sia esso rivista o gruppo; sta in piedi da solo, e quindi può cooperare con altri.

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 26 giugno 2005 15:52, di Lello Voce

    Qualche risposta al volo, scusandomi dell’assenza protratta causa esami di maturità:

    @ troll con vari nomi: è l’ultima volta che te lo chiedo: piantala! Al di là di tutto stai mettendo in giro voci e calunnie poco simpatiche. padrone di pensare che io sia un pessimo scrittore, ma ti prego di lasciar perdere qualsiasi allusione politica. L’unico fascista qua sei tu. E non sei il benvenuto. Come sempre cancellerò qualsiasi intervento offensivo, provocatorio o OT, in calce ai post.

    @ Marco Lodoli: posto che sia lui. Non vedo perchè ti rivolgi a me, dandomi del neo-avanguardista. Non lo sono affatto. Ti basterebbe leggere qui e là nel sito per convincertene. per quanto riguarda i termini supposti ’denigratori’: ci si limita a riutilizzare, polemicamente ed ironicamente, termini di ieri per sottolineare quanto la conservazione lettereraria italiana sia sempre uguale a se stessa. Come potrai immaginare io penso che Cassola e compagnia siano pessimi scrittori, e non ti nascondo che mi sono fatta la medesima opinione critica a proposito della tua produzione (o a proposito della produzione dello scrittore il cui nome stai usando) e a proposito di quella di molte altre nuove ’Liale’ della prosa italiana. Di sventatezze, superficialità e corbellerie sarà il caso piuttosto di parlare a proposito di certi tifosi della ’storia ad ogni costo’ che ormai confondono un buon romanzo (che è prodotto integralmente ’storico’) con una storia che tenga ed appassioni, sia scritta pure nell’italiano più piatto e trasparente che essere umano possa immaginare. Ma sta tranquillo che per dire questo non faccio riferimento ai ’diabolici’ Sanguineti o Manganelli, o Gadda, basta Kundera, O addirittura Rabelais o Cervantes. Ti ringrazio comunque dell’attenzione al mio scritto e sono ovviamente diponibile ad approfondire se vorrai la discussione.

    @Ivan - : Grazie dei tuoi interventi, devo dire che anch’io, non me ne voglia, ho capito pochino dell’intervento di Christian.

    Alla prossima

    Lello Voce

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 26 giugno 2005 10:37, di Marco Lodoli

    Ma non sarebbe il caso che la neoavanguardia, pirotecnica ed effervescente, inventi nuovi termini denigratori? Liala mi sembra che sia già stato usato sventatamente tanti, troppi anni fa contro Bassani e Cassola, due grandi scrittori. Forse bisognerebbe fare tesoro di certi errori... Un saluto, Marco Lodoli

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 25 giugno 2005 18:39, di Ivan

    Questa grandissima riflessione sulla semiotica del linguaggio dove posso leggerla? Sono davvero interessato.
    Le soluzioni si propongono, a parte l’aspetto organizzativo, scrivendo. Non per ogni "appello" ci sono soluzioni in termini di pianificazione, di lavoro, e così via. Certo, gli inviti alla lettura non fanno male a nessuno, e non credo che manchino i poeti, credo piuttosto che manchi l’attenzione nei loro confronti. Dati "n" mezzi di comunicazione, molti dei quali "unilaterali", considerato il ruolo svolto dalle accademie, spesso mediocre, le possibilità per un poeta di far la fine del gallo che canta nell’aia (vuota) sono considerevolmente elevate.

    Ivan

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 25 giugno 2005 15:37, di Christian

    Censura, non censura, censura, non censura, fascismo, berlusconismo, comitati, propaganda, e poi? Io credo che se un individuo o un gruppo fa qualcosa di cui è convinto non ha bisogno di nessuno se non della propria forza, motivata da idee e dalla realtà che contribuisce a creare, portare avanti con fatica. Quindi può fare anche a meno del Signor Lello Voce, se crede che questi non abbia corrisposto ad aspettative. Mi piacerebbe sapere invece chi sono i signori che qui lasciano i post, e se hanno delle soluzioni in merito l’argomento di discussione lanciato dal Voce (considerando che una discussione civile possa accadere indipendentemente dalla loro dedizione al Signor Lello Voce).
    Riguardo la poesia sperimentale, bisognerebbe riflettere sulla comunicatività di taluni autori. Secondo me c’è stata una grandissima riflessione sulla semiotica del linguaggio, ma poco su quella del messaggio. Per dirla in termini banali, si può sì arrivare sul k2, si può anche scendere con gli sci dal k2 per dieci metri (Kamerlander l’ha fatto), ma poi forse è meglio scendere con gli scarponi (l’impresa non comunque è da buttare via). Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa Lello dei poeti di quel sito precedentemente postato, da questo punto di vista.

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 25 giugno 2005 12:46, di Ivan

    Ma cosa avrebbero in comune Melissa P. e Lello Voce?

    A margine: Moresco, a meno di ripensamenti in corsa, non fa più parte di Nazione Indiana, come Carla Benedetti e Tiziano Scarpa. "Quelli che restano" sono ben più di un manipolo di sopravvissuti.

    Vedi on line : Perplesso

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 24 giugno 2005 15:30, di Rupert Toy Party

    Ragazzi, niente, era solo uno scherzo. Purtroppo da qualche giorno non è possibile sfottere Nazione Indiana perché hanno dei problemi con i commenti, e allora ho ripiegato su Voce.
    Prendo per il culo anche Melissa P, ma non è molto divertente. Comunque adesso basta. Come dicono gli Ebrei: "Dio ne cancelli il nome". Quello di Voce, di Melissa, di Scarpa, di Moresco, ecc. ecc.

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