Tremate, tremate, le Liale son tornate!

10 giugno 2005 Articoli e recensioni
Tremate, tremate, le Liale son tornate!

Parlare di poesia ’sperimentale’, oggi, in Italia, rischia d’essere, per certi versi, difficile. E’ l’Italia letteraria del nuovo capolavoro mensile, l’Italia in cui gli ottimisti di ieri diventano gli apocalittici di oggi, anche se si tratta solo di un’apocalisse privata, con le finestre ben serrate sul mondo, l’apocalisse del proprio ombelico. Altro che ’sperimentazione’…
A proposito di poesia ci sono poi esempi stupefacenti di barbarie critica, come quelli di chi non prova alcun pudore a sbeffeggiare l’avversario dandogli del poveraccio, solo perché non ha ancora pubblicato con Mondadori. Ma la nostra è anche l’Italia nella quale si può leggere sulla quarta di copertina delle poesie di Gatto, pubblicata da una prestigiosa editrice, che il poeta «ha saputo attraversare movimenti e tendenze d’avanguardia (Gatto?) come l’ermetismo (sic!)». E nessuno ci trova nulla da dire. Intanto si è diffusa un’incredibile, anacronistica, ostinazione nell’esercizio di una sorta di calunnia critica nei confronti del Gruppo 63 e più in generale della sperimentazione poetica, che non può non far tornare in mente certi politici berlusconidi che si sono ritagliati un posto nella politica italiana gridando al pericolo comunista proprio all’indomani del crollo del Muro. Ma tant’è. Si afferma la novità di neo-simbolismi, neo-orfismi, se va bene di neo-espressionismi, legittimandolo con un: dalli all’avanguardista! buono più o meno per ogni stagione, dai primi anni del Novecento a dopodomani. Per farlo, vanno bene categorie critiche prêt à porter, che trovano nell’ineffabilità di turno l’uscita di sicurezza che permette loro di farla franca e di ottenere l’attenzione che inevitabilmente si accorda ad ogni falso allarme.
A farne le spese sono le molteplici esperienze che hanno il coraggio di rischiare strade nuove, di avvicinare l’Italia all’Europa, alla faccia di chi si ostina a restare al di qua di Chiasso, per amministrare - verso stanco, dopo verso inutile -i poveri privilegi che tutto ciò garantisce. Nel frattempo, antologia dopo antologia, si cerca di far spazio a ’canoni’ impossibili, in cui si spazza via quanto di meglio l’Italia ha prodotto negli ultimi anni, per far spazio a se stessi, ai propri sodali, magari alle numerose covate di neo-neo-epigoni del verso libero, la cui fedeltà alla linea è assicurata dalla promessa di qualche riga recensoria sulla stampa. Da una parte c’è, dunque, un consistente nucleo di autori impegnati nella sperimentazione di forme nuove, che a volte esulano dallo stesso libro, che inventano ogni giorno nuova poesia, sia scritta che detta ad alta voce, ma che hanno poco spazio nei canali ufficiali, dall’altra frotte di nipotini del déjà-vu, che si affidano alla deriva di poetiche datate, in cui l’io - quell’asparagone dell’io, come lo chiamava Gadda - torna a fare la parte del leone, poetini in punta di sonetto, un po’ anacronistici, che però l’editoria mainstream ed i suoi impiegati su carta e in Rete non mancano di coccolare… Ma che dicono di tutto questo i poeti ’sperimentali’, quelli ai quali non è concesso spesso parlare?
Ad andarci giù più duro di tutti è Aldo Nove « Credo che il problema non sia il ritorno all’io. E’ che è un tipo di io inconsistente come la poetica che lo sorregge, quella di un certo mainstream autoreferenziale e asfittico che ha il suo centro di potere editoriale in figure mediocri come Cucchi». Più conciliante il parere di Caliceti, secondo cui « l’arcipelago della poesia in Italia è molto più frastagliato rispetto a un dualismo così frontale. Penso a un poeta come De Angelis, in particolare al suo ultimo libro, che mi pare uno dei migliori usciti negli ultimi anni, e mi chiedo dove si pone. D’altra parte, mi pare che ci siano cose che vale la pena di segnalare. Penso al Fondo Villa, di Reggio Emilia. De Angelis, Villa, a che categoria appartengono?» Molto articolato è anche il parere di Inglese « Io credo che un discorso sulla "poesia sperimentale" sia interamente ancora da fare, per quanto riguarda il panorama italiano dagli anni Novanta fino ad oggi. La categoria designa un "nucleo consistente" di autori, ma questo nucleo si muove in forma sparpagliata e dialogante, senza fare gruppo compatto. Vi è però un’indubbia "aria di famiglia" che lega tra loro una serie di poeti che hanno esordito negli anni Novanta. Che cosa ci accomuna? Un assunto generale: il linguaggio poetico è un linguaggio di crisi, come critico è, per ragioni storiche, il nostro rapporto di individui alla realtà. È questa crisi inaggirabile che orienta il nostro atteggiamento di inquietudine e ricerca nei confronti delle forme poetiche (scritte, orali, performative). E tale crisi, spesso, né la narrativa né il cinema sanno esprimere con la medesima radicalità della poesia.» Rosaria Lo Russo è tagliente: « La cosiddetta grande editoria non si aggiorna. In tutto il mondo si producono cd di poesia, o audiobook, qui in Italia è ancora merce rara. C’è una mentalità retriva, pavida. La poesia diventa un prodotto tranquillino e digeribile, o, se osa l’eversione dei linguaggi, viene crocianamente considerata non-poesia.» Ancora più duro il giudizio di Ottonieri: « Il problema è la melassa della mediocrità travestita da indicibile, in cui neofiti ed entusiasti della poesia-senza-aggettivi sono indotti a impastoiarsi. E’ il kitsch dell’impoetamento. Questa mediocrità, che porta in sé l’alibi di una medietà semmai "comunicativa", o l’illusione della fedeltà ad una tradizione all’infinito perpetuante se stessa e i suoi osservanti, diviene occasione di autoaffermazione più o meno vicendevole (in particolare presso la sua cialtrona casta sacerdotale) ma è compito della poesia, invece, dare voce all’impossibile». Sara Ventroni, successiva di una generazione, focalizza il problema storicamente: «Il punto mi pare questo: da una parte la vitalità della poesia - il suo esistere come forza, non come lingua morta - dall’altra la sua assenza, quasi totale, dall’orizzonte degli investimenti dell’editoria. Ancora una volta stiamo parlando - come si ritrovarono a fare intellettuali, poeti, scrittori, nel secondo dopoguerra - di cos’altro resti da dire quando la poesia viene ridotta ad un solo canone e quindi di una pericolosa reductio ad unum di un macro-genere (la poesia) ad un micro-genere (la lirica) che spesso tende ad escludere altri linguaggi e a dirsi solo sottovoce, come se la poesia non dovesse svegliare la realtà, soprattutto quando dorme così bene». Lisa, stessa generazione di Ventroni, rincara la dose: «L’editoria impone un approccio user-friendly; esige un prodotto sciatto e omologato, che blandisca il conformismo proponendo una deriva tardo-romantica fondata sull’elegia dei sentimenti: una poesia narcotica e narcisistica». E’ evidente, però, che questo ritorno della Tradizione vuole passare per la vera novità: l’ossimoro è implicito e capita così di scoprire che, a distanza di quarant’anni, l’obbiettivo è ancora il Gruppo 63. C’è chi recentemente ha gridato alla Restaurazione, senza specificare, però, chi fossero i Restauratori. Io sento, piuttosto, un grido malagurante: tremate, tremate le Liale son tornate!
«Magari fosse tornata Liala - è la risposta di Nove - che non ha mai preteso di essere letteratura alta e faceva il suo lavoro artigianale di intrattenimento! Oggi le Liale sono consacrate. Quindi, più che una restaurazione, è un’instaurazione (di parametri rovesciati)». « Le Liale non sono ingenue signorine però - sottolinea Lo Russo - la poesia veicolata oggi come Vera è decadente (in senso cosmetico: è una vecchia signora che ripara i danni del tempo a furia di interventi "estetici" che rivelano la loro patinata, viscidissima falsità). Si sta restaurando la poesia neutrale, che poi neutrale non è, ma benpensante e melensa. Penso ai vari Cucchi, Rondoni, ai bianchi, pallidi einaudianini». Per Niva Lorenzini, storica della letteratura, c’è poco da stare allegri. « Ritorno alla Tradizione? Ma quale? Per confrontarsi occorre conoscere, dibattere. Parlerei semmai di appiattimento, di copie malriuscite che si schiacciano su un presente senza profondità, con la presunzione di darsi come recupero di modi e forme, ignorandone la dialettica e la necessità storica. E’ la situazione del nostro presente, d’accordo, quella dell’espropriazione della memoria e dell’esperienza: ma allora perché non farlo esplodere, il presente, esibirne le aporie, mettere in discussione il linguaggio che lo rappresenta?»
E poi ci sono fiumi di antologie, da fine millennio e da inizio secolo…
Frasca, oltre ad essere un poeta, è anche uno storico della letteratura, e sottolinea molte mancanze di rigore: «Un’antologia per essere un lavoro serio non può che essere affidata a dei critici e pertanto deve basarsi su un forte assunto, capace di connettere i testi antologizzati (non già i poeti) alle forze tipologico-culturali riconosciute in atto in una determinata società, non alle piccole zuffe del sottoinsieme delimitato, e dunque rissoso, dell’industria editoriale. Date queste premesse, mi sembra che il panorama attuale delle antologie nostrane riproponga quanto di più tronfio, insulso e autoreferenziale passi ancora sotto il nome di poesia. La vita, però, l’economia, la politica, magari l’arte stessa, fortunatamente scorrono altrove.» E Niva Lorenzini come giudica le ultime, tante antologie poetiche? «Delle antologie che "sbocciano" di questi tempi, in pestilenziale fioritura, non mi andrebbe proprio di parlare. Da una parte incoraggiano colpevolmente l’equivoco che sia possibile un travaso vissuto-scrittura acritico ed ecumenico (un antologista con le carte in regola, E. Testa, parla di "appello da raduno condominiale". Basterebbe ricordare la Rondoni-Loi, modello su tutte di diseducazione critica). Dall’altra, capita che le selezioni che appaiono severe (21 poeti ’coraggiosamente’ individuati da Piccini) non rispondano a criteri metodologici solidi, risultando poco più che scelte individuali, di gusto privato».
Che si tratti davvero di ’Liale di ritorno’?

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34 Messaggi del forum

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  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 10 agosto 2005 18:20, di Christian Sinicco

    Mi perdonerà Lello, se chiarisco, qui, alcune cose che ho scritto.
    Vi sono due cose su cui, mi scuso con Camilliti, ho pontificato su questo blog: il fatto delle immagini sul sito Lietocolle, in alto a sinistra, come le scelte su questo aspetto, sono affare esclusivo dell’editore. E’ l’editore che sceglie, e le sue azioni rispetto ciò che è sua proprietà, in questo caso, sono insindacabili. C’è anche da dire che la linea di Camilliti non è la linea di Cucchi, anche se questi cura una collana per la casa editrice di Como; lo affermo per chiarire un aspetto poco chiaro del post.

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 19 luglio 2005 19:42, di Marco Lodoli

    Caro Lello, mi piacerebbe continuare a discutere, nella reciproca convinzione della buona fede dell’altro, ma mi sembra che ora come ora non si possa: io penso che tu faccia un lavoro sincero, che magari non sempre arriva dove vorrebbe, ma che arde di passione; tu invece pensi che io sia un "pessimo scrittore", un’ennesima Liala, un aspragone dell’ego, e forse addirittura un reazionario e un furbetto. Non sospetti nemmeno che nelle mie pagine ci sia una ricerca poetica e umana altrettanto appassionata della tua, anche se diversa. Con queste premesse non è facile intavolare una bella discussione. Comunque buona fortuna. Capiterà sicuramente di incontrarci e spiegarci. Ciao, Marco Lodoli

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 19 luglio 2005 10:29, di Luigi Nacci

    Parlare di pesci(poeti)grandi o piccoli, è una moda a cui credo dobbiamo sottrarci al più presto. È il tempo degli antologizzatori e degli organizzatori, degli assemblatori che antologizzano, riuniscono, affastellano, chiamano all’adunata amici e amici degli amici che domani - chissà! - potranno sempre tornare utili, invitando a loro volta, recensendo, aperitivando. Si sono formate delle cricche lobbistiche con i propri precettori attempati che spargono prefazioncine in cambio di adulazione. Il buon precettore non è colui che impartisce un insegnamento ma colui che ha nella rubrica il numero di telefono dell’editore, del direttore, del caporedattore.

    (novella del poeta pesce e del suo maroso peregrinare)

    L’allievo, sperduto nel mare magnum della poesia, boccheggiante si mette in scia del primo peschereccio che trova, e non spera nulla se non di salvarsi la pelle. Ogni cricca/branco ha le sue città e i sui circoli di riferimento. Ci sono i fedelissimi alla banda che bramano in silenzio la defenestrazione del capobranco e poi i doppiogiochisti che intanto, via mail o sms, prendono contatti con gli altri gruppi. Ogni lobby non è caratterizzata da una poetica o da un manifesto, ma dalla quantità di potere che detiene: la banda di Milano ha tot potere, quella di Roma, tot, quella di Bologna, tot, etc. etc.; ovviamente la maggioranza dei pescetti si mette in scia della nave da crociera, che batte quasi sempre le rotte di Milano e Roma. Le bande non si combattono nemmeno, almeno finché esistono gli spazi in cui poter malavitare senza farsi troppo male. I pesci più intelligenti riescono a adulare il pesce(padre) senza che lui se ne accorga, seducendolo subdolamente: lo imitano pedissequamente, essendo privi di una qualsiasi visione del mondo. Così facendo il vecchio e rugoso pesce(padre) intravede un suo possibile discepolo, il pescetto che un giorno scriverà umidi saggetti sul suo conto e proseguirà la sua salina poetica. Così si trascinano le bande, campando alla giornata, inventando acquosi premi da distribuire ai nuovi membri o a quelli che scalpitano per andarsene. A volte creano grandi festival del pesce fresco in cui far vetrina delle proprie pinne. I festival sono i principali luoghi della contrattazione tra branchi: invitando il pesce avversario e dondandogli un po’ della propria costa, egli si addolcisce fin quasi a assumere le sembianze del salmone. Ci si scambia i regali per far sfoggio di sé e del proprio potere e a volte si mandano alcuni pesciolini che ancora devono farsi le lische dall’altra parte, perchè un giorno, tornando, avranno la tempra per guidare un branco di pesci alla deriva. Nessun pesce palla o pesce spada ha più il coraggio di indicare una direzione e non per timore delle reti di pescatori, ché i pescatori sono estinti, non avrebbero mai potuto mangiare del pesce così avariato. Il mare magnum della poesia resiste e continua a bagnare le terre inspiegabilmente, moltiplicando i pesci e la loro infezione. Ciò che può essere sperato è soltanto un’esercitazione nucleare, oppure un maremoto catastrofico oppure una bassa marea talmente bassa da lasciare tutti all’asciutto. Poi, piacendo a Poseidone, rifondare tutto nel deserto, tra i miraggi e le poche oasi, imparando a conoscere le dune e i beduini silenti. E vedere se lì, in quello spazio così pieno, ci sia ancora spazio per la poesia.

    Luigi Nacci

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 13 luglio 2005 11:02, di Christian

    Secondo me, il decidere chi è grande e chi no, è meno importante, ora, del decidere il metodo grazie al quale studiamo, o vogliamo studiare, la letteratura. Lo dico perché secondo me discutere il secondo Novecento - e le ancora oscure propaggini che da esso dipartono e che forse riguardano l’approfondita conoscenza degli autori - senza un quadro esauriente della poesia sul territorio, lo trovo un discorso troppo debole. Tempo fa scrissi questo articolo http://www.fucine.com/archivio/fm57... in cui mi soffermavo su alcune problematiche. E’ un saggio discutibile, ma credo metta a fuoco alcuni problemi, o almeno quelli che ho sentito io, e che continuo a sentire poiché l’ambiente letterario non è cambiato. Si va ancora dietro ai premiucci, e si parla di impegno senza onestà intellettuale, e non c’è la volontà (ovvero alcuni non hanno la volontà) di ragionare sui cambiamenti. Anzi quando si parla di cambiamenti scatta la passività delle persone, il non si può. Un’ultima considerazione: essere convinti della possibilità di cambiamento, non significa essere convinti di farcela, ma lavorare affinché qualcosa si realizzi. Se uno nega questa possibilità, non può nemmeno fallire. Su De Angelis, credo abbia avuto qualche passaggio a vuoto, tipo nostra signora metropolitana. Chi vivrà, vedrà. Su Lietocolle, voglio solo aggiungere che Camilliti è una persona onestissima: ciò che è imputabile all’apparato è la mancanza di attenzione, vera, a ciò che accade, anche dal punto di vista letterario, e una metodologia di promozione chiara, e non subordinata al caso. La credenza di essere poeti è un qualcosa di terribile poi, una condizione umana ancora peggiore che essere poeti veramente.

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 13 luglio 2005 00:28, di matteo fantuzzi

    condivido la necessità e l’importanza nel ’900 di porta e pagliarani. ma sono pronto a scomettere un caffè ben volentieri anche su de angelis. e al di là delle battute sarei davvero molto curioso di comprendere le motivazioni del giudizio dato nei suoi riguardi.

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 12 luglio 2005 15:16, di Lello Voce

    Cari amici,
    come sempre in ritardo, ma son qua.

    Intanto

    @ Luigi Nacci
    Condivido assolutamente la sostanza del tuo discorso su centro e periferia, scarto e norma. Ma il Gruppo Baldus già nel 1989 aveva esplicitamente teorizzato una situazione del genere. Noi parlavamo (sulla scorta di un saggio di Cepollaro, tra l’altro) di " esaurimento della funzione normativa della Tradizione". Gran parte delle nostre posizioni teoriche di quegli anni, in primis il concetto di post-modernismo critico, nascono proprio da lì. Ma spero ne parleremo ancora, magari giovedì sera a Trieste.

    @Christian. Non so nulla di Lieto Colle. Quello che so di Cucchi lo sapete anche voi... :-)))

    quello che descrivi mi pare il normale funzionamento di un mini-apparato di potere qual è - sia chiaro - qualsiasi casa editrice. Non credo che se il punto di riferimento è Cucchi ci si possa aspettare da loro molto impegno nel promuovere operazioni ’sperimentali’. per il resto dei ’nipotini del deja-vu’ parlavo per l’appunto nel mio pezzo su L’Unità e ciò che dici conferma...

    @Gab. Ciao Grande Gab! Il Di Ruscio è fantastico. Sottoscrivo!

    @Michele - ti ringrazio dell’apprezzamento per quanto faccio in poesia. Poi però devo dirti che non concordo su quanto dici. Su che basi decidi che esiste un giudizio critico condiviso che ha stabilito che Bassani (!), Cassola (brrrrrrrrrrrr!) addirittura Tomasi (ultrabrrrrrrrrrrrrrr!) sono il meglio della nostra narrativa? C’è chi altrettanto autorevolmente pensa che siano dei pessimi esempi di narrativa italiana e preferiscono piuttosto Manganelli, Gadda, Pizzuto, Fenoglio, o decine di altri. Da quando la ’contemporaneistica’ è diventata una disciplina tanto assertiva e indiscutibile? bada che il panorama critico italiano è piuttosto vasto e variegato, dunque sarei prudente. Non credo che autori come Sanguineti, o Pagliarani o Porta saranno dimenticati tanto presto. Scommetterei piuttosto su Cucchi, Conte e - io personalmente - anche su De Angelis..

    Un saluto a tutti

    Lello Voce

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 12 luglio 2005 11:01, di Michele Salvati, studente

    Caro Lello, condivido in parte le tue affermazioni ma voglio però precisare una cosa in merito alla neoavanguardia. Come sai il gruppo 63 attaccò Bassani Tomasi e Cassola, che oggi sempre più si rivelano - e 50 anni possono bastare per mettere a fuoco un autore - i nostri narratori più importanti del secondo novecento, insieme a pochi altri. Bada che non sto dando un giudizio personale, ma sociologico. Non so se attaccarono anche Fenoglio, ma allora era già abbastanza attaccato da Calvino che non lo faceva pubblicare. Nel campo della poesia poi gli stessi diedero delle Liale a due autori che oggi sono considerati universalmente tra i più importanti della nostra poesia contemporanea: Caproni e Penna. Ora tutto ciò basta a parer mio, perchè di "neoavanguardia" non si parli più, diciamo ci si metta una pietra sopra, come si dice. Così a mio avviso è stata anche una mistificazione ristampare il libro dei novissimi, cinque autori di cui, a quasi mezzo secolo dalla loro uscita, si parla sempre meno, sempre meno inseriti nelle antologie, autori che hanno sollevato tanta polvere ma, come poeti, diciamolo, hanno floppato completamente.
    Non capisco perchè tu, che hai rispetto a loro molta più forza poetica e originalità, ti debba agganciare a loro, debba salire su un carro che arranca e annaspa precipitando lentamente ma inevitabilmente nel burrone dell’oblio. Ecco, tutto qui.

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 9 luglio 2005 12:19, di Christian Sinicco

    Su Lietocolle, essendo stato pubblicato il mio libro da Camilliti: c’è una fioritura eccezionale di alghe, ma tale fioritura produce più una massa gelatinosa che compatta, e questo deturpa il nostro mare. Siccome credo di conoscere tutti i redattori della Lietocolle, anch’io mi sento di dire come Nacci che c’è poca consapevolezza critica, e pure poca attenzione, e poca differanziazione per ciò che concerne le proposte editoriali. Esempio poi sulla comunicazione: l’unico autore venuto fuori con un libro "impegnato", quest’anno, è il sottoscritto - la lietocolle ha una rivistina telematica, l’Ulisse, che proprio nell’ultimo numero indagava la tematica dell’impegno: l’unico che non è stato calcolato è il sottoscritto. Faccio presente che secondo me non è nemmeno colpa di Camilliti, che mi ha pubblicato e non mi ha chiesto una lira turca, ma di redattori che hanno la necessità di tenere un profilo "basso", che non critichi l’attuale modalità, che tanto piace a Cucchi, pare, di una poesia ripiegata su se stessa, e di un ambiente fatto a sua immagine e somiglianza. Ovvero c’è tanta paura di dibattere veramente - forse perché son tutti lì ad attendere la nomination dall’alto e non vogliono pestare i tacchi a qualcuno. Ma l’effetto è che anche la Lietocolle sta funzionando come un apparato, sebbene Camilliti abbia più volte affermato di essere libero nella scelta di pubblicare (o di pubblicare facendo pagare o meno) un autore, poiché i redattori sono schierati all’interno di questo sistema, e ragionano in modo solidale (non esprimendo il loro disappunto, a volte) e mai si attaccherebbero tra loro - sarebbe un suicidio, hanno puntato tutto su un "impegno" di questo tipo. Inoltre non mi pare chiaro come possano pubblicare testi (nella collana opera prima dove gli autori sono i vincitori di una selezione ad opera di Cucchi) che, una volta letti, non si capisce cosa dicano (non necesariamente in poesia bisogna dire qualcosa, ma questi nemmeno evocano, e allora a cosa servono?) Mi domando cosa sia accaduto a Cucchi, a parte l’ostinazione, sembrerebbe, nel voler ricreare una linea lombarda attraverso i "giovani" poeti in cetonaverde poesia.
    C’è anche da dire che non è chiaro come mai alcune comunicazioni le mettano in home page, e altre no: il mio personalissimo caso è quello di un autore che ha ricevuto tante recensioni, e molte agguerrite, anche su quotidiani, ma non passano. Mi è stato risposto da una redattrice di lasciare all’editore il compito di promuovermi quando, da questo punto di vista, ho espresso delle indicazioni nemmeno troppo pressanti. Mi pare strano che Camilliti non voglia promuovere, attraverso le recensioni, un suo autore.
    Un’ultima cosa per gli altri pubblicati da Lietocolle: le immagini dei libri che appaiono e che scompaiono in alto a sinistra su www.lietocolle.it non sono le ultime novità editoriali, ovvero non vengono esposte democraticamente, e neanche criticamente, ahimè...Qualcuno però sceglie cosa promuovere.
    Questo è quanto signori, adieu!

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 8 luglio 2005 11:50, di Nemega

    Caro Lello

    avanguardista, comunista,

    rompicoglioni, casinista,

    ma per i terroristi islamici

    sei solo un crociato.

  • > Tremate, tremate, le Liale son tornate! 7 luglio 2005 18:51, di Luigi Nacci

    Mi piacerebbe, prima di parlare di poesia "sperimentale", portare un esempio preso da un altro settore.

    Pensate alla città contemporanea, la città-diffusa in cui a stento si rintraccia un centro. Oppure al centro ridotto a locus vuoto, in cui la gente non abita più, in cui pascolano solo turisti e agenti di Borsa. La perdita fisica del centro produce la fine della periferia (e del pensiero della periferia), giacché non può esistere periferia senza centro. Le città immaginate da Le Corbusier & Com. sono rimaste sulla carta. L’urbanistica è morta. L’architettura si è ritirata nelle Biennali d’arte. Ha cioè alzato bandiera bianca: l’architettura non può esistere nelle Biennali, quella è arte, l’archiettura deve irrompere nei luoghi, deve progettare con la materia, deve modificare la vita degli uomini. Sperimentare nel senso di modificare le abitudini, di estraniare, agire concretamente sulla struttura. Ma non c’è più centro e senza centro non c’è struttura forte da testare e mettere alla prova, da mettere in discussione, non c’è materia su cui "sperimentare".

    Egualmente, credo, nella nostra poesia. Castel Porziano, le derive da parola innamorata, i flirt mitologici, i ritorni di fiamma verso la metrica, i neo-barocchismi, il Gruppo 93, l’esplodere del web, il poeta elettronico, i festival/premi/reading/antologie a bizzeffe (andrebbe analizzata attentamente la rapida trasformazione di Lietocolle: da piccolo club esclusivo a mega parco dei divertimenti, per usare una metafora) , tutte queste esperienze - molto diverse l’una dall’altra - assomigliano molto alle periferie che ruotano attorno a un centro che non c’è. Partono spesso da una critica a una struttura che non dà spazio/non dà voce, contro una tendenza considerata come dominante, a favore di chi è rimasto escluso, di chi ha altri modelli (cioè altri centri) e così via. La periferia nasce come scarto rispetto al centro, kunhianamente. Ma non ha generato "rivoluzioni scientifiche" in questo caso. E credo che ciò non sia successo perchè il movimento dialettico non ha potuto innescarsi. Hanno creduto di opporsi a centri, ma i centri o il centro non c’era (si conteranno i danni e i morti, prima o poi, che il pensiero debole ha fatto).

    Penso che affinché ci sia fioritura reale di poesia "sperimentalista" (nel vero senso del termine, quello galileiano) si debba prima rintracciare un centro.

    Come si fa a capire che un centro non c’é? Beh, si potrebbe ricitare alcune affermazioni di più di trent’anni fa fatte da Montale: diceva che in Italia non c’è più poesia satirica, umoristica. Diceva anche era colpa degli sperimentalismi (elitari) se non c’era spazio per quel tipo di poesia. Io dico: trenta, quarant’anni fa poteva essere vero, forse il clima generale (sopr. a livello sociale/politico) favoriva un tipo di poesia e non un’altra. Ma oggi?

    Ipotesi/provocazione 1: aspettiamo la rifioritura della poesia satirica - questo sarà il segnale della ricomparsa del "centro".
    Ipotesi/provocazione2: e se costruissimo noi il centro, per poi poterlo attaccare dalle periferie?

    Un caro saluto a Lello Voce e a tutti,

    Luigi Nacci

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