Trash

27 dicembre 2003 Costume e società
Trash

L’immondizia, che sia culturale, o piuttosto reale e puzzolente, è certamente l’allegoria massima dei tempi nostri.
E’ la discarica, la piramide di sacchetti dell’immondezza, la nostra risposta, certo barocchissima, al barocco teschio con dentro la candela. Con buona pace di Benjamin. Certo, poi esiste una terminologia specifica, a seconda che si tratti di monnezze vere, o invece di fetenzie artistico-culturali. Si parla genericamente di ’immondizia’ se ci si riferisce alle montagne di scarti organici e rifiuti chimici, alle tonnellate di tutto in fermentazione che sono franate, ad esempio, sui tetti della baraccopoli di Sitio Pangàko (che significa letteralmente e paradossalmente: terra promessa) a Manila - come ci ricordano i recenti versi del Tiresia di Giuliano Mesa - seppellendo centinaia di uomini che fino a quel momento erano potuti sopravvivere proprio scavando alle pendici di quell’immenso Himalaya putrescente. Si dice, invece, con vezzo anglofono e un po’ schifiltoso, trash se ci si riferisce alle munnezze della nostra semiosfera culturale ed artistica. Ed a queste ultime erano dedicati, alcuni giorni fa, interessanti interventi di Natalia Aspesi e Michele Serra sulle colonne di Repubblica.
Certo che poi, tra le due cose, tra i due corni del problema deve esserci un nesso: un legame individuabile probabilmente esiste tra questo nostro, assolutamente materiale e piuttosto maleodorante, annegare in oceani di scorie, plastiche, detriti, rifiuti, cacche, pisce, schiume e il precipizio che ha trasformato quelle che una volta avremmo chiamato "le masse" nel popolo "zimbello" o "popolo-scimmia" giustamente randellato da Serra. Cosa lega Alda D’Eusanio e le strabordanti e panciute forme del cassonetto che mi troneggia davanti casa, sempre colmo, zeppo di tutto, già un attimo dopo che è stato vuotato, come fosse preda di un inquietante diarrea per partenogenesi? Qual è la liason segreta tra gli strilli e i traumatici starnazzi di Wanna Marchi e le trombe spiegate di miliardi di decibel che ogni giorno si accaniscono, felici e furenti, contro i miei timpani? Di più, che rapporto può esserci tra tutto questo e i berci di certuni, magari politici, che fanno dell’arroganza l’arma che sostituisce ogni dialettica? Quali saranno le colpe, poi, di certa sinistra trashissima, amica di Celentano e fan di Sanremo, poiché credo sia certo che non era al Molleggiato, né a Maria De Filippi, Pippo Baudo, o Daria Bignardi che si riferiva Gramsci quando parlava di nazional-popolare. Un legame, che a voler tenere, tanto per cambiare, basso il registro, si potrebbe sintetizzare dicendo: chi di trash ferisce, di trash perisce, o anche, che è ancor più inquietante: gli italiani hanno il trash e la munnezza che si meritano. O no?

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