Tra Poetry Slam e Copyleft [ da Wuz.it]

www.wuz.it 11 febbraio 2011 Interviste e dialoghi
Tra Poetry Slam e Copyleft [ da Wuz.it]

Parliamo di Poetry Slam. Cos’è? Da dove arriva? Quali sono le sue “regole”?

Il Poetry Slam è sostanzialmente una gara di poesia in cui diversi poeti leggono sul palco i propri versi e competono tra loro, valutati da una giuria composta estraendo a sorte cinque elementi del pubblico, sotto la direzione dell’Emcee (Master of Cerimony), come dicono in America, mutuando il termine dallo slang Hip Hop.
Ma lo slam è poi, in verità, molto di più, ed è in questo ‘di più’ che sta la ragione del suo dilagante successo in America, Canada, Inghilterra, Germania ed ora anche in Italia.
Lo slam è un modo nuovo e assolutamente coinvolgente di proporre la poesia, una maniera inedita e rivoluzionaria di ristrutturare i rapporti tra il poeta e il ‘pubblico della poesia’. Lo slam è un invito pressante al pubblico a farsi esso stesso critica viva e dinamica, a giudicare, a scegliere, a superare un atteggiamento spesso tanto passivo quanto condiscendente, e dunque superficiale e fondamentalmente disinteressato, nei confronti della poesia. Lo slam inoltre riafferma, una volta per tutte, che la voce del poeta e l’ascolto del suo pubblico fondano una comunità in cui la parola, il pensiero, la critica, il dialogo, la polemica e insieme la tolleranza e la disponibilità all’ascolto dell’altro sono i valori fondamentali. Come ha detto nell’esordio di un suo quasi-manifesto Marc Smith, il poeta americano che nel 1987 a Chicago ‘inventò’ il Poetry Slam, «la poesia non è fatta per glorificare il poeta, essa esiste per celebrare la comunità; il punto dello slam non sono i punti, il punto è la poesia»

Quanto conta la capacità del performer e quanto la poesia in sé?

Trattandosi di una’performance’ dal vivo, ovviamente la capacità del poeta di dire bene i suoi versi sul palco è decisiva. Ma ciò non significa che i testi siano meno raffinati…
Chi fa spoken word, o spoken music, invece di praticare la ‘poesia muta’, ha una doppia difficoltà da superare: scrivere un buon testo ed essere capace di eseguirlo sul palco il meglio possibile. Una difficoltà che si fa tripla se decide di lavorare anche con la musica… Problema che un ‘poeta muto’ non ha.
Peraltro, essendo il ritmo, la sonorità, l’andamento melodico, aspetti formali decisivi di qualsiasi poesia (anche se la si legge a mente, una poesia va, letteralmente, ‘eseguita’) a volte ci troviamo di fronte a ‘compositori’ che non sanno suonare lo strumento per cui creano la musica: la speranza – ogni volta – è che, oltre ad essere muti, essi non siano anche sordi…

Che diffusione sta avendo in Italia?

A partire dal 2001, quando io condussi il primo poetry slam italiano e dal 2002, quando, sempre io, realizzai il primo slam internazionale plurilingue del mondo, durante il Festival romapoesia, il fenomeno qui da noi si è diffuso moltissimo e oggi si può affermare che esiste una solida realtà del Poetry slam in Italia, più o meno su tutto il territorio. Ovviamente più lo slam si diffonde, più aumenta la possibilità che ci si imbatta in eventi di qualità scadente. Ma credo che il gioco valga la candela. Ciò che mi preoccupa di più è la tendenza a chiamare Poetry slam anche ‘contest’ che con lo Slam c’entrano poco, come gare in cui a giudicare sono ‘esperti’ e non membri del pubblico scelti a caso. Tutto questo va in direzione contraria a quella che è la caratteristica fondamentale di ogni slam, il contatto diretto, senza filtro alcuno, tra un poeta e il pubblico, la comunità… Sono truffe…

È un’iniziativa che riesce ad avvicinare un pubblico più o meno giovane alla poesia contemporanea?

Sì, certo, lo slam attira pubblico, a volte tanto pubblico. Giovane e meno giovane. Assumersi responsabilità, giudicare, prendere partito, schierarsi, scegliere, sono caratteristiche fondamentali dell’essere umano, giovane o meno giovane che sia. A volte, anzi, sono proprio i più anziani a rompere il ghiaccio per primi, a fischiare, a dire la loro, a intervenire: la memoria di un passato fatto anche di sano ‘conflitto’ agisce, e induce a partecipare. E’ il piccolo miracolo dello slam, quello che trasforma un consumatore di ‘poesia muta’, in un soggetto attivo, partecipante, di poesia viva, parlante…
Non solo, ma grazie allo slam tanti poeti nuovi, alcuni davvero bravissimi, possono essere conosciuti, apprezzati, sfuggendo al collo di bottiglia di un’editoria avara di spazi e alle sirene, spesso dispensatrici di miraggi, della cosiddetta ‘pubblicazione a pagamento’, che ancora in Italia muove capitali di assoluta consistenza, proprio dove nessuno si aspetterebbe di trovarli…

In un paese che legge poco – soprattutto pochissima poesia, se non per interessi specialistici –, con un mercato editoriale sempre più aggressivo e focalizzato sulla ricerca del “caso”, cosa deve rappresentare la poesia?

Il discorso sarebbe lungo e tirerebbe in ballo categorie complesse, perché dovremmo partire da un’analisi dei media di comunicazione, del rapporto scritto/orale, ecc. Diciamo, più semplicemente, che non sono preoccupato dal fatto che non si vendano libri di poesia. Il libro sta stretto alla poesia. Nell’epoca del liberismo, l’epica abita nel romanzo, un’epica silenziosa, privata e casalinga, a volte impantofolata da tanti buoni sentimenti grammaticalizzati, grazie alla quale si supplisce alla supposta Fine della Storia con un’indigestione di storie, spesso televisive, ma anche romanzesche.
La poesia è nata per essere fruita insieme, o comunque per essere ascoltata, prima che letta, dunque può, proprio grazie alla sua fragilità in quanto merce priva di qualsiasi ‘valore di scambio’, sopravvivere più facilmente della prosa di qualità all’appiattimento dell’editoria di mainstream.
La poesia è avanti, da questo punto di vista: nasce liquida, si adatta all’MP3, ai formati short della rete, gode, e godrà sempre più, di buona salute, sempre che non si identifichi la salute di un’arte con le sue condizioni ‘merceologiche’, con il suo ‘valore di scambio’ sul Mercato.

Perché abbiamo ancora bisogno di poesia?

Potrei rispondere semplicemente notando che, se non è ancora morta, allora la poesia è certamente necessaria… In ogni caso gli uomini sono determinati dai linguaggi, e la poesia è l’arte del linguaggio per eccellenza. Essa è uno specchio sul quale proiettiamo, riconoscendoli, sentimenti e pensieri, che prima non avevano parole per essere espressi. Come potremo sognare sogni nuovi, usando parole vecchie? Il linguaggio non si limita a nominare la realtà, esso ci permette di conoscerla, la fa, in qualche modo, ‘reale’, e soprattutto ci permette di condividerla con gli altri. La poesia è centrale in questo processo. Essa è perciò indispensabile, irrinunciabile, ce ne accorgiamo ogni volta che la Storia, con il suo imprevedibile imprevisto accadere, ci sorprende, sbucando fuori da dietro l’angolo del Tempo che scorre…

Cosa vuol dire essere poeta oggi?

Credo valga ancora ciò che diceva, nel secolo scorso, uno dei più grandi poeti italiani contemporanei, Elio Pagliarani: il poeta è quello che tiene in esercizio la lingua… Ed è quello che la esercita, in tutti i sensi che quest’affermazione può avere. Compreso quello ‘politico’ di ‘esercitare’ un diritto…

Quale rapporto esiste tra poesia e arti figurative?

La poesia è, in generale, un’arte, o un medium, amichevole con tutte le altre arti. Dal momento in cui la poesia è divenuta ‘muta’, poi, più o meno in corrispondenza con l’invenzione della stampa e la diffusione della carta, questo rapporto è stato potenzialmente strettissimo. Credo che quanto esso possa essere fruttuoso sia dimostrato dall’opera dei grandi maestri della poesia concreta e visiva internazionale, a partire dal brasiliano Haroldo De Campos.
Gli sviluppi della tecnologia, in seguito, hanno sviluppato ancor più quest’aspetto. Oggi ogni testo viene creato su un supporto potenzialmente ‘multimediale’, sia pure un semplice foglio word, dunque…
La poesia ha poi incontrato le immagini in movimento e credo che la videopoesia sia ormai un’importante realtà, diffusa e apprezzata in tutto il mondo.

Lo sviluppo delle tecnologie digitali sta aprendo nuovi orizzonti nella concezione, costruzione e diffusione dei testi. Come si evolverà la poesia in questo scenario?

Anche questa è una domanda complessa, dagli aspetti molteplici. Provo a sintetizzare. Per quanto riguarda la concezione e la produzione dei testi, è evidente che oggi questa avviene attraverso strumenti digitali molto diversi dalla carta e dalla penna e questo, a mio parere, non può non avere conseguenze sulle ‘forme’ che attraverso questi strumenti vengono create. Quali conseguenze e di che portata? Il discorso sarebbe davvero troppo lungo, basti pensare che – per come vengono utilizzati normalmente – tutti i software di scrittura rendono le correzioni, di volta in volta, definitive, cosa che non avveniva con il semplice tratto di penna, l’interpolazione, la ricopiatura, ecc. Si va su una strada che non permette ritorni. E questo è solo un aspetto. Per altro verso, come dicevo, ogni soft di scrittura è potenzialmente multimediale, e ciò tende, o tenderà, a trasformare sempre più, con effetto sandwich, il testo in ipertesto, la ‘poesia muta’ in ‘poesia virtuale’. Se poi si accetta che anche un’oratura, l’esecuzione sonora di una poesia, sia un ‘testo’, la faccenda diventa ancor più complessa.
Per quanto riguarda la distribuzione, come credo si sia capito, io ho molta fiducia nelle capacità del WEB di affrancare la poesia dal suo stato di minorità. Sia per le sue caratteristiche ‘liquide’ che per le enormi potenzialità di sharing che la Rete implica. Da questo punto di vista, però, eviterei facili corse in avanti. In realtà, da tempo ormai, è in atto una privatizzazione selvaggia del WEB, gli steccati stanno trasformando un territorio libero in una serie di recinti accatastati. Perciò occorre porre molta attenzione alle legislazioni che limitano lo sharing e dare molta importanza alle lotte per la diffusione del copyleft, perché il sapere e le arti siano considerati beni comuni e gratuiti.
Che a piangere per i danni del P2P siano soprattutto signori plurimiliardari ben più interessati al valore merceologico delle loro opere che a quello artistico ed etico politico è, insieme, uno scandalo abbastanza disgustoso e la prova di quanto decisiva sia questa battaglia perché l’arte possa continuare a svilupparsi liberamente.
Il pericolo è che, da un momento all’altro, le libere praterie dell’Ovest si trasformino nei latifondi di Big Brother e che molti di noi, quasi tutti, si trovino rinchiusi in una riserva indiana….

Intervista di Sandra Bardotti su www.wuz.it

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