Summer Radio Days (Io sono un tiratore scelto)

18 novembre 2003 Racconti brevi
Summer Radio Days (Io sono un tiratore scelto)

Questo breve racconto, scritto su commissione de l’Unità è stato poi illustrato da Claudio Calia.
Le tavole di Calia sono disponibili in allegato al racconto.

Summer Radio Days (Io sono un tiratore scelto)

Salve ragazzi! …Certo che sono felice che abbiate telefonato proprio a me tra migliaia di ascoltatori della vostra fantastica diretta sull’estate in città… è solo che… Cazzo, ragazzi! Sono in una situazione un po’ particolare adesso. Non seguivo la trasmissione, ero impegnato a scansare le fucilate che arrivano dai palazzi vicini e dalla strada… Ma no, non preoccupatevi, certo che posso parlare. C’è calma, ora, e posso rispondere alle vostre domande… Cosa penso dell’estate? L’estate è una stagione indecente, inquietante, pericolosa. Lo dico per esperienza. Se oggi mi trovo qui, asserragliato dietro la finestra di casa mia che bestemmio per il caldo e col condizionatore rotto da una pallottola calibro 9 lungo è solo perché oggi è piena estate… Saranno dodici ore ormai che mi tengono inchiodato qui, tra il balcone e la scrivania. Da una finestra del palazzo di fronte hanno inquadrato il vano della porta e mi hanno bloccato qui, pancia a terra e tra poco sarò costretto a farmela addosso, se non becco prima il bastardo col fucile quando si sporgerà quel tanto in più che basta. Posso farlo. Io sono un tiratore scelto. Sono uno di loro, io, devono stare attenti, non sono uno di quegli sfigati qualsiasi che si asserragliano in cucina perché Maria li ha lasciati, perché non hanno più i soldi per pagare il mutuo. Io sono un tiratore scelto, so come si tiene un’arma in mano, sono un professionista e dispongo della potenza di fuoco adeguata ad affrontare una situazione del genere. Sono stato addestrato proprio da loro. Posso farcela. Se non mi cago prima addosso, maledizione. Col caldo è terribile, ti viene da cagare il doppio. L’estate è davvero una stagione di merda… Già, avrei dovuto saperlo, pensarci prima, partire come sempre, prima che la città si svuotasse tutta, prima che tutte le possibilità di evacuare il campo di battaglia svanissero dietro il culo dei bagagli e dei bagagliai di amici e nemici che decollavano strombettanti e sgommanti verso mari e monti. Avrei dovuto saperlo, farmela passare subito quell’idea bislacca di starmene qui a godermi le delizie della città deserta. Ma chi poteva immaginare? Chi poteva solo ipotizzare quello che succede in realtà, in città, quando noi non ci siamo. Perché quando la gente va via è come se la città si spogliasse tutta. E quello che vedi sotto non è bello per niente. E’ tutto lo sporco e il marciume che noi, i normali, ci copriamo reciprocamente l’uno con l’altro, tutti i giorni dell’anno. La città d’estate è nuda e scopre le sue chiappe laide fatte di tossici e puttane migranti, sbandati e barboni sporchi, mette in mostra le sue tette penzolanti e rugose, colanti di immondizie putrescenti e nauseanti odori afro-slavo-filippini. D’estate la città è nuda e mostra le sue piaghe al sole. E per strada ci sono solo loro, i vecchi, i poveri, i brutti, i puzzolenti, gli ammalati, loro e i cani, gli altri, quelli che è interessante vedere solo in televisione, chiusi nello zoo virtuale, dietro la gabbia dello schermo fluorescente, del… Oh cazzo!

Scusate l’interruzione, ma, come avrete sentito, hanno ricominciato a sparare per qualche minuto. Hanno provato a venir dentro calandosi dal balcone del piano di su. Ma è roba da manuale. Nessun problema. Il primo l’ho preso al volo, prima ancora che poggiasse i piedi sulla mia ringhiera. E’ volato giù e nemmeno so che faccia avesse. Al secondo ho sfondato di pallettoni la pancia a distanza ravvicinata, quando mi è atterrato davanti alla bocca del fucile. Aveva un viso da ragazzo normale, uno come me, che cazzo! Con uno come lui avrei potuto farci amicizia, uscirci la sera. Anche così, cadavere com’è, ha un buon odore. Si sente che adoperava il deodorante giusto. Perché, perché stanno cercando di prendere proprio me? Perché non capiscono che l’ho fatto anche per loro, che sono dalla loro parte, che giochiamo per la stessa squadra? E poi io ci ho provato a star tranquillo, a buttar giù tutto, a non reagire. Sta calmo, mi dicevo, sta calmo e vedrai che domani sarà diverso, che domani tutto sarà tornato normale. Ma loro niente, come se lo facessero apposta, l’indomani erano lì, che mi aspettavano. Mi guardavano. E io guardavo loro e il disgusto mi saliva su per la trachea in groppi di vomito. Quelli che sopporto di meno sono i tossici, i loro occhi vuoti che ti fissano dentro, fino al buco del culo, senza parere, come se non esistessi, come se anche tu fossi morto come loro… Basta, ho deciso di risolverla chiudendomi in casa. Ho fatto provviste, cibo e videocassette e beveraggi. E’ andato tutto bene per quasi tre giorni. Io abito in collina, in un quartiere signorile, dalla finestra vedo il fiume che curva verso valle, più o meno all’altezza dell’ultima panchina. Per tre giorni non è successo nulla. Traffico d’auto poco. Traffico a piedi inesistente. Mi sembrava sopportabile, mi pareva di esserci riuscito a lasciarmela alle spalle la città estiva e putrescente d’immigrati, puttane e drogati… Ma poi è arrivato lui, il primo. Doveva essere un senegalese o qualcosa del genere. Nero insomma. E’ stato lì la sera. Ha visto la panchina. E’ tornato dopo un’ora e con lui ce n’erano altri tre hanno steso un telo tra un albero e la panchina e hanno messo su casa lì. Hanno iniziato a lavar stracci in fiume a stenderli su fili improvvisati. Poi hanno acceso un fuoco addirittura e hanno iniziato a cucinare. Dopo un po’, portato dal vento, l’odore del cibo ha cominciato ad invadermi la casa. Ho pensato: devo fare qualcosa e visto che nessuno ha ancora pensato a svellere via tutte le panchine per impedire a ’sta gente qua di trasformare il nostro spazio vitale in un accampamento di zingari, allora vuol dire che ci penserò io. Ho preso il fucile d’ordinanza, ho montato il mirino a cannocchiale. Ho scelto la testa più nera di tutte e via, un attimo e tutto si è risolto. Un centro perfetto. Quello colpito è cascato indietro, in un fuggi fuggi generale… La grida arrivavano attutite dalla distanza. Erano ridicoli, andavano avanti e indietro e non riuscivano a capire da dove fosse arrivato il colpo. Poi hanno raccolto tutto quello che hanno potuto e sono spariti, lasciando il morto là. Dopo un po’ ne è arrivato un altro, un bianco, tipo slavo o albanese. Ha guardato il morto, gli ha frugato nelle tasche, poi via pure l’orologio, la catenina. Si è guardato in giro e ha spinto il cadavere nel fiume. Perfetto! Che potevo chiedere di più? Ci sono stati due giorni di calma. Poi è arrivato un tossico. Ha adocchiato la panchina, ci si è seduto e in un attimo era già lì che trafficava con la siringa. Ci ho messo poco a decidere. Caricare, mirare, sparare! Centro perfetto. Devo averlo preso mentre si infilava la vena con la siringa. In realtà, più che omicidio, andrebbe considerato un caso d’eutanasia. Ma è proprio allora che è arrivata una vecchia, ha cominciato a urlare ed è sparita via. Dopo un quarto d’ora qui era tutto un pullulare di sirene e megafoni tuonanti: Arrenditi e ti lasciamo campare ancora qualche annetto da recluso. Insomma, la solita roba di routine che insegnano all’addestramento reclute. Ma ora scusate, devo interrompere un attimo, sto davvero per cagarmi addosso. Fa troppo caldo e trovarmi gli slip pieni di merda non potrei proprio sopportarlo. Devo togliermi di qui e riuscire ad arrivare in bagno, in barba a quello che tiene sotto tiro la porta. Restate in linea…

Ehi! Eccomi di nuovo qui! Ci sono riuscito. Ho tirato su il cadavere che m’era rimasto in casa fino a fargli sporgere la testa dalla finestra. Quello di fronte ha sparato e lo ha centrato in pieno. Ma si è scoperto e ora non può più pentirsi dell’errore. Che pirla! Sono in bagno ora, nel mio splendido bagno, pieno dei miei tesori. Sapete, io ho più di 3500 campioncini differenti di profumo. Sono anni che li colleziono. Ora li ho frantumati tutti. Se devo morire, voglio farlo sommerso dal profumo e dalla pulizia. Come mi merito. Ho cagato, finalmente, e dopo, per prudenza, pensando all’autopsia, mi sono fatto anche un clistere. Ora va decisamente meglio. Non avrei mai sopportato di morire con tutta quella merda dentro di me. Morto, sì, ma comunque pulito, bianco e pulito, per Dio! Ho anche acceso un pezzo di giornale perché tutti i gas puteolenti bruciassero via. E vai col profumo… a raffica. Ora sono qui seduto sulla tazza, con la Luger in mano, colpo in canna. Addio ragazzi, e godetevi lo sparo…. ahh grazie e, certo, anche per me è una grandissima soddisfazione farlo in diretta per migliaia di ascoltatori. E’ una sensazione indescrivibile. Addio e speriamo che le piastrelle bianche del bagno non si impiastriccino troppo di sangue. Incrociate le dita per me…

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