Rap di fine secolo [e millennio]

21 maggio 2011 06. Farfalle da combattimento
<i>Rap di fine secolo [e millennio]</i>

Il Rap di fine secolo è certamente il testo più conosciuto di Farfalle da combattimento ed è stato eseguito numerose volte sul palco di importanti città in giro per il mondo(Roma, Parigi, Barcellona, Venezia, Ginevra, Berlino, Marsiglia, Costanza, Palermo,Tokyo, ecc.).
Oltre al testo, in fondo alla pagina potete trovare sia un video-clip della performance tenuta a romapoesia nel 1999, sia il file audio MP3 completo del pezzo,in copy-left.
Le musiche sono di Paolo Fresu e Frank Nemola

Rap di fine secolo [e millennio]
(o di G. M. Hopkins)

Ecco il video del mio Rap-Hopkins, con le immagini di Giacomo Verde e i disegni di Robert Rebotti

è meglio morire che perdere la vita
Frei Tito de Alencar Lima

fine finalmente finita fine fissato flusso di flutti feroci a finis-mondo a
finis-terra a finis-tempo fibula finta e fine fetta-fibroma frutta friabile e
frugale filo e fiore fretta fugace fine fra fini fine fra feste fine fra folti
boschi d’inganni e utopie e terrori che vagano tra il ponte e il fondo della
stiva del mondo col fumaiolo in stelle e feste e fuochi e fumi verso il cielo
e la prua a contro-mare che taglia tempo e millennio e scorcia l’orizzonte
con l’universo in bonaccia e le galassie in espansione con moto ondoso e calmo
e le luci accese nel salone e quelli sul ponte di passeggiata poi che salutavano coi
fazzoletti bianchi gli altri a terra le frotte di morti rimasti a riva e la musica era jazz
ovviamente musica da ballo a tacchi alti per correre fino alla Rivoluzione alla prua
dove c’è la bandiera e vedere solo mare davanti a sé polena-Potemkin dell’avvenire
protagonista proletario e rosso di rabbia io che di falce e martello il mondo già costello

Nelle nevi sfreccia
Scagliando all’indietro il porto
Il Deutschland, di Domenica, e il cielo già s’infeccia
Perché l’aria è infinita e senza conforto
E il mare silice schiumascaglia, nero-dorsuto al soffio regolare,
Stabile da EstNordEst, nel quadrante maledetto, il vento sorto;
Neve irta e bianca-fiammante tutt’attorta in turbinare
Vortica verso gli abissi di sole vedove dove di padri e figli non c’è traccia

due guerre due mondiali intendo e una mondializzazione che è pure peggio dico per
quelli della stiva e i primi spazzati dal ponte a colpi d’onda finanziaria dopo onda
finanziaria col mare delle valute a forza sette-otto e strani figuri italo-americani che
si aggirano nei corridoi e nel salone e in sala macchine e fino al timone al radar con
bottiglie e bottiglie di whisky di contrabbando strette sotto i pastrani inseguiti a sirene
spiegate da alcolizzati in divisa che deràpano-àpano sul cassero e sgommano a proravia
ma ce n’erano a milioni poi acquattati dietro trincee e barricate da Parigi a Stalingrado
studenti e filosofi e soldati e intellettuali e imboscati contro il Reich e la società porca
e borghese nella tundra innevata e al sole dei boulevard e a Berlino poi gruppi sparuti
ma armati e a Roma sui tetti i tiratori scelti tutti tesi a centrare raffica dopo raffica il
cadavere accosciato nel bagagliaio rosso che pulsa ad ogni pallottola come di nuova
vita poi la vite spietata che gira e stringe ogni nostro respiro col fumo nero della stiva

E poi quanto al conforto del cuore,
Il basso-capezzoluto terra-brancicato grigio
Si libra, i cieli blu-ghiandaia il fulgore
Di uno screziato e scorticato maggio!
Azzurra-palpitante e canuta-iridescente altezza; o notte ancor più alta
Con fuoco tintinnante e la Via Lattea falena dal morbido piumaggio
Qual è il cielo del desiderio a tua sembranza
Il tesoro mai visto di cui nessuno - nemmeno per sentito dire - immagina lo splendore?

e tanto per cominciare uno sparo un semplice sparo a Sarajevo poi esplosioni in serie
raffiche e sordi boati a poppavia e a Milano, Brescia, Bologna e sui treni squarciati giù
nella stiva e c’è chi giura d’averne visto uno di ferroviere volare fuori dalle finestre del
salone spinto in mare da un pulotto col cognome da terrone e c’è chi giura d’aver visto
quello stesso pulotto ucciso dal fuoco amico di sbarramento d’insabbiamento e trincee
sul Grappa sin sulla cima innevata dell’albero maestro e ad Anzio e ad Ostia a Napoli
e tanto per proseguire coi cavalli lanciati alla carica sul ponte di terza la tromba di Bava
Beccaris che squilla repressione e Tambroni dalla sala radio dirige le ondate dei celerini
che spazzano il quadrato fin sotto a Valle Giulia calpestando Alice i suoi specchi e il
walk-man e ustascia cetnici che corrono nei corridoi a caccia di scalpi indiani di scalpi
metropolitani da offrire poi in sacrificio a questo secolo così breve da stare tutto in una
poesia tanto breve da mozzare lì il millennio tanto breve da stare tutto in un solo gulag

«C’è chi mi trova spada qualcuno
Invece la flangia e la rotaia; fiamma
Zanna, o flutto» la Morte batte sul tamburo
e le tempeste strombazzano la sua fama.
Ma noi sogniamo di essere radicati nella terra - Polvere!
Carne cade accanto a noi, noi, benché il nostro fiore abbia la stessa trama,
Ondeggiamo col prato, dimentichiamo che lì è dovere
Dell’aspra falce d’acquattarsi e che verrà il vomere bruno.

dico dei tempi quando Pasolini era un ricchione Balestrini un terrorista dico del tempo
che fascisti ne incontravi sempre troppi alla porta della cabina al bar in sala macchine
e qualcuno pure al timone nè si prendeva poi nessuno tutti scappati sotto La Moneda
a dar man forte ai cugini americani a far fuori lo zio di una nota scrittrice lo zio cileno e
comunista o a tagliar le mani a cantanti-conoscenti musici-fiancheggiatori pre-fujimori
a internare lavoratori a sorvolare Viña del Mar radenti mitraglia tra i denti per la libertà
dico del tempo che a Piazza Statuto masse di operai-massa incontrollabili a ondate dentro
e fuori dalla piazza e dal sottoponte disperse con le jeep della Fiat col manganello con le
pistole della Beretta coi frutti del lavoro e dell’operosità ricostruttiva e resistenziale e loro
o almeno i loro figli e io con loro a Roma a buttar giù dal càssero il sindacalista in capo e
poi inseguiti da celerini e operai-massa coi lacrimogeni e le chiavi inglesi e noi sporti fuori bordo a
vomitare per il mal di mare ma la nave lei accelera accelera altro che contestare

Uno si precipitò giù dal sartiame per salvare
Le folli-dolci-donne di sotto
L’uomo abile-ardito con la vita una corda a circondare
Fu scagliato sino alla morte d’un sol botto
Nonostante il suo petto-corazzata e i fasci di forza:
Poterono vederlo per ore spinto sopra e sotto
Attraverso lo sfrangiato vello di spuma. Cosa poteva fare
contro l’annodarsi di fontane d’aria lo scalciare delle onde il loro diluviare?

c’erano un po’ tutti chi sul ponte di comando chi nella stiva o spuntando dai boccaporti
ismo su ismo pop e cubisti orfani orfici e orfani avanguardisti espressionisti e surrealisti e tanti e
tanti quelli rimasti in terza a filo d’acqua tutti che protestano che ti svolazzano accanto come
mosche sul naso del cocchiere patafisici e petrarchisti figurativi e poveri astrattisti e
dodecafonici e grunge tecno e pulp e istrioni e pagliacci ed eroi organici alle masse e le
masse che nemmeno lo sanno che si telenovellizzano in vena e godono del nulla
ma c’è un mare un oceano sconfinato da dada a dada c’è un sargasso un triangolo
imbermudato c’è il sudore di un secolo tutto polverizzato in bit fatto silicio e memoria
attiva c’è un video lungo cent’anni tutto sulle nostre povere rètine bruciate irretite tutto
da vedere a costo di tener su le palpebre con stuzzicadenti fino alla feccia impressionante
di queste nostre rovine sfavillanti del latex steso sul disastro delle falle che squarciano
lo scafo sul vibrore frenetico che scuote la nave sul sibilo acuto delle macchine a scoppio

Ed io la mia mano baciando
Fino alle stelle, al bello-frantumato
Stellato, fuori di sé espandendo;
Bagliore, gloria del tuonato;
Baciando la mia mano fino all’occidente di-susina-screziato
Poiché, sebbene egli sia sotto dello splendore e della meraviglia del mondo,
Il suo mistero deve essere in-tensionato, forzato
Perché lo saluto nei giorni in cui lo incontro e benedico quando lo comprendo

è stato come schianto soffice ed acqueo come cascata gelatinosa di marmellata e idee
appiccicose come lebbra mentre lo scafo ruotava e li ho visti uno dopo l’altro cadere senza
essere colpiti fottuti epidemia dopo epidemia infettati definitivamente da questa fine fredda e
strisciante e poi si sono visti in fila incatenati sfilare gli ultimi irriducibili che
pesi scontavano i loro sogni e loro violenza e si sono visti i profeti montati sull’albero
maestro urlare che tutto va bene tutto va bene va bene va bene mentre la chiglia singhiozza
e incrina mentre il ghiaccio possente ed aguzzo apre le connessure e sono tutti lì in cabina
che si guardano il loro naufragio in tivvù mentre sul ponte di comando si mangia e si beve
e si cercano giovani donne esperte in lingue straniere e neo-schiavi per servire in tavola
mentre che ormai le scosse sono troppe mentre son tutti lì che provano a cambiar canale a
cambiar destino a cambiare moglie figli e lavoro a cambiare idea a pensare che in fondo
con tutta quella nebbia lì fuori è meglio morir dentro al caldo come ratti sazi ruttando

La Speranza grigi crini mostrava
La Speranza aveva messo il lutto
Scavata dalle lacrime che l’angoscia sbranava
La Speranza da dodici ore aveva abbandonato tutto
E atroce un crepuscolo serrava un giorno addolorato
Senza soccorso, solo faro e fuoco che splendevano dappertutto
E infine vite furono strappate al ponte spazzato
E alle sartie si aggrapparono nell’aria orribile che rovinava

come un colpo che c’ha colto al diaframma come un colpo stolto che c’ha morto un colpo
solo per finire la Cagol un colpo solo per non soffrire più sempre meglio che i brandelli di
pelle sparsi sotto il traliccio sempre meglio del calcio di un fucile un colpo per svuotarci
la scatola cranica e inzepparla di merendine sofficine di telefonini dietetici di terze quarte
quinte case e la sicurezza vuoi mettere la sicurezza un colpo solo mentre la prua ormai inabissa e
gorgoglia e c’è chi fa mercato nero di scialuppe e salvagente e c’è gente c’è
gente che mente come vive e vive come mente anche ora mentre nuota a stracciafiato e
congela in flutti color fine-millennio come un colpo sordo che dice chiaro che del Vietnam
chi vuoi che si ricordi più e del Chiapas chi vuoi che si ricorderà e non c’è trucco non c’è
inganno non c’è beffa non c’è danno una semplice fine d’anno qui sul Deutschland qui per
un crack uno strike e ora che la nave non c’è più che resta solo il mulinello che sprofonda noi
diamogli la paga e che sia finita: è ora che sappiano che è meglio morire che perdere la vita.

Nota: Questo testo utilizza citazioni tratte da The Wreck of Deutschland [Il naufragio del Deutschland] di G. Manley Hopkins, le traduzioni dall’originale inglese sono mie. Tutte le citazioni sono rese in corsivo.

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2 Messaggi del forum

  • Rap di fine secolo [e millennio] 16 novembre 2008 22:11, di silvia

    Ho visto allo spazio oberdan di Milano il corto di Giacomo Verde che utilizza il tuo testo, emozionante... davvero! Credo che comprerò il libro...

  • > Rap di fine secolo [e millennio] 22 aprile 2004 20:00, di sandro pedicini

    ciao lello,mi intruppo un pò nelle tue cose. Ma quanta energia hai,dalle poche cose che
    che ho visto velocemente scorrere nel mio cervello,mi sembra di girare in un vortice dionisiaco.
    sandro pedicini

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