Que viva Villa!

28 dicembre 2003 Articoli e recensioni
Que viva Villa!

Villadrome, come lo chiamava Marcel Duchamp, al secolo Emilio Villa, se ne è andato l’altro ieri, all’ospedale di Rieti, dove era stato trasportato d’urgenza dall’Istituto per anziani che lo ospitava dal maggio 2002, quando era mancata Nelda, la compagna di una vita, e con lui se ne è andata, in punta di piedi, una delle parti più stupefacenti e importanti della poesia e dell’arte italiana del secondo Novecento.
A me, che seguivo e studiavo il suo lavoro da ormai quasi un quindicennio, piace immaginare che Villadrome se ne sia andato di sua spontanea volontà, scrollando le spalle, perché gli era venuta a noia questa italietta nostra (Ytaglia, la chiamava lui) e aveva deciso di far correre la sua lingua fantasmagorica ed inimitabile lungo strade celesti ed assai più amichevoli di quelle terragne e taccagne di spazio che gli erano state sinora riservate in patria.
Del ’caso Villa’ avevo già scritto su queste stesse pagine, più volte, sottolineando lo scandalo che chiudeva le porte della pubblicazione a colui che Aldo Tagliaferri, lo studioso e fraterno amico che da decenni lo accompagnava ’criticamente’, aveva giustamente definito :« il più esplicito, produttivo e inflessibile continuatore delle avanguardie che la cultura italiana dell’ultimo secolo possa vantare». Non era servito a molto, in realtà… Lettere in redazione ne erano arrivate, missive ed e-mail di lettori interessati, o di piccoli editori coraggiosi, naturalmente, mentre le major della nostra editoria avevano preferito proseguire la loro crociera tra instant-book e romanzetti dal respiro corto, con al timone editor presunti esperti di partita doppia, ma assai meno competenti d’arte e letteratura. Troppo pericoloso Villa, capace di rivoluzionare con la sua sola presenza tutte le scale di valori consolidate. La sua poesia, così potente ed inclassificabile, a volerne intuire il valore, avrebbe costretto a troppe autocritiche, a troppi passi indietro, avrebbe inevitabilmente condotto a destrutturare e ricostruire una gerarchia letteraria incarnita quanto un luogo comune. Villa era una merce strana da commerciare. Una merce pensante e non addomesticabile.
Eppure Villa aveva rinnovato con una forza e una profondità ineguagliate il panorama della nostra poesia in anni in cui di Neo-Avanguardie ancora non c’era nemmeno l’odore, era stato splendido traduttore dalle lingue antiche e moderne, critico d’arte e ’suggeritore’ d’artisti del calibro di Burri, Parmigiani, Rotella e Nuvolo, ascoltato con attenzione e ammirazione persino da Duchamp, guardato con attenzione e ammirazione da molti dei protagonisti del Gruppo 63, basti qui citare il nome di Nanni Balestrini. Questo non era bastato a rompere il muro di silenzio che lo circondava. Né il muro di silenzio era, in realtà, servito a celare una così prepotente presenza alla fame di novità e all’entusiasmo da novizi che negli anni 80 animava tanti nuovi poeti italiani. Quando poi questi nuovi poeti avevano incontrato la sapienza villiana di Aldo Tagliaferri, il circolo s’era chiuso e certo pochi altri poeti hanno avuto tanta influenza sulle nuove generazioni d’autori sperimentali italiani quanto Villa. Anche perché di Villa non si poteva essere nipotini. Villa non tollerava e non tollera tentativi d’epigonistica imitazione, Non si poteva essere come Villa, più semplicemente e arduamente non restava che tentare di essere - noi tutti - in prima persona, tanti Villa, uno diverso dall’altro e certamente diversissimi da lui. Perché Villa non era un modello, era molto di più, era un grande poeta, ineguagliabile nel declinare una lingua tanto personale da risultare al lettore familiarissima, anche se sconosciuta, e apparire al poeta giovane che lo leggeva vera miniera di stimoli e perizia, che, più che catturarlo in una rete, lo metteva sulla punta del trampolino, pronto a tuffarsi nella scoperta di sempre nuovi linguaggi.
Quanti coccodrilli inizieranno, da domani, il loro pianto? Se si trattasse di altri, verrebbe da dire, che, ora che non c’è più, per crudele paradosso, l’occasione sarebbe quella buona per aprirgli infine porte rimaste ostinatamente chiuse per quasi un cinquantennio, grazie magari «a quell’imbarazzo professorale, molesto in quanto si mette su un piedistallo il poeta solo per evitare di entrare nel merito della questione» di cui aveva recentemente parlato proprio Tagliaferri.
Ma questo non vale per Emilio Villa. Innanzitutto perché, in realtà, Villa non è affatto morto e la sua poesia è più viva che mai, più scomoda che mai, più polemica che mai, più indispensabile che mai.
E dunque - anche se spero d’essere cattivo profeta - vedrete che , magari dopo aver asciugato i fazzoletti a scaglie, o dopo averne cantato i peana, certi signori faranno di tutto per nascondercela, la sua grande poesia. Mentre noi tutti - naturalmente - continueremo a chiedergliene ragione a gran voce ….
Que Viva Villa!

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1 Messaggio

  • > Que viva Villa! 21 settembre 2004 11:29, di gio

    concordo su tutto. o quasi. ma più di ogni cosa col paragone con duchamp.
    e ora una preghiera: qualcuno sa darmi news su una poesia dell’amato villa che tratta
    di una lotta fra un barone rosse ed uno nero e dove, se la memoria non mi tradisce,
    si parla di "razzismo alla base del rifiuto"?
    grazie.

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