Prigionieri politici

1 dicembre 2003 Politica e movimenti
Prigionieri politici

La vicenda dell’incarcerazione di José Bové è esemplare di un clima che si sta creando attorno al trattamento istituzionale di una serie di reati che potremmo definire politici. Ciò è vero al di là dell’indignazione che qualsiasi persona sensata prova di fronte alle modalità del suo arresto, per il quale sono stati impegnati decine di uomini, elicotteri, cani, tutto questo per condurre in prigione un signore di mezz’età che in gattabuia ci sarebbe andato da sé, se solo qualcuno si fosse dato la pena di avvertirlo, e che nella sua vita ha commesso gli unici reati di smontare l’insegna di un Mac e strappare un po’ di piantine transgeniche. Poco più che aver calpestato le aiuole di un parco. Il problema, in sé, non è neanche l’arroganza che fa decidere alla polizia francese di sfondare una porta che si sarebbe aperta se solo si fosse suonato all’uscio e neanche che Bové sia rinchiuso in una cella di 9 metri quadri, con una finestra che dà su un muro, da cui può uscire solo due volte al giorno per recarsi in un cortile deserto. A Guantanamo succede di peggio e nessuno se ne scandalizza più di tanto, quasi che la legalità internazionale fosse ormai fondata sulla vendetta del più forte. Ma, ed ciò che mi preoccupa, il principio, in fondo, è lo stesso. Il corpo del detenuto politico viene considerato privo di diritti. Si può picchiare, torturare, rinchiudere a piacere, più che quello di qualsiasi altro condannato. Vorrei fare una domanda, forse politically incorrect: a quale boss mafioso, killer, pedofilo, matricida le nostre forze dell’ordine hanno riservato un trattamento anche lontanamente paragonabile a quello toccato in sorte agli inermi prigionieri di Bolzaneto, agli occupanti della Diaz, o a Carlo Giuliani? A qualcuno mai è forse stato contestato il delitto di ’compartecipazione psichica’ in associazione mafiosa, in corruzione, o in strage?
E’ per questo che condivido la richiesta di Bové di essere considerato ufficialmente un prigioniero politico e non tanto perché in Francia ciò gli permetterebbe (al contrario che in Italia) di godere di un regime carcerario più sopportabile, ma perché, con la sua richiesta, egli denuncia la perdita di ogni diritto verso cui si avvia chiunque sia imputato di ’reati politici’, fattispecie questa, peraltro, piuttosto evanescente. Certo, noi, in Italia, dobbiamo tutto ciò anche a una storia fatta di brigatismo, tanto feroce quanto ambiguo, infiltrato, politicamente tonto, e la crociata contro il terrorismo (leggi: la campagna di guerra globale scatenata dagli USA) non fa che peggiorare le cose. Ma tutto ciò è comunque il segnale di un virus grave che sta colpendo le democrazie occidentali. Scoprire che ad esserne ammorbata è anche la Francia non può certo consolarci. Anzi…

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