Poetry Corner # Tra il gasometro e la balbuzie.

L’Unità, 2007 22 gennaio 2007 Articoli e recensioni
Poetry Corner # Tra il gasometro e la balbuzie.

Capita raramente che gli esordi di un autore siano gemellati con la sua abilità di produrre un’icona capace di proporsi come chiave universale di interpretazione del reale e dell’opera stessa dell’autore in questione, ma il Gasometro di Sara Ventroni è una di quelle felici eccezioni. Atteso da tempo, anticipato da una sezione data alle stampe in occasione del Premio Delfini e da numerose letture pubbliche, esce ora, nella nuova collana delle Lettere diretta da Andrea Cortellessa, accompagnato dalle note di Pagliarani e Nove, il Gasometro intero, tutta la macchina (testuale e celibe e visiva e corporea ed eccetera) che da tempo, con ostinazione e riservatezza, la giovane poetessa romana andava allestendo.

Volume composito, che riunisce individui differenti (poesie, un racconto, riflessioni di poetica, story board del video che Carlo Di Brina ha dedicato al poemetto), il Gasometro è un tentativo di accerchiare un’ossessione, circondandola in tutte le sue forme, sezionandola, riducendola a scheletro essenziale del reale, quasi che la poesia, scandendone i processi di trasformazione, biochimici e simbolici, sappia farle parlare una lingua nuova ed inaudita, fatta di versi taglienti e sguardi sbiechi, spalancati sul futuro. Il Gasometro è un appassionante poema sulla materia, su quella dell’uomo, quanto su quella del reale e direi della storia, nel loro reciproco avvelenarsi ed invelenirsi, attrarsi e respingersi (« Solo la materia dà forza / L’animella è sostanza velenosa / (…) Sciacquata la sera e la mattina, più di tre volte ciascuna volta / l’anima corrompe la materia, come troppa acqua all’acquacotta.»), è un poema sul lavoro e sul pensiero che lo pensa, è un poema sulla politica dell’anima e sulla quella dell’industria, è un testo virale e multiverso che provoca un’infezione definitiva tra materia e linguaggio: « Ogni bocca il suo sangue / (un prelievo di lingua /per studiarne in scala / le porzioni di infezione) / il suo codice. (…) Il palato sottoposto a misura frattale.» La lingua procede così apparentemente piana, in equilibrio su versi affilati, che disegnano scenari nello stesso momento in cui li cancellano («Usato in massa, il gas / provoca l’estinzione di tutta la materia / umana.»), ma dalla denotazione sbucano improvvise, in chiusa, o mezzo cammino, quasi a fare lo sgambetto con una scintilla, rime ed assonanze che si scolpiscono negli occhi del lettore che ci inciampa («un linguaggio che va da solo, esclude il resto / come fosse e non fosse fino in fondo / una cosa di questo mondo») , mentre il pavimento del senso slitta, verso il baratro, metonimia dopo metonimia. Io credo che Pagliarani, abbia ragione e che ci sia, in questa raccolta della Ventroni qualcosa di «fondamentale» per lo sviluppo del nostro presente poetico.

Estremamente interessante è anche il lavoro – al confine tra parola, suono e arti dello spazio – che da qualche anno va conducendo il giovane poeta triestino Luigi Nacci, il cui Poema disumano esce in doppia versione, con e senza CD audio e disegni, offrendoci una prova convincente della sua capacità artistica, quanto del progetto generale che va seguendo nella sua ricerca. I suoi versi scritti, tutti declinati alla prima persona plurale, alludono (in impari endecasillabi) ai ritmi pari dei filò o degli strambotti popolari, ma poi, velenosi come scorpioni, si ribaltano su stessi ( «Rombano i cacciabombardieri in barba / all’armistizio, baldanzosamente / (…) a rumbe e marimbe tambureggianti, / a mambi, a sambe, a bombe intelligenti.»), mostrano le unghie e graffiano la maschera del buon senso («strascichiamo e strisciamo terraterra. / Alle mine antiuomo assomigliamo.») Il loro corpo fonico, affidato alla registrazione apparentemente anodina di voci piagate da vari difetti di pronuncia, è quasi bava di lumaca che segna, lenta ma sicura, un percorso sino al cuore più addominale, polmonare, vibratile del suono. Le voci messe in scena da Nacci, letteralmente ‘composte’ come in sinfonia, sono una sola voce plurale, ingolfata di errori, pronunciata a volte a bocca piena, con accento straniero, quasi che nell’errore ci fosse la chiave per accedere infine al senso nascosto sotto il segno. Quasi che nell’errore ci fosse la chiave, la forza (e lo scacco, entrambi, appunto, disumani) di tutta la poesia.

Sara Ventroni
Nel Gasometro
Le Lettere – fuoriformato
pp.135, €.18,00

Luigi Nacci
Poema Disumano
Ed. Opera Prima e Galleria Michelangelo (Roma)
pp.48, s.i.p.

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