Poetry Corner # Le estasie di Ilaria Drago

1 settembre 2007 Articoli e recensioni
Poetry Corner # Le estasie di Ilaria Drago

Ci sono volte in cui la poesia si fa teatro, sale sul palco, declama le sue parole ad alta voce, e ci sono volte in cui è il teatro a farsi poesia, volte nelle quali l’attore non finge più, quasi volesse realizzare quella strana utopia del teatro come ‘crudeltà’ con la quale Antonin Artaud, incidendola nel suo corpo, tanto quanto nella sua voce, scandalizzò la Francia tra le due guerre.
Un teatro di parole, certamente, un teatro in cui la voce dell’attore le modella come cesellandole, ma anche un teatro di corpo, della sua tensione e delle sue vibrazioni, in cui la finzione e la rappresentazione del dolore diventano ‘vere’ nel corpo dell’attore e negli occhi e nelle orecchie dei suoi spettatori, in cui il testo è parte stessa dell’organismo che lo pronuncia, un teatro che scommette, rischiando tutto sulla capacità del suo protagonista di non essere solo attore, ma autore.
Quello che va in scena allora è un fantasmagorico ibrido, per metà maschera tragica e per metà poeta, che vi attanaglia il cuore con i suoi versi e vi mostra come divorarlo in proscenio.
E’ tutto questo il teatro di Ilaria Drago ed in più è, per l’appunto, i suoi testi, tesi, spietati, trascinanti, coinvolgenti, ora raccolti nel bellissimo Estasìe (Premio Elsa Morante per la letteratura), molto più che una silloge di canovacci teatrali, vera opera di poesia e narrazione dove le protagoniste della Drago combattono le loro battaglie anche per iscritto, dopo averle combattute, con il respiro e il sudore, sulle assi del palcoscenico: quelle con il desiderio e la fede, come nel caso di Giovanna D’Arco, o quelle con la violenza metropolitana, come accade nell’indimenticabile Mariacane, o ancora quelle con la cecità ed il buio interiore, che si inseguono tra le pagine di Notturno branco, sottile e teso lavoro di riscrittura dell’omonimo romanzo di Saramago, o quelle, oniriche, ma proprio perciò decisive, rappresentate dalle immagini, dai suoni, dai respiri di Dreamtime project, ensamble multimediale di organismi e segni, muta di sensazioni scatenata ad annusare le tracce della visionarietà aborigena.
In ognuno di questi testi, nascosto tra le pieghe delle frasi, l’orecchio attento potrà ascoltare il respiro affannato di Ilaria, il fiato caldo della preda che sa di essere anche il suo proprio cacciatore, la voce della poesia che si ricrea, negandosi come segno e riconoscendosi come impulso, viscera, sguardo stralunato, per poi tornare a farsi icona silenziosa, non più scritta, però, ma incisa, graffiata sulle retine dei suoi lettori. Nel sedimentarsi di nuovo sulla pagina, dopo essere stato suono, accade poi che la lingua e le parole della Drago assumano strane distribuzioni, come ad esempio in Mariacane, dove il testo (il testo-sedimento, intendo) va a disporsi secondo diagonali nette, ma affollatissime, tanto da renderlo simile a tessuto tagliato a colpi di forbici, rifilato, ripiegato e tarpato. Si palesa allora sulla pagina una poesia fatta di bordi ed intrecci, affilata come le cose che dice nella descrizione spietata, e tanto surreale da essere più vera del vero, di una violenza di gruppo, mentre il destino di Mariacane si compie nello scorrere lentissimo del tempo dilato e quasi immobile della tragedia: «La mia testa finisce tra le gambe / di tre. Ora queste diventano strettissime. Sono strettissi- / me intorno. Affondo. Non respiro. Tre mi accusa. Mi / parla tutte le sue parole possibili. Il parlatore. Il parlato- / re chiude le mani come tenaglie sul mio torace. Mi / chiede di parlare. Non è possibile. La mia faccia / si rompe sulla terra. Lui vuole sapere da me / che sto godendo. Non posso. Uno decide / di finire. Decide di venire. Finalmente / anche lui si è fatto uomo. Viene. / Viene ancora. Gli sembra / un incanto. Gli pare / impossibile. E’ Dio / in persona // E io solo la croce.»
L’arte di Ilaria Drago è precisamente nell’essere il tramite tra queste voci e questi segni, il tramite tra le storie e il loro racconto, il ponte tra il buio e un nuovo Principio Speranza. Oltre che naturalmente il link che fa delle sue parole il loro doppio, semiotico, tanto quanto vocale. E’ perciò, forse, che, dopo uno spettacolo di Ilaria Drago, l’impulso è quello di leggere immediatamente i suoi testi, mentre la lettura dei suoi scritti scava in noi quella sottile malinconia della carne e del respiro, che inevitabilmente ci riporta a teatro.

Ilaria Drago
Estasìe Editoria & Spettacolo
Pg.175, €. 10,00

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