Piazza Alimonda

18 novembre 2003 Politica e movimenti
Piazza Alimonda

Sono elementi intricati, quelli di questa storia, nebbiosi quanto quelli delle stragi di stato e hanno un sapore greve, da insabbiamento italiano. C’è un ragazzo con una canottiera bianca e un passamontagna nero, tra tanti altri manifestanti. Lui arriva per ultimo accanto a una jeep dei Carabinieri, attaccata da coloro che essa aveva precedentemente inutilmente aggredito e da cui era stata respinta. Dalla jeep spunta minacciosa una pistola che mira ad altezza d’uomo. E’ un ragazzo minuto, piccolo, disarmato ma indignato, come sono piccoli, disarmati, indignati quelli per i cui diritti egli è sceso in piazza a manifestare. Il ragazzo vede la pistola e poi un estintore, a terra. Lo raccoglie, lo alza per scagliarlo contro la pistola, per difendere se stesso e i suoi compagni. C’è quella pistola che spara, quando il ragazzo è ancora a più di tre metri dalla jeep. C’è il ragazzo a terra, con un foro sul viso, da cui sgorga sangue a fiotti. C’è di nuovo una pistola che spunta, dal lato opposto del medesimo lunotto posteriore, e spara ancora. C’è la jeep che riparte e gli passa sopra, noncurante, una, due volte, mentre la pistola, ostinata, superba della sua violenza, continua a sporgere dal lunotto… Poi c’è una nebbia fitta, fatta di dichiarazioni contraddittorie, di mezze verità, di bugie sfrontate, spudorate. C’è un imputato senza volto, che nessuno di noi ha mai visto e che per lunghe settimane, dopo, nemmeno i suoi genitori hanno potuto incontrare, un imputato la cui confessione, forse, nasconde responsabilità di altri. C’è quello stesso ragazzo, ormai morto, calunniato, insultato, crocifisso. C’è una massa enorme di immagini, nessuna delle quali può dirci fino in fondo la verità, ognuna delle quali ci dà la sensazione che la verità non sia quella che ci hanno raccontato. C’è che, a cinque mesi di distanza, l’unica verità che possediamo è la certezza che qualcuno sta mentendo. C’è la dignità, l’orgoglio di una famiglia che non molla, che combatte per ottenere giustizia e ci sono tanti altri, stretti intorno ad essa, a chiedere che sia fatta chiarezza. Aiutateli e anche se domenica prossima, 20 gennaio, alle 17,27, non sarete con noi in Piazza Alimonda a ricordarlo, a quell’ora, per favore, interrompete quello state facendo, guardate verso Genova e mandateci un cenno di saluto: suonando i vostri clacson, facendo squillare i vostri cellulari, o, più semplicemente, stringendo la mano a chi vi è di fronte e parlandogli di Carlo.

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