Pedro Pietri e Miguel Algarìn - Newyorican’s Poets Café

24 febbraio 2004 Interviste e dialoghi
Pedro Pietri e Miguel Algarìn - Newyorican’s Poets Café

Il Nuyorican Poets’ Cafè l’ho conosciuto una quindicina di anni fa, mentre ero a New York, reduce da alcune letture di mie poesie all’Università di Yale.
Si festeggiava l’anniversario del cinquantennio di attività dei Noigandres, un gruppo di poeti d’avanguardia brasiliani formato da Haroldo De Campos, Augusto De Campos e Decio Pignatari. I Noigandres sono stati tra i più importanti innovatori della poesia a cavallo tra gli anni 50 e 60, maestri dell’arte concreta, con loro la poesia è divenuta segno, suono, performance.
Fino all’inizio della East 3rd, all’incrocio tra Avenue B e C, dove da un po’ di tempo si trovava il Cafè, prima situato sulla East 6th Street, in piena Manhattan, mi ci aveva condotto l’augusta e virgiliana guida di Augusto De Campos, che me lo aveva indicato come uno dei luoghi più interessanti dell’off poetico newyorkese.
Lì già si aggirava la figura nerovestita di Pedro Pietri, il Reverendo Pietri, della Chiesa di Santa Maria dei Pomodori, come ama definirsi lui stesso. Accanto a lui quella più paffuta e giovale di Miguel Algarin, fondatore del Café. E poi, con loro, gli altri del gruppo portoricano: Sandra Maria Esteves, Bimbo Rivas, Miguel Piñeiro, Lucky Cienfuegos, Tato Laviera In Italia allora erano in pochi a conoscere la poesia Nuyorican e i suoi protagonisti. Artisti intelligenti e coraggiosi che sperimentavano in una lingua nuova, lo spanglish, cantando come bardi o griot la rabbia e l’esclusione degli immigrati portoricani nella Grande Mela. Poi, soprattutto grazie all’impegno di Mario Maffi, anglista di razza, e all’interpretazione delle poesie di Pedro Pietri più volte offerta da Paolo Rossi, dall’inizio degli anni Novanta qualcosa è cambiato e oggi sono in molti, anche da noi, a conoscerne e ad apprezzarne le qualità. Cosa fosse e cosa è l’esperienza di quella lingua e di quella poesia lo esprime con adamantina chiarezza lo stesso Algarìn, nelle righe introduttive alla sua antologia di poesia nuyoricana: « I sostantivi inglesi funzionano da verbi. I verbi spagnoli da aggettivi. I vocaboli inglesi e spagnoli sono usati per servire i tempi dell’esistenza. Una vita cruda ha bisogno di verbi crudi, che possano esprimere l’azione e dare un nome alla qualità dell’esistenza. Il poeta vede la propria funzione come quella di un trovatore. Narra alle strade il racconto delle strade. Il poeta trafigge la folla con cateratte di parole, chiare, limpide, precise, concrete, sulla realtà latina che lo che lo circonda, liquida e cangiante. I nuyorican poets hanno operato per affermare il comune e l’ordinario, perché hanno voluto individuare la propria collocazione sulla terra, sul suolo, nel quartiere, nell’ambiente. Sono questi i luoghi che il poeta nomina per i suoi lettori».
E questi luoghi sono Losaida (il Lower East Side) o Il Barrio ( East Harlem) o ancora il celeberrimo South Bronx. Quartieri di immigrazione e di esclusione, ghetti per minoranze, gli stessi cantati da Jorge Brandon, bardo comunitario portoricano, immigrato a New York, alla cui lezione molti dei poeti del Café fanno riferimento, gli stessi dove è nato tanto rivoluzionario Hip Hop, gli stessi che, anni dopo, accoglieranno a braccia aperte, proprio tra le mura amiche del Cafè, il fenomeno nuovo del Poetry Slam, le gare tra poeti.
Il melting pot della poesia portoricana è una condizione di slittamento, di attrito di codici, di creolizzazione di contesti linguistici: come dice Tato Laviera, nel suo graduation speech - « english or spanish / spanish or english / spanenglish / now, dig this: / hablo lo inglés matao / hablo lo español matao / no sé leer ninguno bien».
Una condizione che, come ha sottolineato ironicamente Sandra Marìa Esteves nella sua Non e nemmeno, è tanto linguistica quanto più generalmente esistenziale: « Essendo peurtorriqueña dominicana / borinqueña quisqueyana / taìna africana / nata nel Bronx, non proprio jìbara / eppure non gringa nemmeno / pero ni portorra, pero si portorra anche / pero ni que che cosa sono? / Y que soy, pero con che voce si muovono le mie labbra?» (trad. di Mario Maffi).
Del Cafè ricordo un enorme salone, un piccolo palco, il banco delle bibite e ricordo anche il mio stupore a trovarmi in posto dove si servivano spuntini e poesie. Era deserto. Ma nell’aria c’era come un odore beneagurante di mescolanza, di ibridazione, di parole recitate ad alta voce, di intelligenza e critica, mixate a cordiali pacche sulle spalle. Non l’avrei più dimenticato e quando, anni dopo, a Venezia, conobbi Pietri grazie alla mediazione di Maffi, ritrovai tutto questo nella sua voce nei suoi gesti, nella sua poesia.
Oggi il Nuyorican Poets’ Cafè è una delle realtà più note ed importanti del circuito poetico internazionale. I suoi autori girano il mondo e la sua lingua, lo spanenglish, o spanglish, è diventata una sorta di paradigma. Nei suoi spazi si alternano poesia e musica, teatro e Poetry slam, è insomma una realtà in continuo mutamento e rinnovamento. Non a caso, è del suo team la prima donna a vincere i campionati federali di slam poetry, quest’anno a Seattle: Myda Del Valle.
E’ un’occasione da non perdere, dunque, quella che mi è capitata di averne tra le mani addirittura due, ed anche i più noti, lo stesso Pedro Pietri e Miguel Algarìn, insomma le due anime, i due propulsori dell’avventura della poesia nuyoricana nel mondo.
Pedro, come al solito, è vestito tutto di nero, nero scarafaggio (la sua prima antologia italiana si intitolava proprio Scarafaggi metropolitani), con accanto la sua immancabile valigetta, naturalmente nera, con su la scritta bianca: Free Grass for working class, Erba libera per la classe operaia.
Dal taschino gli spunta ancora un preservativo, nero anch’esso, della serie di quelli che ha appena terminato di lanciare in platea, durante il suo reading, al grido di: «Poesia sicura!». In mano il bicchierino, ovviamente nero, con cui si è poi aggirato in platea, raccogliendo provocatoriamente offerte spontanee, con su la scritta beffarda: Aiutatemi, ci vedo. Guarda Pedro una volta e prima ancora che inizi a recitare, ti sembra già di conoscere la sua poesia. Iniziamo a chiacchierare di una vecchia iniziativa comune. Insieme a degli amici, tempo fa pubblicammo la sua celeberrima poesia Cabina telefonica 905½ su una scheda telefonica della Telecom, riprodotta in centinaia di migliaia di esemplari. La poesia si fa beffe del lavoro e noi ricevemmo vibrate proteste da Sindacati e Industriali.
Il lavoro è un valore intoccabile da noi, l’unico ad essere più sacro della proprietà privata. Che non ci provassimo più!
Quando lo racconto a Pedro lui ci si sbellica a raffica. Ma cosa pensa in realtà, il poeta portoricano, del lavoro? Mi risponde tra un singulto e l’altro..
Non penso granché del lavoro, lavorare significa produrre profitto per altri, io preferisco fare il mio proprio lavoro, che spesso non produce molto profitto nemmeno per me, mentre lavorare in genere significa rendere ricco qualcun altro. Non ho molto da dire sul lavoro…
E giù un’altra risata.
E questa storia della valigetta con la scritta pro legalizzazione della marijuana? La metti giù come se fosse un diritto delle classi lavoratrici…
L’erba è una cosa che può essere usata per molti scopi buoni. Io ho un glaucoma e prendevo medicinali molto forti che mi stavano facendo diventare cieco. Ho cominciato a fumare erba in modo regolare e adesso posso vedere meglio. Inoltre viene usata per migliorare le condizioni dei malati di cancro e di AIDS, io mi sto battendo perché diventi legale il suo uso per motivi medici, perché la sua legalizzazione aiuterebbe molte persone malate…
Ok, ma allora, posto pure che tu ti faccia le canne solo per motivi medici e ci credo poco ( e qui giù un’altra risata a crepapelle, ma collettiva stavolta!) perché diavolo tutti i Governi si ostinano a vietarla? Che pericolo può costituire una pianta tanto utile ed inoffensiva?
Il pericolo c’è per le corporation dei farmaci: sarebbero esposte a gravi danni economici. I loro farmaci hanno effetti collaterali, che l’erba non ha. Se la marijuana fosse legalizzata molte industrie farmaceutiche dovrebbero cercarsi un altro affare, un business diverso…
La faccenda sembrerebbe interessante da sviluppare, ma io mi ricordo che sono qui per un’intervista letteraria e allora aggiusto il tiro.
Siamo in un mondo globalizzato che sembra avviarsi al monolinguismo anglofono, degno corollario del nefasto Pensiero Unico. Che importanza e che significato ha scrivere in spanglish, mescolare i codici, ibridarli…?
Io credo che sia assolutamente necessario sperimentare forme di plurilinguismo. In una città come New York, dove ci sono molteplici gruppi linguistici ed etnici, in una città di emigranti, insomma, questo significa assicurarsi un’audience più ampia avere maggiori spazi di comunicazione, puoi condividere la tua poesia con più persone. Questo è il punto: andare oltre la lingua che già conosci e cercare di comprendere e creare altri linguaggi
E tu Miguel? Che ne pensi? Sei tu l’intellettuale del gruppo, no?
L’esperienza plurilinguista è, a mio parere, davvero importante. La questione, in fondo, è molto semplice ed è sempre la medesima: già ai bordi dell’Impero romano i cosiddetti linguaggi volgari come lo spagnolo, il portoghese, il francese, l’italiano, il romeno, crebbero. Erano una mescolanza del latino del centro di Roma con le lingue parlate quotidianamente ai confini dell’Impero. Oggi sono lingue in cui si è fatta e si fa grande letteratura. Il Nuyorican Poets’ Cafè è stato questo, l’esperienza di ciò che hai sentito adesso sul palco, è l’esperienza di un piccolo luogo nei dintorni di Manhattan che diventa il ’living room’ della parola parlata, detta ad alta voce. Ma non ho mai pensato che stavo svendendo la forma linguistica per ottenere un impatto in termini globali. Questo non vale solo per l’inglese, ma per tutti i linguaggi, perché ciò che abbiamo fatto con l’inglese, oggi tutte le altre lingue lo stanno facendo.
Ma non credi che sia una battaglia persa, che la globalizzazione linguistica alla fine la vincerà?
Niente affatto, anzi… Il linguaggio del denaro adesso ha capito che essere una sola cosa non è abbastanza. Il linguaggio del danaro oggi rimescola se stesso. Puoi vedere una pubblicità alla televisone a New York e magari è in spagnolo, cinese, giapponese, perché loro non vogliono perdere un penny!
Il ragionamento non fa una una grinza! Mìguel mi ha regalato il mio briciolo giornaliero di ’Principio Speranza’.
E’ un avvenimento che va festeggiato, decidiamo io e Pedro, dedicandoci a curare il nostro glaucoma. Con permesso…

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