Pedro Almodovar, Fuoco nelle viscere

28 dicembre 2003 Articoli e recensioni
Pedro Almodovar, <i>Fuoco nelle viscere</i>

Tra il 1977 e il 1982, appena all’indomani del tramonto dell’epoca franchista, nelle strade di Madrid si muoveva - pendolando tra il bar Rastro e la disco Rock-Ola - un singolare gruppo di giovani: ne facevano parte uno strano musicista punk-rock, detto Alaska, un travestito con velleità musicali, Fabio Mc Namara, un artista della neonata nouvelle vague spagnola, Sigfrido Martin Bergué, Carlos Berlanga, grafico-musicista, e un impiegato amministrativo della Compagnia Telefonica Nazionale, che era anche scrittore, sceneggiatore e, soprattutto, appassionato regista e produttore di brevi film girati in Super8, film che proiettava poi a casa sua, su un lenzuolo bianco appeso alla parete, creando egli stesso dal vivo l’audio, come si faceva una volta con le pellicole mute, inventandosi voci e rumori. Lui si chiamava Pedro Almodóvar e con i suoi amici era la punta di un iceberg creativo che poi lui stesso avrebbe reso famoso in tutto il mondo: la Movida… E’ proprio agli anni in cui la Movida ormai esauriva la sua spinta propulsiva (e in cui finalmente Almodóvar riesce a girare i suoi primi due ’veri’ film, Pepy, Lucy, Bom e le altre ragazze del mucchio, 1980 e Labirinto di passione, 1982) che risale Fuoco nelle viscere (1981) gustosissimo romanzo breve, nato come sceneggiatura di un fumetto poi effettivamente realizzato grazie ai disegni di un altro degli esponenti della nuova onda artistica spagnola, che più tardi sarebbe diventato uno tra i più noti designer spagnoli, il catalano Javier Mariscal, e in seguito pubblicato presso le edizioni La Cúpola, la medesima casa editrice di "El Vibora", rivista a fumetti che è un cult della Spagna di quegli anni.
Fuoco nelle viscere, che ora viene riproposto da Mondadori, accompagnato da un’interessante postfazione di Daniele Brolli, narra la storia del ricchissimo Chu Ming, un industriale cinese che produce assorbenti interni, e del contrastato rapporto con le sue cinque amanti, da cui sarà immancabilmente abbandonato e di cui si vendicherà facendone le prime vittime di un contagio che proprio attraverso gli assorbenti si propagherà a tutta la nazione: una sorta di furor heroticus che si impossessa delle donne che li usano, trasformandole in menadi e baccanti scatenate. I maschi posseduti vengono allora infettati da uno strano virus che li riempie di bubboni e provoca loro continue emorragie. A risolvere la situazione sarà l’intuizione di una delle cinque amanti, una donna, naturalmente, come sempre nei film di Almodóvar.
Ciò che Chu Ming mette in atto per vendetta è, in realtà, la realizzazione di una paura ancestrale del maschio, la stessa, per fare un esempio, ventilata da Ligurio a Nicia nella Mandragola del Machiavelli, tanto che Fuoco nelle viscere ne sembra in qualche modo uno svolgimento laterale, metonimico, sorta narrazione, su scala massicciamente più grande e ’politica’, della realizzazione della minaccia con la quale Ligurio otterrà da Nicia che Callimaco possa giacere - e con la sua benedizione - con sua moglie, Lucrezia.
I personaggi della narrazione, non a caso, sono piuttosto ’caratteri’ e tutto il testo tende a presentarsi come uno spazio neutro (o ambiguo) che sta, per l’appunto, tra il ’canovaccio’ e il racconto vero e proprio tanto che, per dirla con Brolli, i suoi abitanti sono «elementi di un perturbante contemporaneo, non più legato a situazioni psicologiche e personali ma al dipinto di un’intera società in trasformazione».
Il dono avvelenato di Chu alle donne, l’assorbente fatale (fatato?) che da prede le trasforma in cacciatrici, per poi consumarle di desiderio e farne strumenti di un contagio che conduce i maschi sino alla morte, è il segno di una smagliatura fatale del genoma, di un anello che non tiene, virus contagioso che si trasmette, non tanto attraverso il contatto tra i sessi (quale sorta di paleo-AIDS) quanto piuttosto grazie alla prassi della travolgente e carnevalesca ’innaturalità’ di una realtà rovesciata, che alla fine, però, nonostante tutto, offre comunque una via d’uscita, se non, addirittura, una vera e propria occasione di rivolta.
Da questo punto vista Fuoco nelle viscere è una novella, nel vero senso della parola, della razza di quelle (antirinascimentali) del Doni ( ma il pensiero va poi anche alle atmosfere del più sognante e ’tecnologico’ Déclic di Manara), con dentro la stessa vena di amaro sarcasmo, appena moderata da un persistente senso di speranza, tutto colorato al femminile, perché, infine, solo le donne saranno in condizione di comprendere il linguaggio delle merci e delle ’realtà di scarto’ - come le definisce Brolli - e, infine, di dominarle.

Pedro Almodóvar
Fuoco nelle viscere
Postfazione di Daniele Brolli
Ed. Mondadori

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