Paolo Fabbri: semiologia della moda.

24 febbraio 2004 Interviste e dialoghi
Paolo Fabbri: semiologia della moda.

Parlare di moda con un semiologo della fama di Paolo Fabbri, per anni Direttore dell’Istituto Italiano di Parigi e oggi docente al DAMS di Bologna, un intellettuale da anni impegnato a studiare argomenti apparentemente di ben maggiore portata che non la moda, poteva sembrare una scommessa addirittura presuntuosa e comunque destinata ad essere persa. Non fosse stato che Fabbri, da quell’intellettuale acuto che è, sa bene che le cose non stanno poi così, che lo sguardo su una società che volesse prescindere dalla moda, dalle sue tendenze sarebbe uno sguardo in parte cieco, strabico, che un discorso sui segni che indossiamo è comunque un discorso sul nostro corpo e sul nostro linguaggio. Se sorridiamo, ora, seduti alla scrivania del suo ufficio a Bologna, tra allievi che nel frattempo la moda la fanno, vestiti come sono di tutti i colori della tavolozza dei possibili modaioli, è perché già sappiamo che potremmo far storcere il naso tanto a stilisti che a semiologi tutta-accademia, ma che inevitabilmente certi discorsi vanno fatti, che essi possono avere importanza decisiva nella cartografia dell’immaginario di una cultura e di una civiltà.
Premo il recording del registratore, accendo una sigaretta, decido di cominciare dal cuore del problema, da una questione ’ideologica’ e insieme ’teorica’
La moda è punto di coincidenza di due opposti: la tendenza all’assoluta originalità, all’unicità e quella alla massificazione. Il capo unico e il pret a porter, o la tendenza: due caratteristiche, queste, che sono comuni più in generale alla ’comunicazione’, anche estetica, quanto può esserci d’aiuto, in questo, la semiotica?
Certo, questo è ovvio, nel caso dello spazio. Se ci situiamo nello spazio, la moda è nello stesso tempo quanto di più ovvio per lo sguardo e, insieme, il punto in cui il soggetto crede di essere più individuale. Ed è vero anche per il tempo. Se si considera la moda su tempi abbastanza lunghi, ci si rende conto che ci sono delle tendenze storiche con delle durate singolari e bizzarre. Se si tiene presente il tempo lungo e non l’alternarsi stagionale dei gusti, se si prende in considerazione, cioè, non l’evenemenziale, ma il congiunturale e in qualche misura dunque lo strutturale, si percepisce l’esistenza di fenomeni con delle durate e degli andamenti di tendenza, nel senso profondo del termine. Un esempio banale: il portar barba degli uomini. Gli uomini del Medioevo avevano poca barba, pensa a Dante, e all’ inizio del Rinascimento la situazione era la medesima, ma se tieni presente il 600 scoprirai uomini barbutissimi, il 700 è senza barba, pensa a Voltaire o a Casanova, , ma l’800 è barbuto…
Mi viene in mente una cosa, che mi pare dimostri quanto la moda sia interna e attiva nei meccanismi di creazione della cultura e degli immaginari collettivi: la scena finale del Casanova di Fellini. La lontananza incolmabile tra Casanova e i giovani romantici, che lo osservano dalla cima della scalinata, è sottolineata dal fatto che ai loro lunghi e fluenti capelli si oppone la parrucca vizza di Casanova, ai loro volti ’acqua e sapone’ la biacca che ricopre il volto dell’illuminista, lui è un ’parruccone’…
Certo, nell’Italia degli anni 50 la guerra era di nuovo tra parrucconi (metaforici) e capelloni. Se ci pensi bene, l’inizio del 900 è senza barba, che aspetta, per tornare in auge, il 68. Ci sono, dunque, degli andamenti di lunghissima durata: la parrucca è durata certamente per un paio di secoli e c’erano persone che si sparavano addosso a cavallo, combattendo contro i Turchi e lo facevano portando la parrucca… Se leggi una delle ultime Odi leopardiane, troverai che Leopardi descrive inorridito le lunghe barbe nere dei giovani romantici che finiranno per spaventare i bambini… Per Schopenhauer ’barbaro’ viene da ’barba’… Se noi teniamo presente tempi lunghi, ci accorgiamo che la moda si rivela tendenza. E in quanto tendenza ci sarebbe una semiotica che potrebbe studiarla come una forma di codice. Un altro esempio: due grandi antropologi Kroeber e Richardson hanno studiato l’evoluzione negli anni di questo secolo dei vestiti da sera femminili e si sono accorti, non senza sorpresa, che tutto sommato l’evoluzione era lentissima e dipendeva da alcuni elementi essenziali. Per esempio, il punto-vita poteva scendere sotto la vita reale, o porsi sopra di essa, la scollatura poteva approfondirsi, o accorciarsi, davanti e dietro, la lunghezza della gonna aumentava, o diminuiva: erano questi parametri essenziali e di grande semplicità che evolvevano nei tempi secondo forme di tendenza. Il confronto istituito da loro è poi di tipo evolutivo: anche i granchi hanno delle evoluzioni delle chele di questo genere. Un ultimo esempio, credo di grande interesse per il discorso che stiamo sviluppando: l’unisex. Ricorderai che c’è stato un periodo, certamente utopico, non a caso coincideva con gli anni 70, quindi con una forte capacità di trasformazione anche sociale, in cui si è tentato di far coincidere le forme del vestito maschile e femminile, che erano state fino ad allora profondamente diverse e che sono tornate a differenziarsi subito dopo. C’è dunque un momento di utopia, che, dal punto di vista logico è sempre possibile, cioè è sempre possibile immaginare un vestito unico per tutti - il maoismo è stato anche questo - che neutralizzi tutti i sistemi di differenza (sapessi le sottili differenze tra i sai degli ordini monastici!)… Io credo che sia interessante mettere in luce l’aspetto dei differenti codici, ma che occorra ricordare quel momento utopico, quell’evento piccolo, ma straordinario, in cui tutti hanno provato ad essere uguali, per poi tornare ad essere tutti diversi. Se la semiotica studiasse soltanto i problemi di codice, la ’tendenza’ come codice, farebbe un grave errore, occorre invece che studi anche gli eventi, cioè il livello immediato dell’evenemenziale. E’ evidente che chi vive nel momento della presenza, e la moda interviene nella presenza, si trova a riflettere non sull’insieme delle tendenze, ma sulla puntualità dell’efficacia dell’evento trasformativi
Mi interessava adesso approfondire con te una cosa. Tanto è vero che la moda è un codice estetico, che cita. Il Postmoderno nella moda ha avuto una sua esplicazione altrettanto evidente che in arte proprio attraverso il citazionismo, cioè ci rivestiamo come nei 60, poi come nei 50 o nei 70, ecc.
Nella moda è stato ancora più facile, perché, come diceva luminosamente Barthes, la moda è la rotazione dei possibili. E’ l’idea che ci sono alcune possibilità che vengono sfruttate in maniera circolare. Anche se poi non si ritorna mai allo stesso punto…Si procede, se vuoi, in modo elicoidale, a spirale. E’ buffo, ma tutti i ritorni sono ritorni leggermente sfasati e in questo la moda non è differente dalla vita - Borges sosteneva che la vita è fatta di simmetrie leggermente sbilenche. Come accade tutto questo? Non certamente a partire solo da sistemi di scarto. Accade anche attraverso trucchi interni, tanto nella storia quanto nello spazio sociale. Gaultier, ad esempio è diventato celebre, perché è andato nei sexy-shop e ha portato dentro il centro della grande moda quello che prima era marginalità
Insomma ha fatto quello che fanno le avanguardie…
Certo, molto semplicemente… Ha fatto l’operazione di constatare una marginalità e di riportarla all’interno. Questa operazione di sfruttare costantemente margini, cioè di emarginare e di rimettere al centro, è di fondamentale importanza. Significa far valere la marginalità - e la moda valorizza costantemente fenomeni ’eccentrici’ - dall’altra parte è una cooptazione senza fine… L’attività della moda è dunque anche di normalizzare l’eccentricità. Questo può essere fatto in due modi. Attraverso un vestito standard che ricupera un elemento di eccentricità lo mette al centro e lo standardizza, oppure, peggio, più astuto, la vendita di personalizzazioni di massa. Quest’imperativo paradossale alla diversità nell’uguaglianza è la moda. L’essenza stessa della moda è che dà a tutti quanti l’impressione di essere assolutamente personali e insieme uguali, parti singolari di un tutto…
Posso dire un’eresia, di cui magari dopo mi vergognerò? Sembra una definizione della Rivoluzione… la rivolta, la rivoluzione è un momento in cui ci si sente assolutamente se stessi, singoli, eppure parte di un tutto, è inquietante…
Già… La moda si propone come una parte fondamentale del mutamento sociale. Noi possiamo considerare la modo sotto vari aspetti. Il più semplice è intenderla come apparato produttivo, anche se la gente spesso lo dimentica. Come prodotto dotato di significazione, per altro verso, la moda viene trattata spesso in certo modo. Ne parliamo per complesso di corpo, per abito, ma questo vale per Chanel, che aveva il total look, ma non è affatto vero per altri. Anzi oggi, nella maggior parte dei casi, non si lanciano abiti complessivi, e quindi ’corpi complessivi’, l’abito è sempre in rapporto diretto col corpo. Oggi si lanciano elementi parziali e quindi parzializzazioni di corpi ed è molto importante. Distinguerei due cose. Le forme e le sostanze. Noi guardiamo le forme. E’ evidente, perché le forme legano al corpo, lo contraddicono, lo enfatizzano e così via. Tutte le figure retoriche sono possibili, enfasi, metonimie, metafore, litote. D’altra parte, dimentichiamo spesso la sostanza, ed è un errore, perché il corpo non è in contatto solo con le forme dell’abito, ma con la sua sostanza. L’ultima grande rivoluzione della moda, il punk, ha imposto due cambiamenti: di forma e di sostanza. Quanto al colore, il nero, cioè il non colore, ha imposto il no-future, cancellando il policromatismo hippies
Altro che United Colors of Benetton…
Già e poi il punk ha imposto sostanze impreviste: ricordi i sacchi della spazzatura, la plastica, o il metallo, la pelle, o addirittura la violazione del corpo stesso, tattoos, peircing? Il punk è decisivo…
Come la body art: da Sid Vicious, a Gina Pane e a Orlan
Ha definito un cambiamento globale delle forme e delle sostanze. Aggiungerei che da questo punto di vista delle materie l’artificializzazione crescente della moda è dovuta proprio a questo problema delle sostanze, della materia.
Ma e il corpo?
Il corpo, già. Torniamo al punto. Vedere un vestito sopra un manichino è una cosa che non bisogna assolutamente fare. Perché evidentemente i vestiti stanno solo su corpi in movimento. Vivi. I tentativi di Valentino, come sosteneva ieri il nostro amico Gillo Dorfles, di fare sculture e poi di animarle è ridicolo. Il mito della moda è legato alla performance, al corpo vivo.
Riceverai una menzione d’onore dal Sindacato Mannequines , ma la faccenda è davvero di importanza fondamentale. Non c’è moda senza corpo vivo. Senza vita…
Non è un caso se oggi uno sforzo d’immaginazione che dovrà fare la moda sarà quello di trasformare quel ridicolo momento militare che sono le sfilate, con ragazze-soldati che marciano su è giù come nei cortili delle caserme, o nei bordelli. Il problema sarà riorganizzare - e certo l’utilizzo della musica non è bastato - lo spazio. Io ho una grande ammirazione per un’installazione di Steinbach, che è un grande artista contemporaneo, un quadrato di docce continuamente aperte, all’interno era seduta la gente, le mannequines giravano, facevano la doccia, si rivestivano, andavano via. Ma torniamo al corpo…
Magari nell’epoca dell’AIDS, del sesso che è diventato guardare moltissimo e assolutamente toccare il meno possibile, a scanso di contagio…
E’ evidente che il contatto con sostanze e forme diverse provoca al corpo percezioni sensoriali diverse. In un romanzo di Tanizaki c’è un travestito che esce per la prima volta vestito di seta. La descrizione delle sensazioni dovute alla seta è un pezzo di straordinaria letteratura. Però oggi sta accadendo un fenomeno molto curioso. Supponi ora di vedere una signora al mare, in tanga. Quel corpo è stato preventivamente abbronzato, oliato, rassodato, depilato, magari messo a dieta. Qualcosa è mutato anche nell’interno di quel corpo, e in questo i brasiliani sono maestri. Se è vero che la pelle è un abito da scena, sublime definizione data da non so quale diva, oggi tutti tratti dell’abito passano sulla pelle, nella pelle. Tatuata, dipinta, perforata. Gli effetti degli abiti di Schubert, che sosteneva che nelle sue creazioni le donne non dovessero respirare, con le loro vite minuscole, sono oggi ottenuti via palestra, con sofferenze forse maggiori. Ma poi c’è la possibilità di scolpire le forme dall’interno. Dice Princesa, in maniera acutissima, parlando di sé : io sono esattamente il miglior prodotto di quella tale chirurga plastica la quale era particolarmente abile nella realizzazione di un certo tipo di ’modelli-corpo’. Abbiamo dunque un nuovo tipo d’artista. Lo scultore del corpo umano dall’interno. Questa signora che ha scolpito Princesa non è certo nota come Orlan, ma la sua operazione è decisiva. Credo che si tratti di un fenomeno molto importante e tocchi direttamente uno dei problemi trattati prima, quello della visibilità: tutto questo è condotto dal più intellettuale dei sensi, la vista. La problematica dell’odore che una volta è stata veramente fondamentale - tu ricordi che il corpo di una volta non doveva puzzare - ora è secondaria mentre per i nostri nonni era fondamentale l’odore del corpo dell’altro. Nel dopoguerra, dopo l’arrivo massiccio dell’America che ha portato sì il chewing gum, ma anche i deodoranti, la cosa fondamentale era che il corpo non odorasse. Come hai sottolineato bene prima, ora anche il tatto è pericolante e il gusto a sua volta diviene pericolosissimo, il risultato è che il più intellettuale dei sensi, cioè la vista, è decisivo oggi per le relazioni. Oggi si pone dunque una questione interessante, il corpo non dovrebbe avere più un suo odore, ma deve avere un odore successivo, quello del profumo, di cui esiste una moda specifica, oggi dunque il corpo si estende, per altro verso, oltre il vestito. L’odore ha un volume.
Povero, bistrattato Marinetti, e gli dicevano che era demente a fare poesie con gli odori…
Ritengo che solo le grandi avanguardie avevano capito a fondo queste problematica della tattilità, dell’odore, ed anche della moda e dei vestiti, i vestiti futuristi sono stati la forma più originale e divertente di quel tentativo, in un momento in cui la moda stessa era in una fase di grande trasformazione. La moda oggi è fatta per l’occhio, a parte la storia del profumo. Mentre noi abbiamo sempre sostenuto che la sinestesia era il luogo fondamentale, che il problema principale era sinestetico, cioè che in qualche modo anche l’occhio doveva toccare, oggi ci ritroviamo invece in una situazione di reductio di tutti i sensi all’occhio. In questo senso è vero che viviamo nella società dello spettacolo e che la moda ne è la regina.

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1 Messaggio

  • Paolo Fabbri: semiologia della moda. 1 novembre 2011 19:21, di Don Mills (Class of 1954)

    Please tell me, are you the Paolo Fabbri who attended La Jolla High School in California ? Thank you for a reply.

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