Ogni G8 è un 48

19 novembre 2003 Politica e movimenti
Ogni G8 è un 48

Anche la collera per l’ingiustizia
fa roca la voce. E noi,
noi che abbiamo voluto sulla terra
edificare la gentilezza,
non potemmo essere gentili.
(B.Brecht)

Le cifre fanno impressione. Una roba da bollettino di guerra. Decine di migliaia di uomini impegna-ti, tra polizia, esercito, aviazione e marina. Una città isolata dal resto del mondo, inagibile per cin-que giorni e, in più, tagliata in due: chiusi la stazione, il porto, la tangenziale che unisce i due capi estremi dell’abitato. Recinzioni e fili spinati a chilometri. Sbarramenti di rete. Servizi Segreti in al-larme. Più di 600.000 persone prigioniere a casa propria per giorni e giorni. Le attività economiche completamente paralizzate… Il territorio messo sotto controllo dai satelliti spia…
Un vero 48, insomma, come si diceva un tempo. Un casino cosmico, come si direbbe oggi…
Dove? No, non in Medio Oriente, in Afganisthan, o in Cecenia, non è di Gaza che sto parlando, o di Kabul. Tutto questo - e probabilmente molto di più - accadrà a Genova, Italia, Unione Europea tra il 18 e il 23 luglio.
Scoppierà la guerra? No. Semplicemente a Genova ci saranno la riunione del G8 e almeno 100.000 contro-manifestanti, che certo queste misure draconiane non convinceranno a non sfilare per le vie della città.
Già, perché il popolo di Seattle sbarcherà comunque a Genova, sgattaiolerà tra le maglie dei con-trolli, si imboscherà in periferia, magari si farà paracadutare, ma poi salterà fuori al momento opportuno. Perché, come sempre e per buona fortuna della democrazia, non bastano le misure di polizia, per quanto sovradimensionate a coprifuoco da tempo di guerra, ad impedire alla gente di manifestare il proprio dissenso. A Genova, come a Praga, a Napoli, a Seattle…
Quei centomila saranno a Genova, anche se, dopo una campagna allarmistica che non ha pari negli ultimi anni, sanno bene che ai poteri forti basterebbe una bomba, nel paese delle bombe, a chiudere il conto con chi non crede alla globalizzazione buona e alle politiche dell’FMI e della Banca Mon-diale. Quei centomila ci saranno comunque, mettendo a repentaglio, e non per propria colpa, anche la loro incolumità fisica, perché nei palazzi del Potere Globale arrivi una volta di più l’eco del dis-senso radicale di chi non crede che un mondo nel quale "ci sono 850 milioni di persone che non hanno abbastanza da mangiare, e 1 miliardo che non hanno abbastanza lavoro" mentre "il 40 per cento della ricchezza dell’umanità è concentrato nelle mani di 366 individui" (J.Rifkin) sia un mon-do più a lungo accettabile, visto anche che questi padroni non fanno altro che saccheggiarlo, inqui-narlo, desertificarlo, insanguinarlo, dimenticando che il mondo, così come la vita, è di tutti e che a tutti esso è stato dato in uso e non in proprietà.
Ma dico cose già note. Piuttosto mi preme farvi e farmi alcune domande, forse non del tutto super-flue…
Davvero crediamo che ci saranno 100.000 terroristi a sfilare a luglio sotto la Lanterna? E, per con-verso, crediamo o no, che in paesi di democrazia collaudata, di buona tradizione liberale e illumini-sta, esista ancora una differenza tra i terroristi e chi manifesta, o insorge, per difendere il proprio di-ritto a costruire un mondo migliore?
Davvero crediamo (e chissà cosa ne avrebbe pensato il buon Manzoni) che ci saranno 100.000 unto-ri pronti a far cascare sulla testa della gente palloncini pieni di sangue infetto, come riportato, con compunta e un po’ ridicola serietà, da giornali e TG?
Secondo noi, queste persone, nell’Europa della libera circolazione delle merci, hanno o non hanno il diritto di varcare le frontiere, di arrivare, cittadini europei tra altri cittadini europei, fino a Genova e lì manifestare pacificamente il proprio no alla globalizzazione? In base a quale legge che viga in tempo di pace i confini italiani saranno blindati e a questi cittadini europei sarà vietato di varcarli? Perché saranno trattati peggio di hooligan violenti e ubriachi? C’è nessuno in Italia o in Europa che sia in grado di rispondere a questa semplice domanda?
Davvero crediamo che organizzazioni che nessuno ha eletto e che per potersi riunire hanno bisogno della protezione militare, che addirittura stanno meditando, visto che gli eserciti non bastano a met-terle al riparo dalle contestazioni, di incontrarsi via Internet, o in qualche paese arabo in cui la mani-festazione del dissenso è punita con la pena di morte, siano organizzazioni compatibili con la tradi-zione della democrazia liberale europea?
Davvero crediamo che tutto l’apparato militare di controllo e repressione del dissenso sia il modo migliore per garantire che questo dissenso sia deciso e chiaro, ma insieme pacifico, mite, tollerante? E siamo davvero certi che è solo al Genoa Social Forum e ai manifestanti di centinaia di associa-zioni, partiti, sindacati, centri sociali, che occorre chiedere garanzie perché la violenza resti lontana da Genova?
Cosa ci fa pensare il fatto che l’ex Governo di centro sinistra e il neo Governo di centra destra, su tutto divisi, siano invece d’accordissimo su cosa fare a Genova e si agitino perché tutto sia pronto al meglio, quasi domestiche goldoniane che, dopo aver speso mesi in baruffe chiozzotte, ora di concerto si danno da fare perché tutto sia in ordine in casa al momento dell’imminente arrivo del Sior Paron?
E’ anche dalla risposta a queste domande che dipenderà il nostro giudizio su ciò che accadrà a Ge-nova, la nostra decisione di esserci o meno.
Io mi sono dato le mie risposte. E ci sarò, mite tra i miti, pacifico tra chi vuole la pace, vulnerabile, con la sola arma della critica e del dissenso, convinto come sono che altrimenti tutto continuerà ad andare nel migliore dei modi nel peggiore dei mondi possibili. E voi?

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