Nelo Risi: la poesia ha il sapore della ruggine

17 agosto 2004 Articoli e recensioni
Nelo Risi: la poesia ha il sapore della ruggine

Ho incontrato la poesia di Nelo Risi per la prima volta a metà degli anni Settanta, quando in un "Remainders" ritrovai e divorai una copia dell’indimenticabile antologia di Elio Pagliarani e Guido Guglielmi intitolata Manuale di poesia sperimentale. Lì di Risi erano raccolte due brevi liriche e due testi più lunghi, spiccatamente civili. Non so perché, ma quei testi, pur così lontani formalmente dall’idea di quello che allora credevo che la poesia dovesse essere, mi incuriosirono moltissimo.
Ma fui subito distratto dal Risi regista di pellicole spesso superlative, dai cortometraggi Il delitto Matteotti (1956), Lettere dal Sud (1957), La memoria del futuro (1958), I fratelli Rosselli (1959), La Firenze di Pratolini (1963), sino ai film veri e propri, Andremo in città (1966), Diario di una schizofrenica (1968), Una stagione all’inferno (1971), La colonna infame (1973).
Poi, più o meno un quindicennio dopo, i versi di Risi mi riattraversarono la strada sulle pagine di una piccola ma apprezzabile rivista veneta "L’ozio Letterario" e l’impressione fu nuovamente fortissima: Risi riusciva a coniugare forza espressiva, sperimentazione formale, indignazione etica e chiarezza del dettato a livelli assolutamente magistrali. D’altra parte Montale parlava del "polso teso" di Risi già in un pezzo del 1957 sul Corriere della Sera e Risi stesso, qualche tempo dopo, dichiarerà che il suo scopo era di «parlare di quello che ci offende, scrivere di quello che ci indigna». «Scrivere è un atto politico» dirà poi con nettezza in Dentro la sostanza , a metà dei Sessanta. Non a caso di quegli anni ricordo un testo fulminante, che mi viene in mente sempre più col passare del tempo. Si intitolava Telegiornale: « Stando nel cerchio d’ombra / come selvaggi intorno al fuoco / bonariamente entra in famiglia / qualche immagine di sterminio. / Così ogni sera si teorizza / la violenza della storia. » ( Minime massime, 1962).
Ora Risi torna in libreria, dopo un biennio di silenzio, seguito ad Altro da dire, con un libro dal titolo intensamente allegorico Ruggine e anche in questo caso a monte dell’ispirazione del poeta milanese sta un «desiderio inappagato», nato forse a causa dell’ eco «di un mondo che ci sta espropriando» e se il tema centrale del libro è certamente lo scorrere del tempo («il tempo è un virus latente» afferma in un passaggio, con la sua solita paradossale capacità di sintesi, ma già nel testo proemiale aveva chiosato. «sarà una fine / non una conclusione) esso si snoda coinvolgendo il reale, i suoi nodi più tragici, le sue contraddizioni più insopportabili, in cui è arduo, se non impossibile, mantenere viva la poesia : «Il cielo è sporco / non sa che farsene dei voli / non li senti non li vedi / pure io dei versi: siamo pari». E questo reale - soprattutto nella sezione titolata Momenti, che raccoglie testi brevissimi, icastici, a volte splendidamente cattivi - è un reale che a Risi non piace, da cui potranno salvarci solo coloro che noi invece rifiutiamo e ghettizziamo: «Vengono da ognidove / bucano le reti con la forza del numero / pochi anni e l’Europa avrà il suo meticciato / a rinnovare un sangue malato». Ma prima - ci ricorda inesorabile Risi - rischiamo di fare i conti con la violenza degli integralismi, di tutti gli integralismi: «Inventammo le religioni / come atti di fede poi le usiamo / come armi di distruzione di massa». E che a nessuno venga in mente di costruire una retorica mortale sulla tragedia della storia: «Inutile cercare / la nostra morte / è inscritta su Marte», chiosa Risi, con un sorriso amaro, quasi sardonico.
E’ questo il dettato, semantico e formale, di un esponente certamente particolare e a sè stante della cosiddetta ’linea lombarda’, un dettato in cui non c’è posto per l’io lirico («Qui non si fa romanzo / la voce narrante andrebbe bandita dai versi // Quell’io vestito che ti porti dietro»), piuttosto per le disarmonie che rompono il ritmo, per gli attriti, per il tono basso della Satura spietata, a ricordarci che infine «La poesia sta dove la lingua vive».

Nelo Risi
Ruggine
Mondadori

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