Nanni Balestrini - Ma noi facciamone un’altra #2

Autoanalfabeta University of Utopia 15 gennaio 2015 01. Autoanalfabeta University of Utopia
Nanni Balestrini - Ma noi facciamone un’altra #2

Accade talvolta di notare con stupore, nello sclerotico e automatico abuso di frasi fatte e di espressioni convenzionali che stanno alla base del comune linguaggio parlato, un improvviso scattare di impreveduti accostamenti, di ritmi inconsueti, di involontarie metafore; oppure sono certi grovigli, ripetizioni, frasi mozze o contorte, aggettivi o immagini spropositate, inesatte, a colpirci e a sorprenderci, quando le udiamo galleggiare nel linguaggio anemizzato e amorfo delle quotidiane conversazioni: straordinarie apparizioni che arrivano a illuminare da un’angolazione insolita fatti e pensieri.

Il bisogno di servirsi con immediatezza delle parole porta infatti a un’approssimazione per difetto o per eccesso rispetto al contenuto originario della comunicazione, giunge persino a modificarlo, a imprimergli direzioni nuove. La necessità di sottostare al tempo differenzia profondamente il linguaggio parlato da quello scritto, che offre la possibilità di una stesura dilazionata, con modifiche, apporti, soppressioni. Ciò che è detto è invece detto per sempre, e può venire corretto solo mediante addizioni successive, cioè mediante una continuazione nel tempo. Di qui si fa strada l’idea di una poesia che nasca e viva diversamente. Una poesia apparentemente meno rifinita, meno levigata, non smalto né cammeo. Una poesia più vicina all’articolarsi dell’emozione e del pensiero in linguaggio, espressione confusa e ribollente ancora, che porta su di sé i segni del distacco dallo stato mentale, della fusione non completamente avvenuta con lo stato verbale. Le strutture, ancora barcollanti, prolificano imprevedibilmente in direzioni inaspettate, lontano dall’impulso iniziale, in una autentica avventura.

E da ultimo non saranno più il pensiero e l’emozione, che sono stati il germe dell’operazione poetica, a venire trasmessi per mezzo del linguaggio, ma sarà il linguaggio stesso a generare un significato nuovo e irripetibile. E il risultato di questa avventura sarà una luce nuova sulle cose, uno spiraglio tra le cupe ragnatele dei conformismi e dei dogmi che senza tregua si avvolgono a ciò che siamo e in mezzo a cui viviamo. Sarà una possibilità di opporsi efficacemente alla continua sedimentazione, che ha come complice l’inerzia del linguaggio. Tutto ciò contribuisce a considerare oggetto della poesia il linguaggio, inteso come fatto verbale, impiegato cioè in modo non-strumentale, ma assunto nella sua totalità, sfuggendo all’accidentalità che lo fa di volta in volta riproduttore di immagini ottiche, narratore di eventi, somministratore di concetti... Questi aspetti vengono ora situati sullo stesso piano di tutte le altre proprietà del linguaggio, come quelle sonore, metaforiche, metriche..., tendono al limite a essere considerati puro pretesto.

Un atteggiamento fondamentale del fare poesia diviene dunque lo « stuzzicare » le parole, il tendere loro un agguato mentre si allacciano in periodi, l’imporre violenza alle strutture del linguaggio, lo spingere a limiti di rottura tutte le sue proprietà. Si tratta di un atteggiamento volto a sollecitare queste proprietà, le cariche intrinseche ed estrinseche del linguaggio, e a provocare quei nodi e quegli incontri inediti e sconcertanti che possono fare della poesia una vera frusta per il cervello del lettore, che quotidianamente annaspa immerso fino alla fronte nel luogo comune e nella ripetizione. Una poesia dunque come opposizione. Opposizione al dogma e al conformismo che minaccia il nostro cammino, che solidifica le orme alle spalle, che ci avvinghia i piedi, tentando di immobilizzarne i passi.

Oggi più che mai questa è la ragione dello scrivere poesia. Oggi infatti il muro contro cui scagliamo le nostre opere rifiuta l’urto, molle e cedevole si schiude senza resistere ai colpi — ma per invischiarli e assorbirli, e spesso ottiene di trattenerli e di incorporarli. È perciò necessario essere molto più furbi, più duttili e più abili, in certi casi più spietati, e avere presente che una diretta violenza è del tutto inefficace in un’età tappezzata di viscide sabbie mobili. È in un’epoca tanto inedita, imprevedibile e contraddittoria, che la poesia dovrà più che mai essere vigile e profonda, dimessa e in movimento.

Non dovrà tentare di imprigionare, ma di seguire le cose, dovrà evitare di fossilizzarsi nei dogmi ed essere invece ambigua e assurda, aperta a una pluralità di significati e aliena dalle conclusioni per rivelare mediante un’estrema aderenza l’inafferrabile e il mutevole della vita.

Nanni Balestrini, 1961

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