Mi chiamo Francesco (e voglio andare via di qua)

L’Unità, 2011, marzo 10 marzo 2011 Racconti brevi
Mi chiamo Francesco (e voglio andare via di qua)

Francesco lo riconosci da lontano. Per come cammina. Come una nave. Destra, sinistra, su, giù. E per i capelli, che si muovono come una nuvola. Al ritmo del suo rollio-beccheggio. L’unico che cammini in modo più buffo di lui, qui a scuola, sono io… Ma io capelli non ne ho più…
Francesco è probabilmente il mio studente più innamorato dell’arte e della cultura. Quando parla di quadri, di poesia, o di musica, gli occhi gli si illuminano e sorride… Quando mai capita, a noi poveri schiavi, incatenati a cattedre polverose e misere, di aver davanti allievi che sorridono estasiati perché parli loro di Pascoli, di Dante, o di Gregory Corso?
Francesco a scuola, però ,non è mai andato troppo bene, con buona pace di una costellazione di ottime motivazioni allo studio.
Il suo impegno va su e giù, a destra e a sinistra. Studia come cammina, Francesco.
Parla bene, ma scrive male, o, meglio, scrive bene per metà tema, poi inizia a scrivere male, la scrittura, paradossalmente, lo confonde: più scrive, più s’avvita su stesso, si perde e, a volte, correggere i suoi temi, è come assistere a un precipizio: più si va avanti, meno le cose son chiare, più si fanno opache e confuse.
Lui s’impegna da morire e certamente alla Maturità, quest’anno, infine, ce la farà e anche bene… Ma è come se la scrittura fosse una cosa che lo imbarazza.
Eppure con Francesco posso discutere di poesia beat americana, di Hockney, del restauro della Sistina, o dei nuovi video di Bill Viola. Se gli chiedo chi è Emilio Villa, lui lo sa.
Legge tantissimo, Francesco. Da quando era bambino. Dice di essere cresciuto tra tanti libri e si vede: li ama, tutti, integralmente, non solo ciò che c’è scritto, ma anche come sono fatti, la carta, i colori, i caratteri di stampa, l’odore degli inchiostri.
Francesco, infatti, da grande vuol fare il designer, ma per ora è un allievo di una Quinta liceo artistico. E gli tocca fare anche altro. E far temi proprio non gli va giù. Lui è figlio di una società post-grammaticalizzata. Dell’occhio e dell’orecchio. Per pensare, non sembra essergli necessaria la scrittura… Non quella scolastica, almeno…
“La scuola è piatta – dice – molti professori non amano neanche loro quello che pretendono di insegnarci”.

Mentre parliamo, nel cortile antico di questo Liceo che fu un convento di clausura, illuminato da un pallido sole nordestino, la vita dell’Istituto scorre intorno a noi, allievi e insegnanti vanno e vengono (come le donne di Eliot, ci diciamo) e per tutti Francesco ha un sorriso. Può darsi che a scuola Francesco abbia avuto degli insuccessi, può darsi che la consideri piatta, ma quel che è certo, è che questa scuola è casa sua. Nonostante tutto.
Se gli chiedo della politica, mi risponde come se stessimo parlando di droga. “Sto cercando di distogliermi dalla politica, di farne a meno – dice - perché mi irrita”.
Se gli domando cosa odia, non a caso risponde: “Il razzismo, la televisione e la politica“. Ma quando parliamo del 14 dicembre, dichiara, sereno e tranquillo, che a lui ha ricordato Genova 2001, e che lui avrebbe provato ad ogni costo ad andare oltre quei blindati, con buona pace di Saviano, “che di certe cose non sa nulla. Ma ne parla lo stesso. Perché quello che stanno facendo alla scuola è indegno, la stanno appallottolando come un foglio di carta sporca e la stanno buttando in un cestino. Io Saviano non lo capisco più, non mi interessa più…”. Lo indigna la sorte della nostra povera scuola pubblica, la scuola, com’è, non gli piace, ma la difenderebbe ad ogni costo. Per lui scuola è sinonimo di cultura e di libertà. Cioè d’arte e l’arte per Francesco è la cosa più importante che c’è…
Ma io cambio discorso, per provocarlo, e gli chiedo, della droga, del Veneto ricco che sniffa cocaina a nastro, ma lui è lesto a smantellar luoghi comuni… “Cocaina…? sì, va bene, bamba ne gira, ma la gente ormai si fa tanta eroina…”
Eroina? Di nuovo?
“Sì, perché costa un cazzo, e sballa, tanti se la bucano, o se la fumano”.
Ma qua, a scuola, non ne vedo…
“No, a scuola non ce n’è affatto. La droga te la fai soprattutto se abbandoni, se lasci. Se stai a scuola ti fai qualche canna, niente di più… Finché sei a scuola. Poi, se abbandoni, cambia. Allora arriva l’eroina, a volte.”
Milano, la Milano da sniffare, è lontana da qua, evidentemente… O forse non esiste affatto, non per questi ragazzi, almeno, che a far bunga-bunga, alla fine, si annoierebbero. “Il sesso è importante – mi dice - sì, ma non troppo, tutto questo bisogno di sesso lo trovo subdolo (Subdolo? Sì, subdolo!)”. E mi parla di giovani che si divertono un sacco facendo le medesime cose di sempre, con gli amici, con la musica, con l’amore… “Perché - dice Francesco - se hai passioni ti diverti sempre…”

E se gli chiedo della sua, della nostra città, Treviso, le prime parole che gli vengono in mente mettono i brividi, per quanto sono nette e spietate: “Treviso? Non so: direi piccola, puzzolente, mediocre, ricca e totalmente razzista”. Razzista con tutti, intende Francesco, non solo con gli extracomunitari, ma anche con i diversi, con gli artisti, con i giovani.
Allora gli faccio notare che a ogni domanda inizia a rispondere sempre con un ‘non so’. Lui sorride e mi risponde che l’unica cosa che sa veramente è che vuole andarsene via da qua, via in America, e il più presto possibile: “poi, certo, la colpa di tutto questo è del berlusconismo, ma la colpa del berlusconismo è degli italiani. Della loro ignoranza… In Italia c’è poca arte e l’arte è libertà, e qua di libertà ce n’è poca”.
Ma l’arte non si mangia, ribatto io.
“Certo che sì, risponde lui, si mangia, si mangia”. E sorride. Senza spiegare, come se ciò che intende fosse evidente a chiunque.
Ma che pensa, Francesco, dei nostri politici?
“Che viviamo in una società governata da ragazzini; non ci sono più padri. Quando li guardo in TV, penso che facciano ‘comarò’ (chiacchiere)inutili, come se fossero dei bambini chiusi in una stanza che litigano tra loro per stupidaggini. Sono ridicoli: Vardali, che i fa i putei!… (guardali, che fanno i ragazzini!); bisognerebbe che fossero meno adolescenti”. Il che, detto da un adolescente, fa una certa impressione…
E a me allora rimane un dubbio, sotto forma di gioco di parole: come farà un mondo governato da ragazzini ad essere, morantianamente, salvato dai ragazzini?
Ma Francesco, a sentirmi dir questo, ridacchia e sorride di nuovo e a me si placa ogni dubbio. Ce la farà, ce la farà e proprio grazie a questi ragazzini, che oggi hanno l’età giusta per esser ragazzini. Ma che presto (loro sì, per nostra fortuna) saranno adulti.

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3 Messaggi del forum

  • Mi chiamo Francesco (e voglio andare via di qua) 11 marzo 2011 21:42, di una mamma

    Mi piace la positività che emerge, verso la fine dell’articolo, "quel ce la farà, ce la farà", penso sia la speranza di ognuno, che i nostri ragazzi siano degli adulti di domani in grado di saper affrontare le difficoltà che noi adulti di oggi abbiamo contribuito a creare.
    Mi piace anche questo ragazzo così amante dell’arte che vive la vita con passione che viene descritto come un lettore compulsivo, ma che ahimè confida nella fuga come unica possibilità, fuga in America, poi, dove l’arte è nata come copia dell’arte europea.
    Mi piacciono anche i suoi "non so" a volte essere incerti porta ad una maggiore riflessione, chi sa già tutto non si mette nell’ottica di imparare e non per essere retorica ma nella vita non si finisce mai di imparare.

  • Mi chiamo Francesco (e voglio andare via di qua) 11 marzo 2011 18:20, di isabella

    che bello Lello!

  • Mi chiamo Francesco (e voglio andare via di qua) 10 marzo 2011 17:37, di A.Burbank

    Grazie Lello! Un bellissimo articolo, a tratti commovente, che mi ricorda moltissimo i miei trascorsi... la bocciatura che rimane come un tautaggio, i professori annoiati e poco presenti ai problemi dei ragazzi, il rettore prete che corrompe le menti che hanno voglia di evadere inculcando loro la preghiera nella prigione della dottrina... ma forse infondo devo solo ringraziarli perche’ se mi sono aggrappato alla poesia, se mi sono incatenato ai versi come un operaio disperato su una gru’... beh un po lo devo a quei mali passati...a tutte le lacrime di mia madre che, sola, tentava di non farmi rinunciare e di farmi andare avanti...
    ...la vita in seminario era troppo stretta per un ragazzino che faceva troppe domande... e se mi avessero chiesto chi fosse Emilio Villa gli avrei detto: Uno che con voi seminaristi idioti non avrebbe mai avuto nulla a che spartire... perche’ lui aveva fede...voi oramai siete solo feticisti.

    Grazie.

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