[Legaville 42] Tra lingue e dialetti

1 settembre 2007 Letteratura e arti
[Legaville 42] Tra lingue e dialetti

Va bene così. Il Consiglio Regionale ha deciso che il veneto non è un dialetto, ma una lingua? Chi può dolersene? Per carità, magari fa un po’ ridere che siano i veneti stessi a decidere su una roba del genere, e non un consesso di glottologi, o invece fa un po’ piangere l’esistenza di una lingua che è tale per legge, ma va bene così. Le lingue sono tutte belle e la diversità è ricchezza. Anzi, questo mi pare il primo passo: io da oggi inizio la mia lotta personale perché la status di lingua venga concesso anche al trevigiano, al liventino, al chioggiotto e via così, visto che non è ben chiaro quale veneto si sia deciso di elevare a lingua ope legis, se quello di Goldoni, quello di Zanzotto, quello di Noventa, o quello di Giacomino da Verona. Va tutto bene, tanto, alla fin fine, ciò che conterà davvero non sarà se il veneto sia o meno, per legge, una lingua, ma quanto i veneti del futuro sapranno parlare inglese, cinese, arabo e russo. Altrimenti addio miracoli economici del Nord Est, a meno di non tentare di venetizzare il mondo. Per il resto non cambia molto. Ad esempio, una pretta espressione veneta quale: el leon se magna el teròn, resta una solenne bestialità xenofoba, sia che la si consideri pronunciata in lingua, che espressa in dialetto. Ma lasciamo andare, proviamo ad essere propositivi. Vista la bella legge regionale sono certo che il Consiglio Comunale non perderà l’occasione e infine si accorgerà dell’opera di Ernesto Calzavara, tra i maggiori poeti dialettali (pardon: in lingua veneta) di tutto il Novecento. E’ arrivato il momento di realizzare il suo sogno, trovare i fondi per restaurare la sua bella villa a San Pelajo, ora in rovina, e trasformarla in quell’Archivio nazionale della poesia dialettale che è stato l’ultimo dei suoi pensieri. Fino ad ora, trattandosi di un poeta in vernacolo, il Comune, preso com’era da un avvenimento culturale del prestigio dell’Ombra Longa, se n’è infischiato. Ora certo non può più farlo. Anche perché Calzavara il suo veneto l’ha reso una lingua vera senza bisogno di nessuna legge, solo con la forza della sua intelligenza e con la sensibilità stupefacente della sua poesia, mescolandolo con l’inglese, con il latino, con l’italiano, facendo dialogare le lingue tra loro, tutte cose di cui, ahimè, i seguaci del Giussano, legge o non legge, sanno assai poco.

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