[Legaville 41] Sonia Ros, il corpo dei segni

1 settembre 2007 Letteratura e arti
[Legaville 41] Sonia Ros, il corpo dei segni

A Legaville e dintorni non accadono solo disastri. Nonostante tutto, tra Sile, Cagnan e sponde del Piave di cose belle ne succedono tante, sovente nel campo dell’arte e della cultura, e siccome io di mestiere faccio il poeta, mi è sembrato giusto, d’ora in avanti, riservare qualcuno di questi miei interventi per presentarvi quanto di meglio le nuove generazioni di artisti, poeti ed intellettuali locali stanno facendo, ottenendo spesso un’attenzione che valica i confini della Marca. Voglio iniziare da una giovane pittrice, Sonia Ros, e dal suo intenso lavoro di ricerca cromatica che l’ha portata ad ottenere spazio e riconoscimenti sempre più ampi e convinti, dalle sale della Gipsoteca canoviana, a quella dell’Accademia d’Arte veneziana e ora all’ex eremo camaldolese di Rua di Seletto. Ciò che colpisce è prima di tutto l’incredibile capacità che quest’artista ha di maturare sempre più, di strutturare un percorso via via più complesso e convincente, mettendo in campo non solo la sua intensa sensibilità, ma anche una perizia tecnica di tutto rilievo. Le sue sono grandi tele astratte dove i toni si mescolano e a volte collidono in cortocircuiti iridescenti, opalinizzati, in lampi accecanti e fulminei, costruendo materie che, anche quando si fanno più sottili, o addirittura trasparenti, non smettono mai di alludere alla corporeità dei tessuti, direi ‘carnali’, con cui si compromettono, alla dinamica del sangue che li attraversa, del respiro che li affanna, in una dimensione che, se può apparire a primo sguardo addirittura ludica, si rivela ben presto molto più tesa, pericolosa, acrobatica di un puro gioco coloristico e formale. I segni astratti di Ros sono, letteralmente, organi, le loro ombre pulsazioni, brividi, sussulti, come lei stessa sottolinea quando dichiara che «accade che nel loro aggrovigliarsi, le linee si intersechino dando luogo a figure che rammentano elementi organici, quasi reperti anatomici», fino a trasformare le sue tele in macchine che producono sostanza di colore e forma. La regola del gioco, e dei segni, che la Ros mette in atto è infatti riportare la pittura al corpo che la produce e a quello che vuole rappresentare, perché è tutta di materia la realtà: persino l’amore, persino il pensiero, senza un corpo sono inutili e dispersi. Lo spreco e la dissoluzione non sono nella materia, ma nella distrazione dell’occhio che li guarda.

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