[Legaville 22] La città autodromo

Quotidiani E-Polis - Il Treviso, 2006 31 ottobre 2006 Costume e società
[Legaville 22] La città autodromo

Cosa sia il PUT lo sanno tutti: è quella specie di pista di Formula 1 che ingabbia il centro città in un anello di motori e smog, con la scusa di rendere il traffico più fluido; il simbolo orribile di una serie di Amministrazioni (sempre la stessa) che hanno trasformato una città a misura d’uomo e di bicicletta in un autodromo, tanto che infine a qualcuno la bella idea di far correre Alonso e Shumi lungo le mura è venuta davvero. Servisse almeno a rendere davvero più fluido il traffico veicolare, capirei, ma, in realtà, il PUT non riesce a fare nemmeno questo. Si limita ad essere una fabbrica di PM10 a ritmo continuo, senza che a nessuno venga in mente che la salute dei cittadini richiederebbe misure ben più radicali e sensate, che limitassero alle auto dei non residenti l’accesso al centro e all’anello delle mura. Eppure ormai lo dicono anche coloro che quest’obbrobrio l’hanno progettato e realizzato: l’Assessore alla mobilità, Basso, lo definisce una ‘cannuccia’, il suo inventore, l’architetto Rizzon, bontà sua, una “grondaia che talvolta si intasa per troppa acqua”, anche perché, aggiunge l’umile cronista, in questa grondaia si fa in modo di far confluire, obbligatoriamente, senza via di scampo, masse enormi di liquido rombante che provengono da tubazioni ben più grandi: la Pontebbana, l’Autostrada, la Feltrina, la Castellana, ecc. Parlatene con il vostro idraulico e vedete che ne dice… Rizzon sostiene che è stato realizzato solo il 20% del suo piano, che manca un piano orario, i parcheggi scambiatori, che i semafori intelligenti sono ancora stupidi. Sarà… certo che un meccanismo ‘tubolare’ del genere sembra fatto apposta per provocare disastri: basta che il flusso si interrompa in un punto, perché tutto il sistema collassi, visto poi l’accanimento, degno di miglior causa, con cui si è provveduto a precludere ogni via di fuga, ogni strada alternativa. Arrivare a Treviso significa obbligatoriamente immettersi nel bailamme selvaggio di un’autostrada urbana, in cui, con malvagità, se solo dovete cambiare corsia, vi viene richiesto di fare in 50 metri quello che in autostrada ne richiederebbe almeno 500. Ma c’è una cosa che mi ha colpito più di ogni altra di quanto Rizzon ha dichiarato alla ‘Tribuna’. Il fatto che non una sola parola, non un solo pensiero sia stato dedicato ai pedoni e ai ciclisti: per lui semplicemente non esistono.

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