La tromba del cross over: dialogo con Paolo Fresu

23 ottobre 2004 Interviste e dialoghi
La tromba del cross over: dialogo con Paolo Fresu

Paolo Fresu è un artista davvero eccezionale, e non solo per quello che fa strettamente da musicista, col suo Jazz, ma anche per tutto ciò a cui dà vita, come organizzatore di eventi, creatore di cortocircuiti tra le arti, vero contrabbandiere di idee ed amicizie, di relazioni ’pericolose’, che puntualmente danno vita a prodotti artistici di altissima qualità: penso alla sua collaborazione con poeti e scrittori, da Patrizia Vicinelli a Nanni Balestrini e Stefano Benni, alla sua complicità con attori come Joan Minguell o Marco Paolini, al suo Festival di Berchidda, in cui la musica si fonde con le arti visive, ai suoi lavori per il cinema, agli incroci con le video-arti.
Quasi che cercasse - trapassando confini, violando steccati, accettando scommesse - un suono/segno globale, capace di comunicare infine la complessità di questo nostro presente, così catastrofico e annichilente, Fresu non smette mai di sperimentare, giocando sempre più tavoli contemporaneamente ed è questo che dà alle sue note un accento inconfondibile, uno stile assolutamente personale, a ’tutto tondo’. Incontrarlo è, dunque, difficile, bisogna intercettare una delle sue contemporanee e numerose traiettorie - ideali e materialmente itineranti - e così quest’intervista nasce anch’essa plurima, in parte davanti a un caffè, in parte al telefono, il resto, la gran parte, via Internet…
Sei sempre stato attento ai cross over con altre arti. Quanto è importante il dialogo tra le arti nello sviluppo di nuovi linguaggi?
Credo che non sia solo importante, ma fondamentale. L’artista di oggi deve essere un vero contemporaneo nel momento in cui vive l’attualità ed ha dunque la responsabilità, in quanto "metabolizzatore di linguaggi", di renderla all’oggi da un altro punto di vista. Con il suo punto di vista! Il musicista di jazz inoltre (ammesso che oggi il termine jazz possa avere ancora un senso...) ha una responsabilità ancora maggiore visto che il jazz è stata per antonomasia la musica del Novecento! Penso che per un po’ di anni si è andati troppo verso la settorialità delle arti e quindi si è persa quella voglia e quella capacità di interagire che, ad esempio, c’era ai primi del Novecento... forse perché è cambiato il concetto di migrazione e si è diventati molto meno ’stabili’. Allora gli artisti si incontravano nei café di Parigi o Berlino o Barcellona e parlavano... di musica, di arte,... scrivevano tutti, facendo circolare le idee che poi si concretizzavano in linguaggi nuovi fatti di cose spurie e sporche che si delineavano pian piano.
Oggi è tutto molto diverso…
La società di oggi porta, purtroppo, più verso la chiusura nel proprio piccolo mondo: si esce meno e si parla ancora meno se non con Internet. Finalmente, però, si sta recuperando invece quella idea della comunicazione tra linguaggi che è fondamentale per la crescita artistica e creativa e credo che sia merito degli stessi artisti che si ribellano: nei confronti del sistema politico, della logica perversa della TV e del consumo di massa, della stabilità e della normalità delle cose. Se è vero che certe volte è difficile mettere assieme linguaggi differenti senza creare una distinzione di ruoli, è anche vero che è necessario provare a farlo per trovare delle nuove strade e perché, attraverso l’incontro, ognuno cresce nel proprio mondo d’arte.
Parliamo un po’ di MORPH, il tuo ultimo CD in uscita ad ottobre. Anche in questo caso il titolo fa riferimento ad un’altra disciplina, la videoarte e i suoi morphing...
Intanto ci tengo a precisare che MORPH (appena uscito per l’etichetta francese Label Bleu) non è il ’mio’ disco, ma è un disco di tre leader (Fresu-Salis-Di Castri) che lavorano assieme da dieci anni e che hanno suonato tanto collaborando, tra l’altro, con diversi artisti visivi e con altre discipline. MORPH trasferisce in musica l’idea di una tecnica che modifica progressivamente un’immagine in un’altra. Considerato il ricco caleidoscopio della musica del trio PAF e delle personalità dei singoli, l’idea della ’variazione visiva’ ci è parsa particolarmente adatta alla nostra musica. La variazione è il filo conduttore del CD e il ’tema’ del MORPH è apparso naturalmente durante la seduta di registrazione.
Ma avevate un’idea, un punto di partenza stabilito?
Non siamo entrati in studio con una idea precisa della musica... tanto più che con uno come Antonello Salis questo sarebbe pressoché impossibile! Antonello non registrava un intero disco in studio da non so da quanti anni e se in tutti questi anni non abbiamo più registrato con il trio (l’ultimo CD dal vivo, registrato alla radio di Capodistria, risale al 1988...) è perché la musica rischiava di rimanere inscatolata nella propria estetica. Abbiamo dunque semplicemente scritto ognuno una serie di brani e siamo entrati in studio scoprendoli piano piano. Lì hanno preso corpo e solo alla fine del lavoro siamo stati in grado di capire dove andava questa nuova musica... in fondo è questa, alla fine, la vera magia del jazz!
Chi dice Fresu dice Sardegna e non solo perchè sei nato qui, ma perchè qui sviluppi tante tue iniziative, come il Festival di Berchidda. Quant’è importante per te comunicare un’immagine della Sardegna più vera, integrale, ricca, che si discosti infine dallo stereotipo della regione metà turismo di lusso e metà banditismo?
Ho sempre pensato alla Sardegna come ad un’Isola che deve preservare la sua identità in un momento storico in cui si tende a livellare tutto ed a rendere volutamente tutto uguale. Quando molti cercavano di scappare dai graniti e dalle querce modellate dal vento perché non ne potevano più di vedere sempre e solo quello io pensavo che queste cose avevano un valore straordinario, in quanto uniche, e che, forse, in molte altre parti del mondo non le avrei mai viste. Il tempo credo che mi abbia dato ragione ed oggi sono felice ed orgoglioso di vivere la mia sardità di ’diverso’ come tanti diversi in questa umanità, dove essere ’diversi’ significa di fatto essere spesso inferiori. Per me è esattamente il contrario: quello che cerco di fare è portarmi appresso un’identità diversa rispetto agli altri... né meglio, né peggio, solamente un’identità mia, che è fatta di storia, di suoni, di lingua e di gente. Cerco poi di immetterla nel crocevia del mondo per condividerla - come io amo condividere le identità degli altri - senza preconcetti o soprusi. Essere un artista sardo significa semplicemente ’essere’ sardo a tutti gli effetti. Sembrerà strano, ma al giorno d’oggi essere qualcosa e sentirsi veramente parte di una comunità e di una cultura è molto difficile e molto raro. La Sardegna non è solo turismo, Costa Smeralda e banditismo, è capacità di relazionarsi con il resto del mondo, è capacità di offrire quella diversità fatta di storia, di luoghi, natura, risorse e pensiero attraverso uno straordinario potenziale umano che ha voglia di guardare molto lontano. L’investimento da fare su quest’Isola dovrebbe essere quello di aiutare coloro che pensano fuori dagli stereotipi comuni ed il Festival di Berchidda, con il suo successo di critica e di pubblico, è solo uno dei tanti esempi possibili.

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