La retorica delle armi e le armi della retorica

23 novembre 2003 Politica e movimenti
La retorica delle armi e le armi della retorica

La retorica delle armi e le armi della retorica (e della parola): a volerlo sintetizzare un po’ brutalmente questo potrebbe essere il sunto della polemica tra il Sub-Comandante Marcos e i baschi dell’Eta. La proposta di Marcos era semplice: lasciare un’opportunità alla parola. E ha scandalizzato tutti: tanto i baschi dell’ETA, quanto il giudice Garzón che li persegue (in nome di uno stato che da anni li perseguita). Ma se essa ha provocato una reazione così vivace è perché a monte c’era molto di più. Lo scandalo zapatista è, prima di tutto, in una concezione della lotta politica secondo la quale la libertà non nasce dall’annientamento dell’altro, ma che anzi si fonda sulla convinzione che non ci sia libertà senza ’l’altro da sé’, su un’idea del conflitto in cui, se si vuole vincere, bisogna accettare di mettere costantemente in discussione se stessi. Tutta roba indigesta a qualsiasi ideologia armata (e terrorista), quanto a qualsivoglia stato illiberale. Un modo di fare e di lottare insopportabile per tutti gli integralismi, tutte le Chiese, tutti i Comintern e tutte le lobby di potere.
E all’ETA questo non è piaciuto. Per rispondere Euskadi ha scelto gli accenti vecchi e sinistri dell’avanguardia rivoluzionaria a cui, col suo solito sorriso ironico ed autocanzonatorio in punta di pipa e passamontagna, Marcos ha replicato con esilarante strafottenza: «me ne frego delle avanguardie rivoluzionarie di tutto il pianeta». Come dargli torto, quando si intravede che nella rigida intolleranza dell’ETA, lì sullo sfondo, ma ben visibile, c’è il male antico, la rogna del nazionalismo? A sentir parlare Marcos, invece, viene in mente il Pasolini degli Scritti Corsari e la sua puntigliosa distinzione tra Stato (che ha da essere qualunque, ma democratico) e nazione (che ognuno si porta dentro, privata, sotto forma di radici e sentimento e memoria). «Non vogliamo renderci indipendenti dal Messico - scrive il Sub - vogliamo essere parte di esso, ma senza smettere di essere quello che siamo: indios!» E al cupo rigorismo dei puri dell’ETA che, gli fanno una colpa di essere di moda, ormai stampato sulle T-Shirt delle teenager, di essere, insomma, un leader da operetta, Marcos contrappone la sua lucida ironia canzonatoria: «per quanto riguarda il fatto che non volete far parte di nessun tipo di "pantomima" o "operetta", lo capisco. A voi piacciono più le tragedie». E certo non è perché si uccidono civili, che poi si sfugge ai meccanismi della spettacolarizzazione. Sarà davvero un caso che, tanto ETA, quanto Garzón accusino Marcos di aver mancato di rispetto verso il popolo basco? Sarà mica che, mentre il Sub indica loro la luna, ETA e Garzón gli fanno la colpa di avere le unghie sporche?

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