La questione della lingua e la Sindrome di Monaldo

1 dicembre 2003 Letteratura e arti
La questione della lingua e la Sindrome di Monaldo

Proporrei di chiamarla «Sindrome di Monaldo», dall’onomastico del Leopardi padre, purista reazionario e un po’ bigotto, del povero Giacomo. Mi riferisco a quella sorta di riflesso condizionato che colpisce alcuni letterati ed intellettuali italiani, specie se al sommo della carriera, e che li induce alla deprecatio temporum linguistica, alla profezia fosca della barbarie prossima ventura per il povero Idioma del Sì, infettato da anglismi, neologismi informatici e gergali e chi più ne ha, più ne metta. L’ultima puntata dell’appassionante telenovela sulla sorte dell’Italiano minacciato dalla perfida e informatica Albione era andata in onda, a mia memoria, nel 2000, col Manifesto della Bella Lingua, firmato da un manipolo bipartisan di parlamentari, letterati e cantautori, che riscaldò tanto il clima politico-culturale, da indurre qualche politico nostrano (e di sinistra), in un delirio di imperialismo linguistico, a lamentarsi che non fosse stato l’italiano, in luogo dell’antipaticissimo spagnolo, a colonizzare le lingue dei nativi americani.
Ora tocca a Mario Luzi, che, in occasione della sua nomina a Accademico della Crusca, non perde il destro per dolersi del baratro in cui starebbe per precipitare la lingua italiana. Bisognerebbe difendersi da quella che Luzi definisce la «pappetta terminologica» causata dall’ingresso nella nostra lingua di neologismi di origine anglofona, o provenienti dall’ambito tecnologico e informatico. Dobbiamo «difendere l’humanitas dell’italiano contro ogni pericolo». Ohibò! Ciò che ci serve è forse una Bossi-Fini della lingua? Non voglio crederlo e penso che questa non sia nemmeno l’idea di Luzi. Ma, allora, perché indulgere al tic dell’après moi ( et mes poèmes) le déluge? Davvero dovremmo chiamare i fax telecopie e il mouse sorcio? Davvero vi sembrerebbe più bello, incarnerebbe «quell’equilibrio tra il dicibile e il detto» di cui parla Luzi (e che io non riesco proprio ad immaginare cosa sia) e che nella nostra lingua sarebbe «bello ed esemplare», mentre nelle altre meno? Io, da sempre, sto con Gadda (e Algarotti), la lingua per me è una roba che tutti masticano e poi ti passano, una "pappetta", per l’appunto. A prescindere da anglismi ed informatica. E poi, per quanto riguarda termini come Web, che compaiono persino sulla home page (ma si può dire?) del sito (sito sì, è italiano, si può dire) dell’Accademia della Crusca, dobbiamo, infine, considerarli permessi? Mi consentano, gli Emeriti Cruscanti, di osare un consiglio: per difendere le sorti dell’italiano farebbero meglio a preoccuparsi delle politiche morattico-ministeriali, piuttosto che tentare di normare il mutamento della lingua, sempre un po’ selvaggio e integralmente storico, il quale, ahimè, usualmente tende a sfuggire alle pretese di addomesticamento dei letterati travestiti da Apprendisti Domatori.

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