Joseba Sarrionaindia, tra poesia e lotta armata

27 dicembre 2003 Articoli e recensioni
Joseba Sarrionaindia, tra poesia e lotta armata

La notizia dell’ADN-Kronos è scarna, ma sembra costruita apposta per far sorgere la polemica e lo scandalo. In Spagna l’Associazione dei Critici Letterari decide di premiare, come migliore autore basco dell’anno, nientemeno che un terrorista dell’ETA. La notizia, data così, fa rabbrividire e più che mai oggi, nel mondo del post-9.11 e dei kamikaze di Hammas, in cui il terrorismo sembra voler incarnare, nell’immaginario sociale, l’archetipo del Male.
Ma poi basta fare qualche ricerca su Internet per scoprire che non è proprio così, o almeno non del tutto. Joseba Sarrionaindia, l’autore premiato a Madrid per il suo «Lagun Izoztua» (L’amico congelato), un romanzo dedicato al tema dell’esilio politico, è in effetti latitante da anni, da quando, nel 1985, nel giorno di San Fermin, mentre i tori correvano a Pamplona la loro corrida, Joseba per parte sua, dopo cinque anni di galera, corse via dalla prigione di Martutene, a Donostia, in cui era stato condannato a restare 27 anni per essere stato membro dell’ETA. Ma Sarrionaindia non è solo questo. Egli è in effetti uno scrittore notissimo del Paese Basco, professore di Fonetica e traduttore in basco della Waste Land di T.S.Eliot, le sue opere vengono regolarmente rappresentate, è considerato uno dei maggiori rappresentanti della generazione poetica successiva a quella di Aresti e del cosiddetto rinascimento Basco, curatore di una rivista di peso nella letteratura euskera come Pott Banda. A lui si rivolge l’assolutamente insospettabile Dipartimento di Economics dell’ University of Surrey per un intervento di ampio respiro sulla situazione politica basca e per chi vuole saperne di più un intero sito web è lì, nel cyberspazio che ci parla di lui (http://olerkia.tripod.com/olerkia/j...).
Ma al di là dei distinguo e delle precisazioni, il problema vero è, ovviamente, un altro. Cosa doveva fare la giuria spagnola, doveva giudicare Sarrionaindia come scrittore, o come terrorista? Io non posso che concordare con quanto dichiarato da Miguel Garcia Posada, Presidente della giuria, nel suo rivendicare che ad essere premiato non era stato il terrorista, ma lo scrittore.
Di quanti grandi autori dovremmo infatti privarci, se volessimo escludere dal nostro orizzonte le loro opere, a causa di scelte politiche o morali che non condividiamo? L’elenco sarebbe lungo: da Pound a Sade, a Genet, da D’Annunzio a Céline. E in un’epoca di revisionismo storico spinto, sarebbe lecito aspettarsi, in breve, guai anche per Majakovskji e Brecht. D’altra parte, a voler andare indietro nel tempo, chi di noi, oggi condividerebbe la politica di spietata repressione che l’onirico Ariosto applicò contro i ribelli di Garfagnana, quando per sbarcare il lunario, gli toccò di governarli? Smetteremo dunque di considerare L’Orlando Furioso degno di comparire nell’elenco dei capolavori della letteratura italiana? O ancora, chi condividerebbe, oggi, le tesi sul tirannicidio di Alfieri e sino la verve militar-interventista del Foscolo? E i cattolici, come faranno con Leopardi e le sue tesi sulla nobiltà del suicidio? Questa sarebbe ovviamente una via assai pericolosa da percorrere, che ci porterebbe a circolare in paraggi pericolosamente vicini a farenheit 452. e questo credo valga per gli autori passati tanto quanto per quelli viventi. Gli israeliani dovrebbero forse rinunciare a leggere Saramago, perché critica la politica del Governo Sharon? E a quanti autori israeliti dovrebbero rinunciare così i cittadini palestinesi? Ovviamente chi è stato premiato è stato lo scrittore quello stesso che anni fa scrisse una bellissima poesia, Il fabbro schiavo, che riproponeva il dramma di Efesto nel classicissimo prometeo «Imprigionato nelle umide foreste d’occidente / ti fecero fare il fabbro /e tu costruisci catene. / Il ferro rovente che estrai dalla fornace / può essere forgiato come vuoi, / puoi modellare spade / affinché la tua gente possa spezzare catene / ma tu, schiavo, / continui a forgiare più e più catene.» Questo è il poeta. Se l’uomo poi confonde le spade metaforiche del suo stesso scritto con auto bomba che uccidono civili, per questo è giusto che sia giudicato dalla giustizia degli uomini. Come uomo però, non come poeta.

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