Il supposto antisemitismo in versi di Amiri Baraka

21 novembre 2003 Letteratura e arti
Il supposto antisemitismo in versi di Amiri Baraka

E’ proprio vero: non c’è due senza tre. Dopo l’incriminazione di Houllebecq per il violentissimo attacco all’Islam, seguito a ruota da quello della Fallaci per il suo delirante e invero assolutamente folle La rabbia e l’orgoglio, ecco che ora tocca al poeta Amiri Baraka, al secolo Lee Roy Jones, che fa scandalo in America col suo Somebody Blew up America, un poema che prende spunto dalla tragedia dell’undici settembre per scatenarsi in un violento attacco contro l’imperialismo americano nel mondo e per accreditare le tesi che sostengono che la Casa Bianca fosse informata dell’attacco alle Torri e che il Governo Sharon si fosse attivato per tenere a casa dal lavoro tutti gli ebrei impiegati nelle Twin Towers. Apriti cielo! Baraka, oltretutto, è un ’poeta laureato’ e percepisce un assegno annuale dello Stato... Che gli si taglino viveri e titolo! E’ reo di antisemitismo! Lo si censuri! Baraka scrolla le spalle e a chiedere scusa nemmeno ci pensa (come non ci hanno pensato Houellebecq e la Fallaci, d’altro canto): dice che lui non ce l’ha con gli ebrei, ma con la politica di Sharon nei Territori.
Ora, io non condivido un acca delle tesi di Oriana Fallaci e credo che si tratti di un caso di gravissima ’istigazione alla demenza’. Ma a censurarla non ci penso nemmeno. Non ci troverei niente di diverso dalla condanna islamica dei Versetti satanici. Ciò che mi scandalizza è, piuttosto, che le tesi della Fallaci siano fatte proprie dalla forza di un impero mediatico che, esso sì, di fatto, censura le opinioni differenti dal razzismo guerrafondaio della Pulzella Fiorentina. Né, per altro verso, trovo che siano particolarmente eccitanti le tesi scontate e superficiali di Houellebecq sull’Islam. Ma ho gioito per la sua assoluzione. E pur credendo fermamente che Baraka stia sostenendo delle corbellerie quando afferma che dietro l’undici settembre c’era la mano israeliana, sarei profondamente contrariato dal suo ’licenziamento’. Sarà perché continuo a trovare profondamente indelicato anche che si sia tenuto Pound chiuso in una gabbia di vetro a Camp Darby, solo perché aveva confuso, nel suo delirio poetico-letterario, Mussolini e Lorenzo il Magnifico, passando ore nell’anticamera del Duce…
E come la mettiamo con Céline, il collaborazionista autore delle immonde Bagattelle per un massacro, ma anche di Morte a credito, il più duro manifesto contro la guerra che l’Europa possa vantare?
Non sarà meglio interessarsi del fatto che solo ad alcuni di questi scrittori e poeti, i meno pericolosi e scomodi, il Monopolio Globale della Comunicazioni permette oggi di parlare, piuttosto che ostinarsi, sia pure per nobili ragioni, a voler imporre a qualcuno di loro di tacere?

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