Il suono della poesia, di Tommaso Ottonieri

25 novembre 2004 05. Fast Blood
<i>Il suono della poesia</i>, di Tommaso Ottonieri

Come potrà oggi la parola poetica "ridisegnare un suo ruolo all’interno delle società tecnologiche e mediatizzate" che (con tutte le sue contraddizioni e abissali regressioni) è il paesaggio che ’ci’ attraversa (e, massivamente, rende critico ogni senso d’interezza, a cui ci affidiamo). È una domanda non da poco, perché coinvolge - prima ancora che uno ’specifico’ artistico - la stessa possibilità che la parola individuale, la parola di ciascuno, ha di ’agire’ (e riscrivere) il reale.
Lello Voce, già autore di molteplici incursioni nell’area della parola ’mediata’, ibridata dal mezzo tecnologico (soprattutto sonoro - già, per lui il ’nomen’, Voce, è da sempre ’omen’, è destino), non ha dubbi: per lui il poetà è sempre stato, e a maggior ragione lo è nello sviluppo di un’oralità mediale e cibernetica (col suo "mix di arcaico e ultra-tecnologico, di pre-orale e post-linguistico") erede di quel famoso dinosauro dotato "un enorme corno-cresta", enorme amplificatore sonoro, che gli studiosi chiamano "parasaurolophus": animale ’sociale’ per eccellenza, perché l’emissione e propagazione del suono (fin dall’alba dei tempi) avveniva al fine di un reciproco e collettivo riconoscimento. Perché la "vocalizzazione", magari l’ "oratura", - per quanto fatalmente portata dall’interno stesso di quella Società dello Spettacolo che si sovrappone a ogni voce e la falsa - sempre è "testimonianza dell’esistenza di una comunità interpretante".
Con "Fastblood", un cd musicalpoetico inaugurante una collana di contaminazioni ’oltre’ la poesia (diretta da Luigi Cinque), Lello Voce, assieme a un gruppo di musicisti di assoluto valore (Paolo Fresu tromba, Michael Gross licorno, Luca Sanzò viola, e lo stesso Cinque sax, coordinati da Frank Nemola), fornisce la punta più matura di questo progetto (di questo concetto). Quattro "lai" (o meglio, diremmo, appassionati "j’accuse", nei confronti delle apocalissi contemporanee), quattro "tempi" (’lento’, ’intenso’ ’caotico’, ’esperto’) di una stessa, inappagabile volontà di "ragionare" con le armi della poesia.

Lello, sul supporto del cd, sotto il titolo della collana, "absolute poetry", trovo stampato questo motto: "nobooksallowedinthisArea", come dire: ’nessun libro è ammesso in quest’area’... Mi sembra che il motto sia perfetto a descrivere la portata di questo tuo progetto, e insomma l’oggetto stesso, ’ibrido’ ed emozionale, sonoro e critico insieme, che ne sortisce. Sarà la poesia la prima forma capace di oltrepassare la cultura "chiusa" del libro, ’elettrificandola’, per così dire? - O forse, lo è stata da sempre, e soltanto adesso riprendiamo ad accorgercene...

La mia è poesia di cross-over. Parola, musica e immagini: di questo sono fatte le mie poesie. Non riuscirei nemmeno ad immaginarle senza. E intendo proprio dire che ogni mia poesia è - costitutivamente - anche musica e immagini e che dunque io non sono l’unico autore delle mie poesie. Il lavoro del letterato è tradizionalmente solitario: io sono patologicamente socievole, lavorare da solo mi angoscia. Fare questo tipo di poesia mi permette di condividere, di collaborare, di competere con chi suona con me, con chi produce le immagini stimolate dalle mie parole, per giungere a un senso collettivo, globale. Le mie poesie sono un dialogo. A volte, dopo aver ascoltato i miei dischi, mi dicono:- Bello! ma la musica distrae dalle parole… Ma deve avvenire così! La musica non è il sottofondo delle mie poesie, ne è parte integrante e i miei testi sono costruiti apposta per dialogare con altri linguaggi, hanno un andamento a spirale, un po’ mantrico. Il mio spoken word ambisce ad essere molto più che un po’ di parole con musiche di sottofondo: è una mutazione genetica, che fonde indissolubilmente tutti i livelli artistici e percettivi, abolendo radicalmente ogni gerarchia, formale e di senso. Per questo, alla fine, ho deciso che Fast Blood non poteva essere un libro-disco (mi sembrava un prodotto un po’ ipocrita, tentare di tenere due piedi nella medesima scarpa), ma che doveva essere un disco: punto e basta…

Qual è per te il "senso" dell’ascolto? La parola (poetica) può costiruire una forma d’intervento e provocazione contro il ronzìo diffuso, impositivo, che veste le forme dello Spettacolo? È possibile "fermare" l’ascolto, rendendolo forma attiva, esperienza di interazione, da parte di chi ascolta, con ciò (e con colui) che è ascoltato?

Quando parliamo di poesia ad alta voce dobbiamo tenere presente che ci riferiamo a due ’eventi’ piuttosto differenti: cosa è se si tratta di registrazione, altra se ci si riferisce a una performance ’live’. Il Cd condivide molti aspetti (ripetibilità, stabilità nel tempo, ecc.) col libro. Ciò che lo differenzia è che è un media ’acustico’ e non ottico e perciò più ’mobile’, versatile, pervasivo: posso, sia pure distrattamente, ascoltare Beethoven mentre faccio altro. La mia poesia su CD è esattamente la scommessa di fare i conti con l’ascolto ’distratto’, il tentativo di attaccare la noia patinata e superficiale della nostra sensibilità ’globalizzata’ e ubriaca, dai lati, colpendola ai fianchi, facendo risuonare le poesie in auto, mentre facciamo la doccia, o l’amore, in treno, nei club, insomma di scagliarla al cuore della quotidianità. Ma è il live è il momento più importante di tutto il mio lavoro. E nel live non ci sono trucchi possibili. Il pubblico lo sa: ed è estremamente attento e generoso. E stupefatto: nel riconoscersi ’pubblico’, da che era solo un gruppo di lettori riuniti in una sala. Quando (e se) arrivano gli applausi, alla fine della performance, penso sempre che non stanno applaudendo me, ma che stanno soprattutto applaudendo se stessi, per aver ritrovato il gusto e la voglia di dare attenzione alla poesia. Non c’entra l’io di Lello, c’entra un meccanismo collettivo che abbiamo messo in moto tutti insieme, che abbiamo sviluppato in comune, sino a farcene, in fondo, tutti protagonisti allo stesso livello. E’ poesia spettacolare? Sì, e allora? Anche l’Opera da tre soldi è uno spettacolo, anche Flowers o l’Edipo Re lo sono, dunque non vedo quale sia il problema di una poesia-spettacolo.

Il tuo poetare si rapporta sempre, dialetticamente, alla sfera ’politica’ e di movimento. Una necessità d’individuare di continuo i confini tra politica e discorso, e d’instaurare una politica stessa sul discorso, che mi pare davvero rara tra gli introversi latori di parola poetica; ma appunto: qual è il modo di creare un flusso (biunivoco) tra queste due sfere, tra ’realtà’ (diciamo) e ’linguaggio’ (in continua metamorfosi l’una in rapporto all’altro...), agendo dall’interno di una forma di comunicazione che viene considerata per antonomasia ’autoriflessiva’ e poco incisiva sulla realtà (o che, comunque sia, come tale viene interpretata dalla gran parte dei poeti d’oggidì)?

Al di là del fatto che la poesia possa avere un’utilità pratica, che possa materialmente incidere rispetto ai contesti sociali e politici, essa ha comunque il dovere di essere coinvolta nel suo presente. Questo è prima di tutto un problema ’formale’, stilistico. Poi etico. Solo in ultima istanza ciò riguarda i contenuti delle poesie che componiamo. E’ impossibile immaginare un mondo nuovo con una lingua vecchia, impossibile sognare nuovi sogni con le parole, le immagini, i media, di ieri. E questo è già un problema integralmente politico, perché riguarda direttamente la comunità, i suoi codici e i suoi canali di comunicazione. Detto questo, è evidente che non c’è spazio per mosche cocchiere. Ma ciò non significa che non ci sia da fare per la poesia. Anzi ce n’è moltissimo. La comunicazione e il linguaggio sono le basi della società globalizzata e il loro insediarsi materiale in un corpo, in uno spazio e in un tempo presenti e comuni hanno grande valore, se non altro come testimonianza dell’esistenza, magari residuale, di una comunità interpretante, conscia dell’effimero dell’arte nei confronti delle macrostruttura, ma anche del suo valore nella strutturazione degli immaginari, che per molti versi, nelle società dello spettacolo, a loro volta, soli, possono influenzare e modificare le macrostrutture, nel loro trasformarsi in scelte, stili di vita, comunicazione, consumo, ecc., poiché, oggi più che mai, la prassi inizia e si fonda nell’immaginario. In questa società della comunicazione controllata, moltiplicata e insieme interdetta, la poesia può e deve essere la sede della comunicazione del desiderio della ragione, il risultato di una cosciente politica della comunicazione e la sede della espressione delle politiche e delle micro-politiche delle collettività, come dei singoli. E questo significa anche avere il coraggio di dire cose scomode, di smetterla di parlare solo di letteratura, ma iniziare a prendere posizione, a denunciare. Significa avere il coraggio di tornare di nuovo ad indignarsi. E dirlo ad alta voce.

Altro in Fast Blood

Altro in Poesia