Il popolo dei limoni e le carovane della pace

26 febbraio 2004 Politica e movimenti
Il popolo dei limoni e le carovane della pace

Esiste un’urgenza di dire no, una necessità imprescindibile di cambiamento che abita le nostre piazze e il nostro immaginario, sin da Genova, e che da quelle tematiche e da quel movimento si sta allargando a macchia d’olio a temi nuovi e a nuovi contesti, a nuovi movimenti. Immediatamente dopo i fatti del G8 mi accadde di parlare di quello che definii allora"il popolo dei limoni", oggi questo popolo è divenuto un vero agrumeto, ricco di differenze e sfumature, in cui pullulano frutti e insorgenze.
Da Genova tutto è cambiato e tutto si è messo in movimento, ed è per questo che possiamo dire che a Genova, infine, abbiamo vinto noi, quelli che c’erano, e quelli che avrebbero voluto esserci, uno per uno , al di là delle singole appartenenze. A vincere è stato il Popolo dei Limoni. Non i disobbedienti, non i cattolici, non gli anarchici, non i comunisti: il Popolo dei Limoni. E questa vittoria viene confermata da ogni nuovo conflitto che si apre, da ogni nuova richiesta di diritti che fiorisce sui rami dei nostri limoni. Ed è certo che la pianta più rigogliosa di questo agrumeto è quella della lotta contro la guerra, che da Genova - dal suo ferro e dal suo fuoco, dalla sua inutile ed immotivata violenza - pure è nata ed è cresciuta, alta come una sequoia. E se la guerra è divenuta permanente, permanente si è fatta anche la lotta contro di essa. Chi di voi ha tolto la bandiera arcobaleno quando Geoge Dabliù - il Grande Boscaiolo - ha annunciato la fine della guerra? Ed ora giungono le Carovane della pace che, in una società nella quale la comunicazione e l’informazione sono bloccate e censurate, trasportano i corpi, a testimoniare fisicamente dei sogni, delle utopie, dei diritti e delle ragioni di chi non vuole farsi una ragione della guerra e che dunque sarà in piazza il 20 marzo. E saremo tanti, a testimonianza che su tematiche del genere, non dire né sì, né no, non basta e meno che mai basta uscire dall’aula del Parlamento al momento del voto. Questo movimento non tollera ipocrisie, proprio perché è un movimento ’politico’ e - machiavellicamente - si attiene a quella che il vituperato Segretario fiorentino avrebbe definito la «verità effettuale». Chi crede di potersela cavare con escamotage, sottovaluta l’intelligenza critica di ciascuno dei pacifisti e dei non violenti italiani…
Ma accanto all’insorgenza delle lotte per la pace, altre, molte altre insorgenze si stanno diffondendo in Italia. Esiste un’insorgenza operaia, dei lavoratori (dalle lotte Fiat a quelle dei trasporti e oggi siamo tutti - obiettivamente - autoferrotranvieri, tanto quanto, da sempre, siamo tutti metalmeccanici) e una insorgenza più trasversale, che potremmo chiamare ecologista, di cui la vicenda di Scanzano è simbolo esplicito; esiste un’insorgenza ’religiosa’, dai Padri Comboniani che vanno distribuendo permessi di soggiorno rilasciati ’in nome di Dio’ , ai femminielli napoletani che si riappropriano della loro Madonna Nera, alla faccia del Vescovo di Montevergine; esiste un’insorgenza diffusa a protezione dei diritti dei cittadini immigrati… Ed esiste anche un’insorgenza che riguarda la scuola e l’istruzione - come dimostra il pullulare di dibattiti e movimenti in difesa della scuola pubblica - ne esiste una culturale ed artistica, che della lotta contro il copyright e della capacità di stabilire rapporti efficaci col presente e col reale dei conflitti sta facendo i suoi punti dirimenti e i cui protagonisti oggi lottano in tutta Europa per la liberazione dello scrittore Cesare Battisti, ne esiste una ’informativa’, che è costituita dalla rete di agenzie di controinformazione che nascono ogni giorno.
La società, insomma, è in movimento. Le contraddizioni prudono sempre più ostinate sotto le ascelle del reale. Il contagio si diffonde.
Allora certi termini di recenti dibattiti a proposito della non violenza, rischiano di restare spiazzati rispetto all’urgenza del presente, proprio perché invece di cercare di comprendere i fenomeni, si limitano a negarne la legittimità. Si ostinano a negare che quanto (invero assai poco) di ’violento’ accade durante le ’insorgenze’, quali che esse siano, dentro o fuori del Movimento dei Movimenti, è comunque un tentativo di comunicazione, la riaffermazione, magari estrema, maleducata, eccessiva, della necessità di un contatto, mette, con la retorica forse inutile del gesto, il dito nella piaga di una contraddizione, che in sé è anch’essa, a monte, nient’altro che violenza legittimata.
Recentemente, nell’introdurre la riedizione di un noto romanzo di Balestrini dedicato agli ultras delle curve calcistiche, I Furiosi, Alessandro Dal Lago opportunamente appuntava a proposito della violenza: «mettiamo per un attimo da parte la violenza, questo tabù di una cultura ipocrita, che non vuol vedere alla domenica allo stadio ciò che pratica da sempre, a Genova nel 2001 come nei deserti del Medio Oriente». Come dargli torto? Il movimento non può cadere nella trappola di introiettare un problema che non gli appartiene, che appartiene piuttosto a coloro che sin da Genova (e da sempre) praticano la violenza sotto la maschera dell’ordine pubblico, o attraverso l’appalto bombarolo a qualche servizio segreto, o a qualche banda di disponibili neo-fascisti.
L’autodifesa non è violenza, è solo l’espressione di quell’istinto di conservazione che, se agisse di più, ci farebbe comportare tutti in modo da avere città meno inquinate, foreste meno incendiate, acque meno avvelenate, e che ci suggerirebbe di continuare a nutrire gli erbivori (di cui poi ci alimentiamo) con erba e non con sfilacci di carne avariata, mescolati con antibiotici.
Perché l’istinto di conservazione fa parte del buon senso e con la violenza non ha nulla a che fare.
Il nostro giudizio politico, nel momento in cui va ad individuare le responsabilità di ciò che è accaduto a Foce, non può esimersi dal puntare l’indice solo e soltanto su chi gestì l’ordine pubblico in quei giorni, né far finta di non vedere che dalle 14 del 20 luglio sino alla mattina del 22 in Italia abbiamo assistito a una sorta di colpo di stato ’tascabile’, con la sospensione della maggior parte dei diritti costituzionali, ivi compreso l’Habeas Corpus. Il primo compito che abbiamo nella lotta contro il terrorismo (quello vero) è non permettere che i movimenti di dissenso, per quanto radicali essi siano, vengano assimilati al terrorismo. E’ così che si sconfigge il terrorismo, non adeguandosi supinamente a questa, o a quella caccia alle streghe, siano pure streghe travestite da Black blok.
Le Carovane della pace, allegoria plurale della lotta contro la guerra, percorreranno l’Italia anche per questo, per spiegare a tutti che la prima e più pericolosa forma di terrorismo si chiama Guerra Globale Preventiva.

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