Il poeta Parasaurolophus

in «Akusma», 2001 19 novembre 2003 Saggi
Il poeta Parasaurolophus

Il poeta parasaurolophus

Vorrei cominciare questo mio breve intervento quasi-teorico con un’affermazione jurassica. Il poeta del domani, se vorrà sopravvivere e essere capace di ridisegnare un suo ruolo all’interno delle società tecnologiche e mediatizzate della post-post-modernità, dovrà trasformarsi in un Parasaurolophus… Mi rendo conto di dovere qualche ulteriore spiegazione e dunque.... Il Parasaurolophus è, invero, un dinosauro assai singolare e curioso, conosciuto dagli esperti col soprannome di ’dinosauro trombone’. Si tratta di un enorme sauro erbivoro capace di camminare sia su 2 che su 4 zampe e, cosa ben più interessante, dotato di un enorme corno-cresta attraversato da labirinti cavi, che funziona da vero e proprio amplificatore sonoro della sua voce. È, insomma, un dinosauro ’sonoro’ e, poiché gli studiosi credono di poter ipotizzare che l’amplificazione vocale avesse scopi comunicativi e sociali, cioè servisse ai parasaurolophus per ritrovarsi, riconoscersi, aggregarsi in branco, esso è an-che un dinosauro sociale, ’politico’ come avremmo detto un tempo… E qui, in questo mio breve intervento, è allegoria di un ruolo e di una funzione nuovi per il poeta e la poesia. Come ho già avuto modo di sostenere, la nascita e lo sviluppo di una serie di tecnologie e media (dal primo registratore, o fonografo, su fino agli amplificatori contemporanei, ai sintetizzatori, campionatori, vocoder, e persino ai sistemi MIDI di registrazione e riproduzione informatica dei suoni) hanno avuto sulla poesia e sui poeti una conseguenza strana, paradossale, riportando, per alcuni versi, quest’arte ai suoi primordi di pura oralità, col risultato di provocare uno strano mix di arcaico e ultra-tecnologico, di sciamanico e insieme cibernetico, di pre-orale e post-linguistico. Il poeta che immagino, dunque, come una sorta di Cyber-Parasaurolophus, vuole comunicare e vuole farlo attraverso la voce, sfruttando tutte le possibilità offerte dai moderni media e dalle tecnologie, cosciente, però, che oggi la sua voce è, prima di tutto, voce di un testo, che le sue parole sono inevitabilmente anche la pronuncia di segni, il doppio di un altro e in questa scissione contraddittoria, in quest’eco, egli ripone il suo senso. Egli sa che la comunicazione e il linguaggio sono la basi delle società e che la loro vocalizzazione, il loro insediarsi materiale in un corpo, in uno spazio e in un tempo presenti e comuni ha grande valore, se non altro come testimonianza dell’esistenza, ma-gari residuale, di una comunità, di una comunità interpretante, attenta, sospettosa, attiva, conscia dell’effimero dell’arte nei confronti delle macrostruttura, ma anche del suo valore nella strutturazione degli immaginari, che per molti versi, nelle società dello spettacolo, a loro volta, soli, possono influenzare e modificare le macrostrutture, nel loro trasformarsi in scelte, stili di vita, comunicazione, consumo, ecc., poiché, oggi più che mai, la prassi inizia e si fonda nell’immaginario. Tutto ciò, ma non è questa la sede, credo, per affrontare un problema di così vasta portata, ha, o può avere, come sua conseguenza lo sviluppo di un’epica ’nuova’, orfana di valori certi, ma affamata d’utopia, un’epica di ricerca, nel significato letterale del termine: un’epica, se si vuole, della ricerca. Così come tutta una serie di nuovi pro-blemi e prospettive d’analisi mi sembra siano aperte da tutte quelle tecnologie che per-mettono la riproduzione, conservazione e modificazione del suono ’scorporato, in absentia, (registratori, lettoriCD, sistemi informatici di registrazione e ripoduzione, ecc.) ma anche in questo caso devo accontentarmi di segnalare qui la semplice possibilità di sviluppo del mio discorso, rimandando ad altra sede una sua trattazione, sia pur accennata. Questo poeta che sto immaginando ha bisogno, però, per assolvere a questo suo compito, di una voce nuova, che non sia più sede solo d’emozione, ma che si faccia corpo della ragione, sua espressione, che perimetri una geometria delle emozioni, delle sensazioni, dei sentimenti, una voce emozionata, ma non emozionale, un sentimento del tempo non sentimentale, un ossimoro di soggetto e oggetto, una parola vocale e consonante, soggettiva e politica, che definisca i confini di una ragione a due dimensioni, che cammini a due e a quattro zampe, il progetto di una vocalità complessa che, nel dire, rifletta sul suo dire, ne verifichi i silenzi, scomponga e distorca i rapporti tra fiato e significato, tra occhio e polmone. In questa società della comunicazione controllata, moltiplicata e insieme interdetta, la poesia può e deve essere la sede della comunicazione del desiderio della ragione, il risultato di una cosciente politica della comunicazione e la sede della comunicazione delle politiche e delle micro-politiche delle collettività come dei singoli. La voce di questo poeta inaugura e perimetra una TAZ (Temporary Autonome Zone, H. Bey), luogo di libertà del comunicare e del comprendere, luogo della fondazione del pensiero nella voce e della voce del pensiero.

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