Il Poetry Slam, intervista a Lello Voce [Rai Libro.it]

21 aprile 2004 Interviste e dialoghi
Il Poetry Slam, intervista a Lello Voce [Rai Libro.it]

Lello Voce, poeta, scrittore, performer ed Emcee (master of cerimony ) di Poetry Slam, è tra gli artisti italiani che hanno importato e contribuito all’affermazione, in Italia, di questa particolare esperienza di competizione poetica.

di Tullia Fabiani

Ci sono i poeti in gara che leggono su un palco i propri versi; c’è una giuria composta da cinque persone, selezionate, attraverso un sorteggio, tra il pubblico. C’è il pubblico, appunto, e c’è un Master of Cerimony (l’Emcee, come viene chiamato in America) che dirige la competizione. Questo, in breve, è il Poetry Slam. Ma per capire meglio il successo che questo tipo di iniziativa sta avendo in tutta Europa , per conoscere più da vicino regole, obiettivi, potenzialità, abbiamo pensato di chiedere a chi di Slam ha una lunga esperienza. Non c’è solo in gioco la capacità di fare e divulgare poesia, ma anche la possibilità di fruire poesia; una vera rivoluzione nella proposta poetica, che investe e coinvolge, a scena aperta, poeti e uditori. E’ questo uno dei motivi che ha spinto Lello Voce, poeta, scrittore, performer ad aprire in Italia questo canale di voce poetica che è lo Slam.

D. Lello, tu e il Poetry Slam. Ci racconteresti come è cominciata questa esperienza e come è cambiata negli anni? Quando hai visto il primo Slam, o vi hai preso parte?

R. Ho visto il mio primo slam più o meno a metà degli anni 90, a New York, al Newyorican Poet’s Cafè e la cosa mi impressionò molto, ma allora in Italia la situazione era molto diversa da oggi e dunque la cosa mi passò di mente. L’occasione per ripensarci è arrivata nel 2001, organizzando con Nanni Balestrini e Luigi Cinque gli eventi per la Giornata Mondiale della Poesia a Roma, il 21 marzo. Ma per questo rimando direttamente a quanto ho già scritto sul mio sito (http://www.lellovoce.it/article.php... ). Da allora non credo che sia cambiato molto nello Slam. Lo Slam è un meccanismo essenziale e perfetto, come ogni gara che si rispetti. Non sembri presunzione se dico che l’unica novità di rilievo è probabilmente la nascita degli Slam Internazionali, gare in cui concorrono poeti di varie nazionalità, ognuno nella propria lingua, inventati dal sottoscritto in occasione dello Slam di Big Torino 2002, la Biennale Internazionale dell’Arte Giovane e che da allora si stanno diffondendo in tutta Europa. A Rotterdam, per esempio, in occasione dell’International Poetry Festival si terrà il primo Slampionship internazionale olandese a cui parteciperà per l’Italia Sara Ventroni. Ma la novità vera, nel mondo dello Slam, una novità che si ripresenta ad ogni gara, sono poi le poesie e i poeti sempre nuovi che concorrono. Lo Slam è - da questo punto di vista - una novità permanente…

D.Qual è (se c’è) la differenza con gli slam d’oltreoceano?

R. Ogni nazione ha un suo ’stile’, e questo non riguarda solo i poeti, ma più in generale il pubblico, il mood che si respira. Gli slam americani e tedeschi sono certamente più ’selvaggi’, quelli francesi e soprattutto quelli italiani, marcatamente più letterari, ma queste ovviamente sono semplificazioni. Molto dipende anche dal grado di diffusione del fenomeno nelle singole nazioni, dalla situazione del panorama poetico locale, tanto quanto da miriadi di faccende minime e imponderabili, ma decisive rispetto alle dinamiche finali dell’evento. Ogni slam è una scommessa, un salto nel buio, tanto per l’Em-Cee, quanto per i poeti.

D. "La poesia non è fatta per glorificare il poeta, essa esiste per celebrare la comunità". Questa affermazione/manifesto di Marc Smith si concilia con una comunità che sembra apprezzare altre celebrazioni più che quelle che può darle la poesia? (vedi la tv, o la stampa)

R. Io credo che la poesia sia necessaria a qualsiasi società. Se non fosse così, tanto per parafrasare Lotman, la poesia sarebbe già morta e invece è, per molti versi, in ottima salute. Detto questo, non credo che cambi molto se la società in cui questa poesia deve vivere e farsi, sia più o meno ’conciliabile e conciliante’ con lei: la poesia ha comunque il dovere - tanto etico, quanto formale - di confrontarsi col reale, di riflettere sul presente, di mettersi in gioco anche in quanto attività sociale e politica. Altrimenti muore per davvero, o diventa un hobby, né più, né meno legittimo della filatelia o del modellismo…

D.Che ricordo hai del primo Poetry Slam italiano (nel marzo 2001)? E quali dell’ultimo?

R.Del primo Slam ho, ovviamente, un ricordo molto forte. E’ stata davvero una scommessa, una scommessa in cui, nei lunghi mesi che hanno preceduto quel 21 marzo credevamo in non più di 3 o 4 persone. Ma i motivi di tensione erano poi molti: io stesso non avevo mai fatto l’Em-Cee prima di allora, l’ospite era Sanguineti e dunque c’era l’ansia del giudizio di un maestro per un evento nuovo, scapestrato e rischioso come lo Slam, e poi, quando quel giorno ci siamo resi conto che la cosa stava letteralmente esplodendoci tra le mani (c’erano centinaia di persone, arrivavano continue richieste di interviste, la maggior parte radiofoniche, la sala andava riempiendosi anche di poeti e intellettuali, di molti a cui noi stessi non avremmo avuto il coraggio di formulare l’invito, e che invece erano lì, seduti in prima fila, ricordo Pagliarani, Magrelli, Cerami e tanti altri) abbiamo avuto paura di non essere all’altezza… Poi invece no, le luci si sono accese e, praticamente, il primo Slam italiano si è partorito da sé, con una naturalezza inimmaginabile. L’ultimo slam di cui sono stato host, è stato a Napoli, la mia città. E’ stato uno Slam bellissimo, dal punto di vista poetico, ma da Napoli mi aspettavo di più, il pubblico era tanto, ma impacciato, quasi frastornato, come se avesse perso quello smalto per la polemica, quello sfizio a dire la sua, che certo gli appartenevano fino a ieri.

D. Lello, quanto "pesa" la capacità che ha uno slammer di dare voce e corpo alla sua poesia? Voglio dire: ci possono essere buone poesie lette o cantate da cattivi lettori o cantanti e il contrario. In tal caso cosa fa presa, davvero, sul pubblico?

R. Evidentemente può esserci un pessimo poeta che legge bene e un buon poeta che legge male. Nessuno dei due, a mio parere, farà gran strada nello Slam. Certo, lo Slam è poesia del corpo e della voce, ma per l’appunto, è e resta poesia. Il pubblico si accorge subito se c’è squilibrio tra testo e capacità performative. Nello Slam vincono la personalità e la maturità espressiva, cose che in un poeta del tempo presente riguardano anche la sua capacità di dire le parole ad alta voce, controllando i toni, il respiro, la ritmicità prosodica. Ma non è una novità, sono abilità e discipline antiche, che per millenni hanno fatto parte del bagaglio di ogni buon poeta. Tutto è cambiato negli ultimi 5 o 6 secoli, ma oggi tutto torna a mutare. Inoltre è un errore pensare - nel caso dello Spoking Words, o della poesia Slam - a due fasi, a due aspetti separati, il testo e la sua ’oratura’. La poesia ad alta voce è entrambe queste cose insieme, inseparabilmente, come i due versi dello stesso foglio.

D. Tu credi che proporre poesia a un pubblico eterogeneo attraverso una competizione può influenzare in qualche modo anche il fare poesia? Credi ci siano versi più adatti di altri a questo genere di esperienza collettiva e condivisa?

R. Essere poeta oggi richiede competenze maggiormente diversificate rispetto a ieri, almeno se quello che si vuol fare è spoking words, o hip hop poetry, o partecipare ai Poetry Slam: occorre scrivere bene delle cose che devono abitare il tuo corpo e devi avere la capacità di saper dar loro la fisicità della voce, devi saper stare su un palco. I poeti che fanno Slam, sono creature di questo nuovo post-genere e certamente la diffusione dello Slam farà nascere (ma sta già accadendo, anche in Italia) una poesia nuova, letteralmente, ’inaudita’.

D. Quale sarà il prossimo Slam in Italia? Ce ne sarà qualcuno in particolare cui parteciperai?

R. Di slam in Italia ormai se ne fanno decine e io davvero non so quale sarà il prossimo. Il fenomeno è tanto in espansione, che ormai si sentirebbe la necessità di un minimo di coordinamento, se non altro a livello informativo. Ma non è facile. Io personalmente il 24 prossimo sarò a Parma e coronerò un mio personale sogno: dirigerò, al Teatro delle Briciole, uno slam di allievi delle scuole e delle università parmigiane. E’ una grande soddisfazione per uno come me, convinto che lo Slam sia prima di tutto un’indispensabile scuola di poesia, per pubblico e poeti…

D. "I Slam, therefore I am; faccio Slam, dunque sono". Non è un po’ come rimettere la propria identità nelle mani della comunità senza la quale non ci sarebbe Slam? Sembrebbe un atto di narcisistica umiltà...

D. Ce ne fosse di più, nella società e nella cultura italiane, di certa narcisistica umiltà… Certo può sembrar strano, ma è proprio così, il poeta che fa Slam rimette la propria identità nelle mani di una comunità, una comunità interpretante, che lo giudica, certo, ma che dialoga con lui e attesta la necessità dell’esistenza del poeta e della stessa poesia. Lo Slam ci ricorda che i poeti passano, la poesia e le comunità si trasformano e restano. Io personalmente credo che lo Slam sia anche un gesto fortemente polemico contro tutti gli egotismi (quelli davvero narcisistici) e la voglia di successo più o meno mondano-televisivo di buona parte dei letterati italioti. E’ un meccanismo democratico e orizzontale, che prova a ricostruire un dialogo vero tra società e poesia, laddove altri si accontentano di vestire la palandrana della moda del momento, o la papalina ammuffita di questa o quella lobby di potere, editoriale o accademico che sia.

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