I ’televisionati’

alfabeta2, n° 2, 2010 18 settembre 2010 Costume e società
I ’televisionati’

Se la televisione fosse soltanto in televisione la faccenda non sarebbe poi così grave.
Per evitare di essere mentalmente intossicati dal suo tripudio di siliconi analfabeti, dallo sciocchezzaio in paillette che ne deborda, per salvarsi dall’istupidimento coatto che provoca, grazie alla ripetizione ossessiva, e spesso urlata a squarciagola, di luoghi comuni assolutamente privati e sillogismi illogici, per scampare alla disinformazione travestita da reticentissima supposta obiettività, basterebbe un veloce switch off.
Basterebbe tenerla spenta, o gettarla nella prima discarica a portata di mano, la luminescenza invasiva… E dedicare il proprio tempo alla lettura, all’ascolto della radio, ai festival, ai concerti, ai convegni, al cinema, al teatro: a tutto il resto, insomma.

Il problema è che purtroppo la televisione è soprattutto fuori dalla televisione, che anche la maggior parte di tutto il resto è ormai occupata, più o meno manu militari, dalla televisione e dalle sue evanescenti figurine sotto mentite spoglie di esseri umani: i ‘televisionati’.
Le librerie sono invase da testi del più vario analfabetismo: sportivo, velino, à la gigolò; i festival sono invasi da ‘alieni’ che presentano se stessi solo perché sono quello che sono, cioè delle entità puramente virtuali, i concerti annegano sotto ondate di Amici.
E così capita di trovare un noto anchor televisivo a presentare il suo ultimo libro in un festival di poesia, un allenatore ospite ad appuntamenti letterari per discutere le sue ‘memorie’, varie veline, tutte accompagnate da calciator-servente e ghost writer al seguito, al centro del set, isolani nerboruti che mettono dischi, seduti al banco dei DJ…

Peraltro ciò comporta un effetto secondario altrettanto devastante: coloro che, prima di essere televisionati, erano seri e bravi cantanti, ballerini, attori, giornalisti, scrittori, ubriacati dal narciso di pixel, iniziano a fare di tutto, con il risultato di ritrovarsi un giornalista che canta a squarciagola, uno scrittore che balla, un attore che bercia versi, un cantante che sgrammatica romanzi a raffica. Il trionfo della marmellata tossica.
In questa inquietante forma di telecrazia che è la nostra Ytaglia, l’essere televisionati è insomma requisito indispensabile e pass universale per qualsiasi attività, soprattutto se di tipo culturale, artistico e, ovviamente, spettacolare. Ma non solo.
Fino al punto di esser felici, in linea di principio, di avere Lino Banfi come medico della mutua, di confondere una ballerina con una velina, uno scrittore con un tizio che fa un mestiere tanto opinabile da chiamarsi ‘opinionista’.

Quando li incontro, fuori, senza una telecamera che ci separi, mi domando: cosa li accumuna? Come fanno a essere là dove non dovrebbero? Fuori dalla scatola luminescente? Chi ha spalancato loro lo schermo sul reale? La consistenza di questi eventi subisce allora una mutazione agghiacciante: da che erano, festival, convegni, concerti, rappresentazioni teatrali, essi si trasformano, sotto i miei occhi, in una sorta di rozzo teatro dei burattini, dove viene opacamente replicato l’indecoroso nutrimento del nostro immaginario catodico quotidiano. Una cosa che sembra un surrogato di realtà, insomma, pur essendo, ahimè, assolutamente reale. Come se quelli falsi fossero quelli veri, quelli vivi, lì, a un passo da me, e non i lemuri evanescenti che popolano con la costanza di fantasmi testardi, di piranha voraci la gran parte del nostro immaginario. E probabilmente è proprio così.

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1 Messaggio

  • I ’televisionati’ 28 settembre 2010 12:34, di Chiara Daino

    Da tatuarsi nella tasca interna - dell’anima che resiste.
    Nonostante.

    Inchino, Lello: pezzo superlativo.

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