I poeti vedono più a fondo - di Donatella Coccoli
Lello Voce, instancabile,
porta la poesia
sia nelle piazze
digitali (il suo Absolute
poetry registra 30mila
accessi al mese), che in
quelle con persone in carne
e ossa, centinaia, migliaia.
Si deve a lui, poeta, scrittore
e giornalista, l’introduzione
in Italia del Poetry slam,
una gara ma soprattutto un
momento di rapporto tra
chi dà voce ai propri versi e il
pubblico.
Al Festival poesia
di Genova il 20 giugno partecipa
(L’esercizio della lingua)
insieme a Patrick Dubost
(Pour ne pas mourir) e
a Joumana Haddad, del cui
libro Adrenalina ha scritto
la prefazione. «Un’ottima
poetessa che conosco da
anni», dice dell’artista libanese
impegnata a Genova
ne Il ritorno di Lilith (che è
anche il titolo del prossimo
libro in uscita per L’asino
d’oro edizioni).
Com’è il sentire collettivo a
proposito di poesia?
«Credo che ci sia una grande
necessità prima di tutto,
che ha due facce: la prima
è che il mondo ha necessità
della poesia quando questa
ha la possibilità di vedere
dove nessun’altra disciplina
artistica o scientifica riesce
a vedere, perché il suo specifico
è l’arte della parola.
Le comunità si fondano
sulla parola e i poeti sono
quelli che devono inventare
le parole nuove altrimenti
continuiamo a sognare sogni
vecchi. In un mondo in
cui ti svegli e la possibilità
che hai è di scegliere tra
Berlusconi e D’Alema, tutto
diventa un incubo, se non
diamo un nome nuovo a
questo sogno. L’altra faccia
è che la poesia, però, deve
cambiare, non può restare
chiusa nelle sue camarille,
nelle sue “mafie d’avorio”,
deve avere il coraggio di
tornare a essere ciò che è
sempre stata per millenni:
un’arte del corpo e della
voce. Se la poesia riuscirà
a fare questo e riuscirà a
farlo con la qualità, e se la
critica sarà capace a leggere
non solo i segni muti ma
ad avere le categorie per
interpretare le interpretazioni,
allora, se vinceranno
i giovani, diciamo, se riusciranno
a portare avanti
questa ricerca, io credo che
la poesia abbia delle enormi
possibilità di allargare il suo
pubblico.»
L’editoria italiana: quanto
pesa la critica?
«Il problema dei critici è che
non hanno un know how,
cioè non hanno gli strumenti,
se non per leggere
un testo letterario. Poi c’è
un’editoria che è imbarbarita
ma rispetto a tutto. Come
il caso della Feltrinelli: si
distingueva per alterità,
eticità editoriale, invece
adesso tutto si muove sulla
base di un meccanismo di
profitto, in cui quel poco di
qualità che c’è, si salva per
miracolo. Anche le piccole
e medie case editrici sono
strozzate dal problema
della distribuzione e in un
meccanismo violento come
questo la poesia viene
divorata, diventa il fiore
all’occhiello, l’alibi affidato
a piccoli feudatari che danno
spazio solo a ciò che è di
loro interesse. In realtà c’è
la guerra fra bande.»
La Rete allora è la libertà?
«E’ l’unica possibilità, insieme
al copyleft e lo sharing
di Mp3. Pensiamo solo a
quello che passa attraverso
i blog collettivi di poesia,
dove avviene il vero dibattito.
E poi il Poetry slam,
al contrario di situazioni
in cui si è mantenuta solo
una posizione di rendita,
ha creato autori con le proprie
gambe senza essere
proprietà di nessuno, e
oggi se ne fanno centinaia
in tutta Italia.»
Siete dei carbonari…
«Diciamo che il primo atto
politico che fa un poeta
quando decide di leggere ad
alta voce è quello di invitare
a uscire fuori di casa. Il libro
scritto ha una sua storia,
una sua validità e cinque
secoli di parola scritta hanno
lasciato una cicatrice
sul corpo della poesia, la
fanno, bella, interessante.
Ma credo che la poesia sia
costitutivamente un’arte
dell’oralità.»
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